..ma come, senza di lui, senza lo spaventoso Baudelaire, avremmo potuto accogliere l’altra voce – l’insopportabile – l’assurdo? – Benjamin Fondane
A volte uno si sveglia e si vede recapitato un sogno. Grande Studio su Baudelaire di Felipe Polleri comincia come una cupa fantasia di risveglio: “Ho sognato che avevo scritto un romanzo odioso e odiato: la legge mi aveva condannato a morte.”
La voce di un narratore, alle prese con la scrittura di un singolare romanzo dal titolo Baudelaire, trascina subito in una catabasi in un tenebroso regno di nebbie e allucinazioni. La lettura del Grande Studio procede a un ritmo eccitante e delirante: ci muoviamo tra le pagine ad andatura rapida, torniamo indietro per inseguire un passaggio indecifrabile, lo afferriamo, sfugge ancora.
La fantasia febbrile di Felipe Polleri è una bellissima e insolita strada da percorrere: avanziamo nella storia come in certi sogni bambini dove quello che pensiamo di vedere si sgretola continuamente in un altro sogno; ora vediamo apparire una ghigliottina al centro di una piazza, o forse una porta, un patibolo per il poeta condannato a vagare con la sua valigia; giriamo pagina, leggiamo ancora un frammento di un racconto fuori categoria.
Grande Studio su Baudelaire, romanzo breve dello scrittore uruguaiano Felipe Polleri, inaugura la nuova veste grafica della collana Orso nero della casa editrice Wojtek: sulla copertina ammiriamo la ghigliottina, strumento di morte simbolo di Francia, ordigno rivoluzionario che fece saltare teste monarchiche e restò legale oltralpe fino all’abolizione della pena di morte una quarantina di anni fa. La scelta grafica non è casuale: la ghigliottina tornerà spesso tra gli immaginari del Grande Studio, racconto compulsivo e divertito di una persecuzione letteraria, e terzo titolo di Polleri pubblicato in Italia dopo Germania, Germania! e Le poltrone appassite (Arcoiris) – tutti tradotti da Loris Tassi.
Nel suo visionario romanzo Polleri riesce a rievocare quella misteriosa linea immaginaria che ha connesso l’Uruguay alla poesia francese: Lautréamont, Laforgue, sono nati entrambi a Montevideo, prima di dirottarsi verso un destino tra le parole di una lingua madre che si portava addosso la traccia radicale di Charles Baudelaire.
I narratori di Polleri si aggirano con tutta probabilità tra le vie di una Montevideo irreale, dove i palazzi e le strade si perdono in una mappa sballata, tra apparizioni, scomparse, vie di fuga dalla città alla caccia di un fantasma.
Felipe Polleri sceglie Baudelaire come uno scrittore antenato che ha saputo gettarsi in pasto all’ossessione, che ha scavato a mani nude nel cuore argilloso della realtà, una specie di sognatore perduto a metà tra un qui e l’eterno inseguito altrove, un invocatore di viaggi, di incubi e ombre, un classicista che si rotolava nel fango di Parigi, “città palude” e sussurratrice di versi.
Come ha raccontato in una rara intervista pubblicata in italiano, per Polleri lo scrittore è qualcuno che è stato estromesso dalla vita comune, uno straniero con una visione differente dalla maggior parte delle persone. È naturale che lo scrittore uruguaiano rivolga il suo interesse a uno come Baudelaire, al suo contagio e alla sua folie.
Con i suoi versi, con I Fiori del Male, Baudelaire segnò un cambio di passo per l’avvenire della poesia francese. Agitatore occulto per decadenti, simbolisti, parolieri notturni, con Baudelaire il poeta chiama la sua rivolta, se ne va in cerca di segrete corrispondenze, perde per strada l’aureola, diventa maledetto e nudo, scrive dai sotterranei: “ora posso andare a zonzo in incognito, commettere delle bassezze e abbandonarmi alla crapula come i semplici mortali”.
Il Grande Studio è una forma di invocazione al tentacolare abisso della letteratura: un narratore insegue Baudelaire, una narratrice si fa specchio, racconta il punto di vista complementare della pazzia, qui e là raccattiamo episodi sparigliati di un fantasma di scarto, che ancora canta versi per tutte le giovinezze sregolate e insonni.
Polleri ci mette una sterminata fantasia, ma c’è anche molto di vero in questa storia: le fotografie di Nadar e Carjat, il processo per oscenità contro la morale, lo stesso anno del processo al sovversivo Flaubert, e poi la fuga in Belgio, la candidatura all’Accademia sbeffeggiata da Saint-Beuve, la frase sullo “stile scorrevole, caro ai borghesi” che Baudelaire rivolse a George Sand, la Madre gigantessa, l’oasi d’orrore dei traslochi.
Lo perseguitavano: traslocava in continuazione. Tutte le biografie di Baudelaire irridono i suoi traslochi. Lo perseguitavano, ha detto, notte e giorno.
La voce di Felipe Polleri è molto musicale, in certi momenti si sentono le inflessioni cupe e divoranti di Thomas Bernhard (per influenza, una specie di Velvet Underground della scrittura). Le voci narranti che compongono il Grande Studio si sovrappongono alla voce distintiva di Felipe Polleri, così ricca di interferenze, notturni, esagitati capricci e ritorni di periodi. Polleri scrive dal sottosuolo, sente il dettato dell’istinto, la musicale peculiarità della sua scrittura fa sì che la lettura scorra, e quando arriviamo all’ultima riga siamo pronti per ricominciare. Un libro come il Grande Studio è fatto di strati a cui tornare: per quelli che partono per partire, o leggono per leggere, tornare a frugare tra le pagine del Grande Studio sarà una tentazione.