Da quattro anni ormai, nel primo weekend di agosto, l’operosa e sonnecchiante provincia di Macerata si anima, diventando un hub vivacissimo e internazionale di musica black in tutte le sue declinazioni elettroniche. Il merito è del FAT FAT FAT Festival, organizzato dai ragazzi di Harmonized, collettivo locale che da anni anima i dancefloor del posto e non solo. Alla sua quarta edizione, il FFFF conta tre serate, da venerdì 2 agosto a domenica 4, più il cosiddetto Ammazzacaffè gratuito, lunedì 5.
Venerdì 2 agosto
La prima serata si svolge in Piazza Vittorio Emanuele II a Morrovalle, un paese di 10.000 abitanti sulle colline maceratesi. Partiamo presto, che la serata inizia alle 20 con Davide d’Amico. O perlomeno, il più presto possibile: è venerdì, si esce tardi da lavoro, poi per molti iniziano le ferie quindi è facile fare qualche ora di straordinario. Inoltre, è dura smuovere la routine del Venerdì: si è stanchi, spesso si preferisce uscire il sabato, facciamo un amaro al bar poi si vedrà. Partiamo quindi in tre: ci vuole una mezz’ora di macchina, scendere dalle colline, prendere la statale, poi risalire. Attraversiamo una zona industriale diffusa: siamo al centro del distretto calzaturiero marchigiano, qui fanno tutti le scarpe, perlomeno fino a qualche anno fa, e il paesaggio ne risente: quasi ogni paese, in collina, ha la sua zona industriale a valle. Insomma, risaliamo e siamo in paese per le 21 e 30. Dirigendoci verso la piazza, per le viuzze del borgo, un’atmosfera a metà tra sagra di paese, rievocazione storica (veri must dell’estate marchigiana), e un carnevale: i bar, le osterie sono tutti aperti e presi d’assalto da una folla estranea eppure organica al luogo. Immagino il borgo medievale, che porta ancora qualche segno del terremoto del 2016, in un venerdì qualunque e lo immagino diverso. Oggi sembra invaso da una qualche carovana festante, viene quasi in mente la scena iniziale di Blow Up, tanta è la sorpresa.
Il nostro festival inizia con il set di Shigeto, Marc de Clive-Lowe e Melanie Charles. La gente è ancora poca, le luci sui palazzi della piazza rendono l’ambiente molto intimo. Al nostro arrivo, ci viene dato un posacenere portatile a testa (grande idea!) e un biglietto con su scritto “paccatello”. Imbarazzo iniziale, scopriamo che quella parola indica, nel dialetto che dovremmo pur conoscere, vino e gazzosa. Un cocktail antico di benvenuto. Tornando al palco, l’esibizione è totalmente live, con tastiere, batteria e flauto traverso. I tre propongono il set più afro dei tre giorni: una base jazz, ma sonorità lontane, desertiche, sensazione aumentata dal flauto traverso e da numerosi canti tradizionali suonati su ritmi spesso dispari. Rotto il ghiaccio, dopo un saluto a Ras G, da poco scomparso, ci aspetta il dj set di Carista, che alza i giri. Parte molto leggera, funky e soul, per poi virare verso il garage, per un set incentrato soprattutto sulle frequenze basse e che, come tale, è molto ballabile e profondo. Faccio un giro per la piazza e inizio a rendermi conto che i locali, stasera, non sono la grande maggioranza. Parlo con qualcuno, molti vengono dal nord Italia, stanno tutto il weekend, alloggiano in hotel vicini, si muovono con le navette. La serata inaugurale viene chiusa da Dj Dez Andres, colonna portante del Detroit Sound. Ci spostiamo infatti verso l’house e l’hip hop, con un diffuso feeling anni ’90 corroborato dai numerosi interventi di scratch. Sulle note di un remix di Smells Like Teen Spirit la prima serata si chiude, saranno le 2 e 30 e noi siamo soddisfatti di tanta varietà. Il pensiero dominante è “chissà che ci aspetta nei prossimi giorni”. Sarà un lungo weekend.
