L’epoca dei complici

Non vi daranno tregua. Pensate di essere sicuri che, prima o poi, gli evidenti limiti democratici di questo governo non saranno più sopportabili e siano destinati inevitabilmente a scomparire, anche loro, come sempre è capitato. Aquarius è un nome che, oggi, evoca orrore perché è la prima, dolorosa, manifestazione di ciò a cui possono portare le parole d’odio nell’epoca che viviamo e di quale sia il tremendo potere della propaganda. Di come e quanto, soprattutto, possa corrompere in profondità le persone fino al punto di trasformarle in proprie complici, nella maggior parte dei casi coscientemente, salvo poi ritrattare, come i tanti che, forse, ora guardano con disappunto ciò che hanno fatto alle scorse elezioni. Un esercito di stanchi e insofferenti, forse anche di buona fede, ma che ormai – perché questa è la democrazia – hanno sporcato le mani a tutti.

La vergogna, quella no, non andrà mai via. Perché le responsabilità sono molteplici e non appartengono mai solo al capo del filo. Gli indifferenti, come ne parlava Gramsci, sono quel terreno su cui l’erba cattiva poco a poco conquista il suo spazio fino a renderla arida. L’eredità, certe volte, fa lo stesso, lo dimostra la Polonia quando volutamente cancella le tracce di ciò che è stato. Un paese che non si assume le proprie responsabilità è destinato a ripetere gli errori dei propri avi ma solo i figli ne pagheranno le conseguenze, perché le rivisitazioni si distinguono dall’originale solo per la loro crudeltà e per l’accanimento che mostrano verso i più deboli, quelli più facili da schiacciare.

Già, i più deboli, quelli la cui voce è benzina per i toni incendiari di chi li condanna e il brusio di chi gli dà ragione. Il problema è che respirano, che ci rubano il lavoro, osano alzare la testa e, per la tradizionale regola del punirne uno per educarne cento, meritano quello che vanno a cercarsi. Persino quelli di Macerata o di Rosarno, come Soumaila Sako, venuti dalla guerra e dalla povertà per diventare schiavi nelle piantagioni di pomodori a tre euro all’ora e vivere in capanne peggiori di quelle che avevano lasciato. Ci sarà clamore, ma sempre meno, perché la natura dello scandalo è ingannevole, fa così tanto rumore ma poi sparisce, dalla prima scivola all’ultima pagina. Questo ha reso il potere più sicuro di sé, agisce quasi indisturbato e comincia già a sedare le frange di chi si oppone. In maniera indiscriminata, promettendo e infervorando, con il suo braccio armato o quello viscido e silenzioso. Scheda e minaccia i giornalisti, li allontana, li sfida battendosi sul petto la coccarda tricolore. Ha ragione Saviano quando rivendica l’essere nemico a questo governo e di essere annoverato fra gli ultimi. Del sangue e delle sofferenze che hanno causato e causeranno saranno loro i responsabili, ma noi dovremo scontarne tutta l’umiliazione. Dovevamo essere più saldi all’arrivo della tempesta ma ci ha sorpreso e, ora, non sarà facile uscirne. Questo nuovo fascismo non verrà – per ora – a casa vostra a picchiarvi o a versarvi olio nei bicchieri, proprio perché l’Europa che odiate vigila su di voi, in disparte, come un padre preoccupato. Ma comincerà a togliere le più piccole libertà. Quelle dell’accoglienza, quelle di manifestare il vostro dissenso, vi renderà armati, uno contro l’altro, perché in fondo è così che agiscono, separando e dividendo, rinchiudendo nei confini il buono, spacciando il marcio per l’unico erede del cambiamento. Alza i muri, e divide già le famiglie negli Stati Uniti, ma lo farebbe anche nel Mediterraneo se fosse possibile costruirlo e lo fa con la complicità dei vicini, di chi non ha saputo sfidare il tempo, contando su uno spirito che si è sempre più dissolto. La resistenza, invece, si fa coi numeri, con le parole giuste rispetto a quelle che vengono urlate, con la curiosità e il non accettare quello che sembra bastare. Quello che hanno dimenticato molte persone che, pure, erano nate nei movimenti, nel socialismo e, pure, secondo le leggi cristiane.

