“Evohé” rappresenta il richiamo e l’esclamazione di giubilo, in questo caso, per la poesia. Una rubrica a cura di Tania Pleitez Vela e Rocío Bolaños, alla ricerca di poeti, versi. Qui i numeri precedenti.
Stefano Simoncelli è nato a Cesenatico, ma da diversi anni vive a Acquarola sulle colline di Cesena. È stato uno dei redattori di «Sul Porto», la rivista di letteratura e politica a cui collaborarono, tra gli altri, poeti come Pasolini, Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini, Raboni e Giudici. Esordisce nel 1981, con la raccolta Via dei Platani (Guanda) a cui segue, nel 1989 il libro Poesie d’avventura. Poi dopo quindici anni di silenzio nel 2004 viene pubblicato con Pequod Giocavo all’ala e nel 2006 La rissa degli angeli. Da allora ha pubblicato numerosi libri di poesia tra cui Hotel degli introvabili, Prove del diluvio, Residence Cielo e, nel 2022, Sotto falso nome, sempre per Pequod, che è stato nella cinquina dei finalisti al Premio Strega Poesia del 2023.
Ho conosciuto Stefano Simoncelli lo scorso marzo a Busto Arsizio in un evento organizzato da Rocío Bolaños, dove abbiamo condiviso una lettura di nostre poesie e, cosa che mi è capitata raramente, ho toccato con mano la piena coincidenza di poeta e poesia. La poesia di Simoncelli è come il suo stesso respiro, il tono della sua voce, come il suo sguardo che si muove vivace sul mondo circostante a volerne carpire al volo il segreto che sente risuonargli dentro. L’evento che, come racconta in un’intervista, ha attivato in lui il cromosoma della poesia è stata la morte della madre. Quell’evento luttuoso, a cui purtroppo ne sono seguiti altri, il padre, la moglie, ha lacerato il velo che separava lui già poeta, perché Simoncelli crede che poeti si nasce, dalla poesia. Dal dolore è dunque sgorgata la parola poetica attraverso la quale però il poeta, nonostante la malinconia e direi pure un profondo senso di nostalgia che percorre la sua poesia, ci fa sentire tutto il suo amore per la vita, la gratitudine verso i genitori, verso l’amata moglie e intrattiene con essi un fitto dialogo. I suoi cari morti non sono però dei fantasmi, perché egli attraverso la poesia li riporta in vita, disincarnati sì, ma vestiti della carne vivente della poesia e dunque quanto mai veri e presenti. Una sorta di tramite tra il tempo e l’eternità, o anche di guide, di ombre che dall’aldilà rischiarano la quotidianità del poeta. Quindi il dialogo con i morti è in realtà un dialogo che Simoncelli intrattiene con la ricchezza della vita che ci rimanda attraverso immagini vivide in cui si dipana il racconto di un’esistenza che pure nel “ventre stremato dell’ombra” accoglie e dona luce e bellezza.
Lucianna Argentino
1
Continuo a credere che quell’uomo seduto
sotto l’ombrellone di un caffè all’aperto
forse in via Dante, a Milano, sono io
mentre aspetto i due Giovanni e Vittorio
per un bitter Campari guardando la gente
che passeggia davanti alle vetrine. E’ sera
e non so come, ma ritorno sempre indietro
per paura di andare avanti, attraversare
la zona pedonale, entrare nella galleria
dove la strada svolta in chissà quale altrove
e lì incrociare mio padre che domanda sorpreso:
“che ci fai qui con questo tempo? Tra poco nevica”.
Poco dopo mia madre senza sciarpa, cappotto
e cappello che passa tremando di freddo.
Chissà dove sta andando e cosa pensa.
Anch’io sto cominciando a chiedermi
come finirà il mio viaggio, se incontrerò
i corpi che ho amato o non vedrò nessuno,
se sarà stupendo o non ricorderò più niente.
*I due Giovanni e Vittorio sono gli amici poeti
Raboni, Giudici e Sereni
2
Capiterà un’altra volta che mi perda
nei sentieri delle volpi sulle colline
o in una parte oscura della città
dove c’era il lazzaretto della peste
o l’ex lavatoio dove andava mia madre
a sciacquare i panni con l’acqua delle piogge
e mi immagino che quando si sarà fatto tardi
non percorrerò di corsa la strada di casa
sotto le trasognanti ombre dei platani.
Ci sarà un nuovo percorso da seguire
con il bivio di sassi che ho sognato
una notte nel coma o forse no,
mi correggo, ci sarà una sfilata di facce amate
che mi aspetta un po’ più avanti di domani,
di sempre, e capirò di colpo tutto quello
che è successo e non avevo capito. Allora
mi fermerò a guardare l’acqua ferma
sotto il ponte, le barche nel canale
e sarà la grande festa della luce.
3.
Mi accusano di avere conversazioni
notturne con figure immaginarie
o scomparse da molti decenni
e mi vorrebbero rinchiudere in questo posto
senza finestre come se dovessi scontare
qualche peccato o chissà che colpa.
Avrei bisogno di incontrare un’anima buona
che mi dia una mano e sia disposto a credermi
se gli racconto che ho visto mio padre arrancare
a notte fonda nel nostro cortile tra la neve
che gli arrivava alle ginocchia e voleva
che lo andassi a prendere, supplicava
chiedendo che lo portassi sulle spalle fino a casa.
Ci sarà un angelo caduto per sbaglio sulla terra,
un fuggiasco o un clandestino che venga fuori
dalla pioggia e mi ascolti qui dove mi sento
come un venditore abusivo di ombrelli?