C’è una scena famosissima di uno dei film di Fantozzi in cui lui piomba in una fase politica, quasi mistica, che lo porta a indagare le radici dello sfruttamento della classe operaia, alla fine della quale urla, “ma allora mi hanno sempre preso per il culo” bardato della sua sciarpa rossa. Ecco, è esattamente questo lo spirito con cui un lettore meno avveduto potrebbe arrivare all’ultima pagina del bellissimo saggio di Luca Pisapia edito dalla torinese Add editore Fare gol non serve a niente, il pallone nella rete della finanza.
Ma prima di tuffarci nell’ingannevole mondo delle plusvalenze fittizie e dei bilanci gonfiati da debiti che mangiano loro stessi occorre fare un doveroso passo indietro, più precisamente alle dediche del libro per poi passare velocemente ai ringraziamenti finali. Perché Luca Pisapia appartiene a una generazione di amanti del pallone che ha vissuto il passaggio di consegne dall’epoca della blogsfera a quella dei social, passaggio in cui la narrazione del calcio è passata di mano, finendo nell’indistinto calderone in cui la Pangea del calcio romantico si è mischiata con la dittatura degli highlights rendendo tutto quello che circonda il calcio un vaniloquio spesso egoriferito.
Quindi mi emoziona trovare una dedica bellissima a Luca Di Meo, alias Wu Ming 3 che tanto ha saputo raccontare del mondo del calcio e non solo alla sua solita maniera iconoclasta. Torna pure la mente a esperienze di narrazione come furono Lacrime di borghetti e Fùtbologia (per chi ha avuto la fortuna di leggere quei blog) e documentari come, ad esempio, Nel pallone, che già all’epoca radunava molti dei nomi di cui sopra.
Luca Pisapia riesce a mettere in fila, in questo libro, una storia ragionata del flusso economico e politico che ha accompagnato la trasformazione del pallone da quando i marinai lo esportavano seguendo le rotte commerciali di fine Ottocento fino ai fondi speculativi che nel panorama attuale hanno quasi monopolizzato la totalità del calcio mondiale. Il calcio non è mai stato innocente, non è mai stato scevro da interessi politici ed economici. Inizialmente fu uno sport elitario (si racconta quella fase nella serie Netflix The English Game), ma appena nato subito è passato di mano dai figli dei rampolli aristocratici alla classe operaia per poi essere utilizzato come arma di distrazione e di controllo delle masse da chi aveva preso il posto dell’aristocrazia.
Il pallone è uno strumento politico che col passare degli anni mostra tutta la sua potenza, Luca Pisapia ne aveva già parlato in forma ibrida in un altro suo libro “Uccidi Paul Breitner” edito da Alegre (2018), raccontando i mondiali argentini e quelli che sarebbero venuti di lì a poco in Brasile, ma in questo saggio la parabola è compiuta, perché con i campionati mondiali di Calcio giocati in Qatar nel 2022 abbiamo avuto la dimostrazione plastica di come anche il vecchio continente, depositario delle radici più antiche del gioco del calcio è finito nel tritacarne finanziario da lui stesso creato. I grandi capitali dei fondi di investimenti arabi hanno deciso di utilizzare il calcio come grimaldello per accreditarsi agli occhi del resto del mondo economico e finanziario, tutti abbiamo memoria di Messi che mentre alza la coppa del Mondo viene cinto da un Bisht abito tipico dei paesi del Golfo Persico. Così anche la Premier League, già nata staccandosi dalla Football League per ragioni economiche nel’92, diventa un terreno in cui si gioca non solo un campionato di calcio ma la continuazione di una guerra finanziaria con altri mezzi. Chelsea, Newcastle, Manchester City sono solo alcuni dei club con cui i diversi paesi della penisola araba cercano di imporsi l’uno sull’altro.
Ma non è solo dall’Arabia che arrivano queste forze centrifughe, nel libro di Pisapia si vede come il Manchester United, passato alla proprietà di un fondo americano è stato uno dei punti di svolta più importanti per la deregolamentazione finanziaria nella storia del pallone recente. Se si guarda ai risultati sportivi dello United, uno dei più gloriosi e vincenti club d’Inghilterra che negli ultimi dieci anni ha collezionato solo insuccessi clamorosi continuando a spendere una montagna di soldi, si nota come i risultati sportivi siano assolutamente sganciati da quello che succede nelle transazioni economiche. Vincere è superfluo, conta partecipare come diceva innocentemente il barone Pierre de Coubertin. Queste dinamiche sono arrivate al punto di far giocare contro squadre con lo stesso proprietario in competizioni internazionali, fare gol non serve a niente appunto, perché il risultato di una partita di calcio è assolutamente secondario quando a chi siede nella stanza dei bottoni interessa solo alimentare un Golem finanziario che si ciba del suo stesso corpo col solo scopo di distribuire dividendi nel modo più rapido possibile.
Difficile guardare una partita di calcio dopo aver terminato la lettura di questo saggio di Luca Pisapia. Per chi lo segue con i suoi articoli su Valori.it, il Manifesto o Internazionale qualcosa era già chiaro, ma leggerne a piccoli pezzi è diverso da poter mettere in fila tutti i punti in una sola volta. Il re non è nudo, è coperto d’oro. Il calcio di una volta non è mai esistito, e nelle 160 pagine di questo saggio è spiegato per filo e per segno come quello che succede sul manto erboso degli stadi di tutto il mondo non è altro che una metafora della vita che accade fuori dal campo. Un circolo vizioso per i tifosi ma virtuosissimo per chi col calcio fa affari. Perché è questo che rappresenta il calcio nell’epoca della morte del lavoro, quando non si può più estrarre valore dalla terra e dai beni materiali occorre produrre profitto dall’immaterialità. Per questo lo strumento del debito diventa l’alfa e l’omega di questa narrazione, cresce a dismisura, dalle valutazioni gonfiate dei calciatori che non hanno mai giocato fino alle plusvalenze e ai bilanci truccati, tutto concorre a gonfiare il corpo del mostro. Più partite e meno spettatori allo stadio, biglietti sempre più cari e lotta senza quartiere ad ogni forma di partecipazione attiva della componente dei tifosi storici, immagini a ciclo continuo di match spezzettati. Partite vivisezionate e raccontate sette giorni su sette in lunghissime serie di numeri, abbonamenti tv, dati e metadati che ci riempiono la testa e ci svuotano il cuore. Calcio come oppio dei popoli e cocaina dei potenti, verga del potere economico e finanziario più moderno mascherato da antica pozione ancestrale.
Non c’è redenzione in questo racconto, perché non c’è redenzione nel mondo finanziario. Ci siamo noi che continuiamo a guardare una partita cercando storie che vale la pena di raccontare, ma probabilmente, di tutte le trame condite di finta nostalgia che ruotano attorno alla narrazione calcistica, quella dei soldi attualmente è l’unica che serviva davvero scrivere.