En Plein Air Festival @ Padova

Domenica mattina mi sono chiesto perché diavolo la mia sveglia stesse suonando prima delle 9. Poi mi sono ricordato di En Plein Air, il festival de La Mela di Newton di cui L’Indiependente era partner. Allora ho spento la sveglia e continuato a dormire.

Poche ore dopo ero là, all’Anfiteatro del Venda, uno spiazzo in mezzo ai Colli Euganei poco fuori Padova reso fruibile dall’intuito di Marco, il viticoltore proprietario del terreno. L’atmosfera è quella del pic-nic del 25 aprile, con gli spettatori in arrivo alla spicciolata sul ripido sentiero che conduce all’Anfiteatro e gli strumenti dei musicisti trascinati qua e là da un trattore.

Nel primo pomeriggio iniziano i concerti. Aprono i Bungalow 62, più convincenti dal vivo che su disco. La performance sembra tagliata su misura per dare la stura al festival. D’altra parte Paolo Forlì, cantante e anima del progetto, me lo aveva anticipato: “Rispetto ad anni fa mi sono calmato, ma ogni tanto mi parte ancora il matto.”

E i pezzi risultano davvero imprevedibili. Tanto tranquilli da parere sedati, ma con qualche schizzo che da solo è un trattato contro la legge Basaglia. Ne esce un’esibizione davvero buona e ha ragione Forlì quando dice che l’entrata nella formazione di Michele Massoni ha arricchito l’offerta del gruppo.

Mentre nella zona bar si inizia a capire che direzione prenderà la giornata, sul palco salgono i Rigolò. Il quartetto emiliano è un quadretto abbastanza variegato di tipi umani, sembra un gruppo formato pescando nomi a caso dall’elenco telefonico.

L’amalgama però funziona. Parecchio. La presenza di Jenny Burnazzi, la violoncellista, è il grosso elemento di originalità della band, che, anche secondo il frontman Andrea Carella, si sta evolvendo. Ovvero: se avete poco tempo a disposizione, ascoltate l’ultimo album piuttosto che i primi due.

A fine concerto il festival ha definitivamente preso il giusto ritmo e quando è il turno di Andy Dale Petty, un folk singer a stelle e strisce, più di qualcuno è troppo impegnato a svuotare bottiglie per seguire la performance.

Non è un peccato. Il ragazzotto dell’Alabama ha capito benissimo qual è l’utilità di una chitarra per un maschio e sfrutta il palco per individuare su quale gruppetto di spettatrici fiondarsi non appena gli avranno tolto da davanti quel fastidioso coso nero a forma di cono gelato.

Elli de Mon è un’altra storia. La cantautrice di Vicenza si propone come one-girl-band e un motivo c’è. Suona un numero indefinito di strumenti, talvolta contemporaneamente. Il suo è un blues arrabbiato e vivace che lascia stupiti. Una bella sorpresa.

La ragazza prova anche a coinvolgere il pubblico, che però, per la bella giornata e per l’enorme spazio a disposizione, preferisce starsene stravaccato sul prato di fronte allo stage. Perché è un festival un po’ così, dove la musica è sul palco ma anche sullo sfondo e i cantanti vanno e vengono con la tranquillità di chi non ha la pretesa di essere un fenomeno, ma vuole partecipare ad un evento originale.

I concerti finiscono prima che il buio arrivi a ricordarmi quanto possa essere inquietante passare l’inverno sui Colli Euganei (una specie di Shining doppiato in veneto stretto, immagino). A festival terminato resta l’impressione di un evento davvero ben riuscito e la sagoma arrapata di Andy Dale Petty che vaga alla ricerca dell’unico motivo per cui ha iniziato la tournée.

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