Ezio Sinigaglia è unanimemente considerato uno degli scrittori italiani di maggior talento, specialmente nella sua capacità di manipolare la lingua in forme sempre diverse e funzionali alla storia che si propone di raccontare.
La scrittura di Sinigaglia è infatti al contempo ricca di conoscenza ma anche leggera a fluida, veloce e beffarda come solo chi ha completa padronanza dello strumento che impugna sa fare. Grave disordine con delitto e fuga, (ri)pubblicato da Terrarossa si pone in quel territorio di confine che ospita i racconti lunghi e i romanzi brevi, dando piena cittadinanza anche all’ultima pubblicazione della casa editrice barese.
Leggendo il libro il lettore si sente trascinato nella sceneggiatura di una commedia grottesca del neorealismo italiano, epoca d’oro del cinema nostrano, in cui una voce fuori campo, quella dello scrittore, ci conduce nella vita del protagonista: l’ingegner De Rossi. Rampante rampollo di una famiglia di industriali lombardi che ha fatto la sua fortuna con abili mosse nel campo immobiliare e che oggi ha spostato i suoi interessi nel campo finanziario. La prosa di Sinigaglia è ironica e puntuale, forbita senza essere pesante. La lettura procede veloce come su uno scivolo che da un registro ironico ci fa attraversare diversi altri stati d’animo arrivando alla tragedia – ma non senza prima attraversare il grottesco e il perturbante.
Il mondo, apparentemente perfetto come l’ingranaggio di un orologio svizzero, all’interno del quale si muove il nostro protagonista viene sconvolto dall’ingresso in scena del più classico quanto inconsapevole degli antagonisti, tale Michelangelo detto Jimmy. La sola venuta a conoscenza dell’esistenza di questo essere umano da parte dell’ingegner De Rossi mina alle fondamenta l’ordine cartesiano all’interno del quale si muove quasi ad occhi chiusi. Ogni giornata, ogni personaggio, ogni interazione hanno una loro precisa collocazione nella vita del protagonista che con l’ingresso in scena di Jimmy vede a poco a poco sgretolarsi le sue certezze sul mondo esterno ma soprattutto su quello interno a sé stesso.
Quasi non ci accorgiamo, portati per mano dalla scrittura di Sinigaglia, di come ci spostiamo gradualmente da un posto pulito e ben illuminato fino a trovarci nel guado dei più reconditi e spietati istinti umani. Così in questo racconto che non ha soste, senza divisioni in capitoli, ma che rappresenta un unico fiume da navigare dall’inizio alla fine, giungiamo alla resa dei conti determinata solo in parte dal caso. Ed è nelle ultimissime pagine che la lama dell’autore si affila fino a diventare quasi ghigliottina, uno strumento senz’anima che persegue il suo scopo senza remore. Gli istinti vanno soddisfatti, è l’unico modo per liberarsi delle proprie ossessioni, quasi a voler parafrasare un vecchio adagio di Oscar Wilde così la parabola del racconto di Grave disordine con delitto e fuga si risolve come in un capriccio di un antico monarca oggi ereditato da un capitano d’industria.
L’oggetto del desiderio perde d’importanza quando a questo desiderio cede le armi. Al termine del libro resta la sensazione di essere stati condotti in vari gironi infernali come in una sorta di parabola neorealista in cui i buoni e i cattivi, i padroni e gli schiavi si scambiano di posto in un walzer di vizi e virtù umane.