Sabato 3 agosto
Oggi siamo molti di più. La giornata è stupenda, e il festival inizia alle 17. Il bar del mio paese è in fibrillazione: chi va con chi, a che ora si parte, quando si torna, io voglio fare tutta una tirata, io non vorrei fare tardi, ragazzi vi raggiungo dopo cena, ma lì si mangia etc. etc. Oggi siamo 4 in macchina, decidiamo di partire verso le 19 ché sarà lunga, e come dice un mio amico di Napoli, adda passà ‘a nuttata. Direzione Grancia di Sarrocciano a Comunanza, un comune vicino a Morrovalle. Varchiamo il lunghissimo viale alberato e raggiungiamo la grancia, una vecchia costruzione adibita alla conservazione del grano. Qui, nel parco circostante, il Festival prende forma per le giornate di oggi e domani. Appena entrati, nell’enorme piazzale già molta gente sta ballando sotto il main stage con Motor City Drum Ensemble, che mette insieme un set molto funky e danzereccio perfetto per l’orario. Si va nella food area, vicina al secondo palco, chiamato Sgugola Stage, per mangiare qualcosa: lo street food marchigiano c’è tutto, tra ciauscolo, olive all’ascolana e galantina. Sui volantini, una sorta di ricettario for dummies. E si che ce ne sono tanti, di dummies, se nei tavoli è tutto un parlottare inglese e francese, oltre che marchigiano. È allo Sgugola Stage che facciamo la conoscenza di Khalab, aka Raffaele Costantino, conduttore del sempre interessante Musical Box su Radio 2. Il suo è un live da un altro pianeta: suoni tribali e atmosfere cupe, profonde, virate verso la psichedelia. Siamo qui nel cuore del concept black dell’intero festival, lontani dall’ariosità del main stage, dove Mr. Scruff prima, Volcov e Kyle Hall poi ci fanno ripiombare su ritmi più sostenuti, voci soul, chitarre funk. In generale l’atmosfera è molto anni ’80: molto ritmo, molto colore, il palco è strapieno di piante, riprese nei visual, intorno è tutto un florilegio di camicie a fiori e occhiali da sole. La temperatura si alza ancora quando sul main stage sale Move D, accolto da un’ovazione: il suo set è l’acme della serata, ormai sotto il palco è il pienone e una nuvola di polvere si alza dal dancefloor di ghiaia. Necessitiamo di decompressione e ce ne andiamo a fare due passi nel parcheggio. L’impressione è assurda: tra le centinaia di auto e camper, una città nella città, il salotto del festival, dove scambiare due parole, riprendersi un attimo dai volumi alti, respirare un po’ d’aria. Facciamo conoscenza con alcuni stranieri. Un gruppo venuto in macchina da Parigi, una coppia da Digione. Dove dormite? In auto. Che fate domani? Un giro qua intorno poi torniamo qui, a proposito, cosa consigliate di vedere? Che locali ci sono a Macerata? Fuor di retorica, musica come mezzo di promozione del territorio. Rientriamo per ascoltare ancora qualcosa, e allora ci diamo la buonanotte sulla techno bella profonda e a volumi più sostenibili del FAT FAT FAT Soundsystem. Torniamo verso casa, saranno le 5 e 30, all’alba le colline hanno un colore diverso, ma si fermiamoci un attimo, un’ultima sigaretta, sullo sfondo il mare, buonanotte a domani, che è ancora lunga.
Domenica 4 agosto
Oggi si parte presto che è l’ultimo giorno (lunedì si lavora) e ce lo godiamo tutto. In macchina perlopiù silenzio, siamo un po’ stanchi è vero, ma poi ci si riattiva scambiandosi i racconti della sera prima. Il main stage è ancora silente quando arriviamo, poco male. Allo Sgugola Stage, birretta e Francis Inferno Orchestra. Ci si mette poco a riprendersi: il sole è ancora alto, siamo ancora in pochi e sembra di stare in uno di quei biergarten berlinesi o lungo l’Amstel, ma basta alzare lo sguardo sulla lunga fila di cipressi oltre la siepe per ricordarci che siamo nelle Marche. Ricominciamo subito a ballare sul set dell’australiano, house music presa bene piena di richiami all’Africa e all’America latina (con echi di samba e bossanova). Piano piano il volume si alza con l’ingresso di Flo Real: bassi importanti e remix di classici del soul, il sole sta tramontando e si ricomincia. Si torna al main stage, dove continuiamo a esplorare i recessi della black music con Ge-Ology e Dam Funk. Siamo sempre più presi bene, ormai pronti per il gran finale, il set dritto dritto di Moodymann, una sintesi di tutte le suggestioni con cui siamo stati in contatto lungo questa tre giorni passata in una location che sembra improbabile solo a primo impatto. Che una zona di borghi medievali, colline sul mare, capannoni industriali, così lontana da grandi centri culturali, ancora legata a un modello economico fatto di piccolo artigianato, possa accogliere così tanti esponenti di una scena musicale vasta e internazionale per vocazione è un piccolo miracolo. Lontano da retoriche come modernità vs tradizione, centro vs periferia, il FAT FAT FAT è una preziosa anomalia che in 4 anni ha già una reputazione consolidata. Innanzitutto, per la proposta musicale, che è davvero imponente ed enciclopedica. Un buon numero di artisti, poi, sono ormai habitués del festival, e non è per niente strano trovarseli di fianco a ballare. La sorpresa più grande, e forse la qualità maggiore di questo evento, sta nel mix di internazionalità e local culture, che si manifesta sia in dettagli come il menu o il “paccatello”, ma anche in tutta la rete organizzativa che coinvolge ad esempio strutture ricettive e aziende gastronomiche locali. Esplorare un universo sonoro, ma anche culturale, lontano, ma con i piedi piantati nel territorio locale, le sue tradizioni, i suoi servizi. Indubbiamente una situazione win-win. Nel frattempo, sono le 3 e 30, siamo parecchio stanchi, forse è ora di tornare a casa. E’ ancora buio per strada, ma forse un paio d’ore di sonno in più non ci farebbero male: domani qualcuno di noi ancora lavora, che per le ferie di agosto c’è ancora tempo.
Fotografie di Daniele Zappalà