Il 2 dicembre, i Soviet Soviet hanno presentato in anteprima assoluta live il loro secondo album, Endless al Sound Music Club di Frattamaggiore, a una decina di minuti dal centro storico di Napoli. Da ormai più di un anno, il locale, ideato e gestito da Tiziana Palmieri, ha saputo ridefinire i confini della dimensione da club sul territorio campano. Con una proposta che fa della musica indipendente la sua bandiera, il Sound ha privilegiato un rapporto di fedeltà e, allo stesso tempo, di sfida e continuo stimolo al proprio pubblico senza inciampare in scorciatoie da facili sold out riuscendo, così, a mantenere intatta la propria vocazione: saper coniugare, mescolando musica strumentale ed elettronica, progetti classici e autoriali con quelli più sperimentali e di nicchia affidandosi ai grandi nomi della scena alternativa come anche a una nuova ondata di giovani musicisti che possono esibirsi nell’ampio spazio sotterraneo con tre sale indipendenti.
E, mai come per i Soviet Soviet, forse il gruppo più interessante di quella che in questi anni può essere, a ragione, definita come scena pesarese (Be Forest, Brothers in Law), è opportuno parlare di ondata avendo il trio di giovani musicisti già dimostrato di poter guardare dritto negli occhi lo storico mondo wave e dark (ma non solo). A differenza di chi, Federico Fiumani in testa (con i Diaframma sarà ospite al Sound la notte di Natale per celebrare il capolavoro Siberia), negli anni ottanta provò a portare quella musica in Italia non abbandonando la madrelingua, i Soviet Soviet hanno scelto la linea più confortevole di un cantato in inglese saltando a piè pari (scelta ovviamente rispettabilissima) uno degli ostacoli più impervi di quella che fu la new wave italiana ma aprendosi in questo modo anche a importanti canali in giro per il mondo dove hanno suonato e sono stati puntualmente apprezzati.
Con alle spalle una manciata di EP e, soprattutto, un album, Fate, uscito nel 2013 con il favore di pubblico e critica, il trio pesarese affronta il palco per la prima volta in questo tour, cercando di confermare quanto di positivo fatto ascoltare negli anni passati. Un rapido ascolto del disco nel pomeriggio, prima del concerto, ha, in realtà, lasciato un sapore dolceamaro tra luci e ombre. Endless, a dispetto di alcune dichiarazioni rilasciate dai tre musicisti, appare, in effetti, parente strettissimo del lavoro precedente pur avendo sicuramente smussato una certa cupezza che permeava Fate, rivelando un’attitudine che, anche se in minima parte, può sicuramente definirsi di maggiore respiro e calore.
Fin dagli esordi, per i Soviet Soviet è stato chiaro l’albero genealogico dei riferimenti artistici. Se è vero che negli ultimi anni la musica (quando non puramente elettronica) è ormai rielaborazione di forme precedenti, altrettanto vero è che, proprio perché costretti a muoversi in corridoi così stretti, nel cercare di capire il valore di un progetto musicale, assume sempre più peso la capacità di distacco da certi modelli, il lavoro di emersione verso una propria personalità che permetta, allontanandosi da una posizione di recupero e riproposizione, di volgersi, in definitiva, alla creazione di una forma espressiva che sia originale, unica e riconoscibile.
Il tentativo di smarcarsi da una pesante eredità musicale, non del tutto riuscito nei pur interessanti lavori precedenti, è sottolineato dal cantante e bassista Andrea Giometti prima di Surf a Palm, uno dei nuovi brani proposti, caratterizzato, in effetti, da una più accentuata coloritura rispetto ai paesaggi glaciali di Fate. Nei pezzi nuovi, su disco come in questo primo live, l’ispirazione wave permette, maggiormente che in passato, che a occupare il campo siano contaminazioni più post punk e, novità, anche un rock più classico e dalla matrice più grezza del primo tessuto grunge.
Va subito riconosciuto alla band che le sonorità, che su disco non sembrano, alla fine, essere molto diverse dalle prove precedenti (al netto ovviamente di una maturità che la crescita e l’esperienza hanno permesso di acquisire) nella dimensione live, da sempre a loro congeniale, appaiono invece acquisire un nuovo passo.
Soprattutto nei momenti in cui la band, a tratti invece un po’ slegata, converge su un unico spazio condiviso, come attratti verso il centro del palco davanti alla batteria dominata da Alessandro Ferri, con i tre immersi nel buio creato dall’improvviso abbassarsi delle luci del palco, si ha la sensazione che quel buio coincida con quello in copertina al centro della nebulosa rossa e che è dal quel posto oscuro che proviene una musica la cui natura sembra sottostare a un’urgenza sonora alla quale in alcuni momenti viene forse sacrificato qualcosa in termini di complessità e varietà. Le luci essenziali del Sound che virano continuamente nelle tonalità del rosso, del blu e del verde, come nell’ultimo film di Refn, sembrano costruire lo spazio ideale per far risaltare il senso grezzo d’immediatezza del suono live della band.
Su Rainbow il suono elettronico si fonde per alcuni momenti al set classico della batteria per sorreggere con marzialità le sonorità della chitarra di Alessandro Costantini e, soprattutto, la linea di basso che qui, come in altri pezzi, si fa percorso narrativo dentro la progressione musicale. Con Costantini più fermo e riflessivo, e Ferri dietro la batteria con una t-shirt degli Algiers, è sicuramente al cantante/bassista che è affidato l’impatto visivo del concerto che non delude, seppur dominato da una certa rigidezza, cadenzato com’è dai movimenti costanti e sincopati che provano a riempire lo spazio tanto fisico quanto sonoro del club di Frattamaggiore. Giometti porta spesso il basso fino all’altezza dell’omero come fosse un fucile, un’arma da fuoco da puntare sui compagni e sul pubblico; appare in simbiosi con uno strumento che assume quasi le sembianze di un corpo vivente al punto che quando per pochi secondi il basso per un problema tecnico diventa muto, sembra quasi di assistere a una scenetta tanto divertente quanto drammatica di tentativo (riuscito) di rianimazione.
Un maggiore calore avvolge, invece, la parte conclusiva del live con tre pezzi Fairy Tale, Pantomime e Blend, tutti tratti dal nuovo disco ed è forse il momento migliore per coesione, ricchezza e profondità di suono, e per lo stesso coinvolgimento della band che, finalmente più divertita e meno controllata, riesce così a spezzare un po’ della monotonia di un suono sicuramente collaudato e convincente ma che a volte non sembra superare proprio quella prova di originalità nella rielaborazione che ci saremmo aspettati. Questo non impedisce comunque ai tre di essere subito chiamati al bis dal pubblico senza neanche avere il tempo di uscire dal palco e così il trio pesarese concede, tra i ringraziamenti, Further, pezzo dall’album precedente che chiude il concerto con una lunga coda di effetti.
Fotografie a cura di Rosalinda Falco