Due chiacchiere con Fatoumata Diawara prima del Locus Festival

Chi avrebbe pensato tre mesi fa che saremmo tornati alla “normalità” dei concerti in estate?

Non noi e forse neanche Fatoumata Diawara, che stasera si esibirà nella Masseria Ferragnano di Locorotondo in occasione del Locus Festival Limited Edition. Ad accompagnarla, un inedito ensemble musicale formato dagli inglesi Michael League e Bill Laurance (Snarky Puppy) e dall’Orchestra della Magna Grecia. Fatoumata non è certo un’estranea al pubblico nostrano: ha all’attivo due album solisti, due nomination ai Grammy, una valanga di collaborazioni eccezionali – da Herbie Hancock a Damon Albarn passando per Mulatu Astatke, solo per citarne alcuni – e, last but not least, un marito italiano. Del suo ultimo album, Fenfo, il Guardian scrive: «Un evento di classe che dimostra il suo impressionante bagaglio musicale lasciando aperta la domanda sul se deve ancora confermare la sua propria identità musicale». Ne abbiamo parlato con lei prima del concerto.

Ciao Fatoumata! Come stai?

Bene, grazie. E tu?

Molto bene. Dove ti trovi?

Ora a Como, viaggerò domani verso la Puglia, inshallah.

Ti faccio subito questa domanda per cominciare l’intervista: cosa dobbiamo aspettarci dalla tua performance al Locus Fest?

Amore, Speranza e “good vibes” per stare bene almeno per un paio di settimane (ride). Voglio che tutto il pubblico, donne e bambini, giovani e anziani, si senta bene durante e dopo la performance.

Avevi già suonato con Michael League, Bill Laurance e l’Orchestra della Magna Grecia?

Con Michael e Bill sì, in diverse occasioni, con l’Orchestra è la prima volta. Riarrangeremo i pezzi del mio nuovo album.

A proposito del tuo album, mi potresti dire di cosa parla?

L’album si intitola Fenfo, che significa “Qualcosa da dire” e parla di amore, di speranza per le donne, per i migranti e tutti coloro che non hanno la possibilità di esprimersi, di far sentire la propria voce, non solo nel mio paese ma in generale. Erano passati sette anni dal mio primo album (Fatou) e tutti mi chiedevano se mi fossi persa e perché non pubblicassi nuova musica, senza sapere che nel frattempo avevo lavorato a diverse collaborazioni. Questo album è per dire: «Sono ancora qui e ho qualcosa da dire».

Voglio far capire che non ci sono differenze tra le persone, che siamo tutti uguali, soprattutto ora dopo il lockdown, dobbiamo capire che ci sono altri problemi oltre alla migrazione. Le cose cambieranno e dobbiamo prenderci cura della natura e di noi stessi altrimenti non so come andrà…

Mi sembrano considerazioni molto giuste ancora oggi che si parla tanto di razzismo. Come vedi la vita tra cinque anni?

Oh non vivo nel futuro e forse questo è il mio problema (ride). Vivo giorno per giorno prendendo la vita come viene; per questo quando suono sul palco per me è molto intenso e do tutta me stessa, come se fosse il mio ultimo giorno.

Hai un rito prima o dopo il concerto?

Sì, prima di ogni show, ascolto musica tradizionale del mio paese e passo almeno un’ora completamente da sola.

Ti piace la definizione che i media usano per descriverti, “La nuova voce dell’Africa”?

Sì certo, soprattutto perché non ci sono molte donne nella musica che riescono a emergere. Abbiamo avuto Miriam Makeba, Alpha Blondy, che sono state delle grandi rappresentanti della musica dell’Africa ma oggi non ce ne sono molte. Per cui mi piace che mi venga riconosciuto questo ruolo nel rappresentare le voci delle donne africane.

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