La sensazione che tra i migliori album di quest’anno ci sia I Love You, Honeybear di Josh Tillman, aka Father John Misty, è confermata dall’atmosfera di attesa frenetica che si respira durante il suo primo live italiano dall’uscita del disco al Locomotiv di Bologna. ”Love is just an institution based on human frailty”, cita a memoria un fan prima dell’inizio del concerto, l’amore è un istituzione basata sulla fragilità umana, stralcio tratto da Holy Shit, pezzo satirico di Padre John che conferma la sua vena da istrione di gran classe. La fannerie femminile intorno intanto sogna di portarlo all’altare, sento un vocio che si ripete ”voglio sposarlo”, ma Josh ha già dato la sua devozione a Emma Tillman, a cui l’album è dedicato. Il live si apre con la title-track ed è subito una magnifica occasione di riconoscenza a questo personaggio complesso, profondo e ironico allo stesso modo, che si sbatte sul palco, alternandosi tra voce e chitarra acustica con un’estensione canora da vero fuoriclasse. Colpisce di Father John la freddezza con cui riesce a coinvolgerti, la glacialità della classe con cui riesce a far tutto con naturalezza, anche a muovere un sorriso con una semplice espressione sulla faccia.
Che si tratti dell’elettronica ballabile di True Affection o dell’intimissima ballata When You’re Smiling and Astride Me, il carattere di Tillman rapisce tutti: istrione vero, performer geniale, e grandioso cantautore che narra nei dettagli e negli intramezzi più particolareggiati i nostri tempi. L’amarezza è spietata, ma di quest’amarezza si ride perché non se ne può fare a meno. Quello che colpisce di Tillman è la grandiosa autoironia con cui affronta e canta un pezzo come Bored in The Usa, che ripercorre la crisi americana con le risate di sottofondo di un Letterman Show.
C’è spazio anche per i pezzi vecchi, come quella Hollywood Forever Cemetery Sings che apre il suo grido disperato ai tempi con quel nominare invano Jesus Christ e una ragazza. Cristo, ragazza, resta in ascolto, sembra dire Tillman modulando la sua voce, prendendo a tratti una chitarra, lasciandola andare, gettandosi sul pavimento con movimenti frenetici, giocando col microfono e la sua asticella, rubando lo smartphone a una ragazza in prima fila per farsi un selfie, correndo da una parte all’altra esibendosi, senza mai scoppiare a ridere, regalando i vecchi ricordi di Nancy from now on, e tornando al presente di Chateau Lobby #4 (in C for Two Virgins).
Un folksinger intimissimo che sembra prendere in giro e dissacrare il mondo e l’umanità con sfrontatezza. E così sull’encore sembra che nessuno voglia concludere davvero la magia di questo gioco del live che è spietato e diretto come un cazzotto: Tillman fa l’asso pigliatutto costringendo anche chi era più scettico a ricredersi sulla resa dei suoi pezzi dal vivo. Maestoso.
Foto copertina: Luis Sinco / McClatchy-Tribune