Salvini vuole difendere gli italiani, sì, ma quali di preciso? Quelli abbandonati in nome dei rapporti con l’Egitto come Regeni, o quelli che arricchirà la Flat Tax? Quelli che usano il potere come un’arma contro chi devono difendere o quelli che subiscono? È qui la grande bugia. Siete stati così tanto convinti che il problema sia dei piccoli, di chi mentre lotta per sopravvivere trova il tempo per pensare a come rubarvi la vostra posizione di rilievo, rispetto a coloro che vi hanno già rubato parte del futuro. E non serve andare molto lontano per scoprirlo. Sono, banalmente, quelli che non pagano le tasse, quelli che accettano i compromessi o si approfittano della propria posizione, chi scende a patti con la malavita ma, soprattutto, chi non pensa. Quando la lista degli invertiti, di quelli non simili alla loro idea, inizierà a sfoltirsi raggiungerà anche voi, perché l’odio non si esaurisce mai e un governo basato sulla persecuzione solo di quella si nutre. Non basta ricordare Niemöller, serve chiedere scusa, anche per i nostri genitori, a chi, come Liliana Segre, si ritrova immersa in un mondo che pensava sepolto, alla stessa ignoranza convinta di poter perseguitare il diverso, o lasciarlo solo, pensando che il male sia già arrivato così lontano da non potersi ripetere. Invece siamo proprio qui, dove «un uomo che non è altro che un uomo sembra aver perso le qualità che spingevano gli altri a trattarlo come un proprio simile.». Come rifletteva Hannah Arendt, un’altra lezione che abbiamo volutamente perso tra le pagine del nostro tempo.

Perché prima della solidarietà non dovrebbero venire i dati, non dovrebbe servire una necessità di dimostrare quale sia la strada giusta, se non quella dell’accoglienza, di riconoscere i veri problemi e scartare le tentazioni del propagandismo. Sono 4,7 i miliardi di euro che costerà, secondo le stime, l’accoglienza di migranti nel 2018 (Agi), mentre si attestano tra i 124 132 quelli ‘scomparsi’ a causa dell’evasione fiscale per l’Università Ca’ Foscari (Repubblica), 3,5 (La Stampa) quelli dispersi per la corruzione. Escludiamo dal conto i problemi indiretti, e non calcolabili, così come il gettito delle mafie che, a guardarci bene, è proprio vero che quando si punta l’indice contro qualcuno le altre tre dita incrociano spesso i veri responsabili, più italiani (ed europei) che mai.

Un problema migratorio esiste, da sempre. Spacciare la crisi come il principale indiziato della mancata integrazione sarebbe sminuirlo, fermarsi, appunto, al primo ostacolo di un discorso molto più complesso che ha a che fare con l’educazione e la cultura. Cosa vi rende così desiderosi di difendere un paese e una nazionalità che nella maggior parte dei casi date per scontata, di una lingua che fatica a esprimersi e si limita sempre di più all’essenziale, cosa pretendete di insegnare all’ultimo arrivato se quando arriva in classe lo schernite o lo escludete? Il destino di chi è sfruttato è presto scritto se non è in grado di unire le forze, di informarsi e legarsi contro chi è il reale colpevole. Non i cinque anni di un colore piuttosto a un altro, ma cinquant’anni di promesse sfuggenti, di paure delle responsabilità, di tornaconti che solo ora hanno trovato un nuovo colpevole – ieri i terroni, oggi gli immigrati, domani i rom ma la vita è sempre un cerchio che si ricongiunge. Quando ci guarderemo allo specchio ci ritroveremo tutti più brutti, più poveri, più tristi e, a conti fatti, forse dovremmo incolpare solo quelli che ce l’hanno fatta, a sopravvivere come animali.

 

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