Elvis Costello, il Johnny Rotten col frac

a cura di Gianmarco Giannelli

Questa storia inizia con un re riconosciuto tale dai suoi pari e acclamato dai suoi sudditi. Un re che ha conquistato il suo trono con un’irresistibile ascesa nel cuore della gente e in quello della musica, della musica rock in particolare ma non è un nome che ci permette di badare a queste etichette. Questa storia, però, non narra del re ma di un impostore.

Per ora, la storia sembra una brutta copia dell’Amleto ma, se effettivamente è di questo che si parla, preparatevi perché a breve parteggerete per il re Claudio. Decklan Patrick MacManus decide di puntare al regno quando il suo primo produttore gli chiederà di adottare un nome d’arte che ben si adatti a un musicista in ascesa. La sua scelta sarà tra le più coraggiose possibili: il cognome utilizzato nelle esibizioni soliste da suo padre musicista e il nome del più grande di tutti, del re del rock.

Elvis Costello.
Nome pesante da portare che, però, esprime al meglio la volontà del ragazzo. Volontà che lo porterà ben presto a essere una sorta di nemesi di Elvis Presley. Perché in trent’anni di carriera, il fare anticonformistico, ribelle e camaleontico di Costello lo porteranno a fare delle scelte totalmente indifferenti alla fan base che ora lo adorava, ora non lo capiva, ora lo odiava. Perché Elvis Costello, come un Magellano del pentagramma, ha come suo obiettivo l’esplorazione di territori musicali per lui ignoti. Non ci sono generi che non meritino di godere di rilevanza. La musica sta nelle differenze, nel mélange di elementi diversi, nell’associazione inaspettata. La musica è ovunque e questo ovunque, per quanto possibile, deve essere sondato.

La carriera di Elvis Costello ripercorre esattamente questo cammino tra i generi e gli stili. Giovanissimo, si avvicina al mondo del punk e della new wave e cerca di incanalarsi in quel flusso. Non lo adotta solo dal punto di vista artistico ma anche nel suo modo di essere anticonformista e sregolato. Si fa arrestare per una protesta contro la Stiff, la sua etichetta discografica che distribuiva il suo primo disco, My Aim Is Real, solo in UK (era il ’77) e gli viene impedito di partecipare al Saturday Night Live per aver interrotto una sua esibizione, iniziando a suonare Radio Radio in segno di protesta. Personalità impossibile da afferrare, continua la sua marcia verso il trono del rock a suon di innovazioni musicali e atteggiamenti in incredibile contrasto tra loro. Elvis Costello è punk ma è un gentiluomo. È Johnny Rotten col frac. È un lord con le borchie. Paladino contro il razzismo, in un’intervista da ubriaco marcio offende con insulti razzisti Ray Charles.

Nuova stella del rock, decide di svoltare verso il soul negli anni ’80. Esce Get Happy!!! I fan sono confusi ma il nuovo stile viene apprezzato e gli ammiratori si innamorano di nuovo di lui. Qualche vecchio fan si perde, qualche nuovo fan si acquista. Il nuovo corso del soul sembra essere perfetto per Elvis Costello che sembra aver trovato la sua dimensione. Questo ciò che pensano tutti. Ma il punk e il soul sono solo una fettina di quella torta che è la musica e Elvis è intenzionato a farsi venire il mal di stomaco. Vira verso il country con Almost Blue, si perde in atmosfere più malinconiche e cupe con Imperial Bedroom, acquista un sound più jazzistico, passa a atmosfere della cultura black tipiche dell’hip hop. Scrive canzoni d’amore, parla della vita, scrive canzoni di odio (sotto lo pseudonimo di The Impostor) contro il governo britannico, critica, disprezza, si emoziona.

Ci vuole un’intera palette di generi per dare spazio a tutto ciò che Elvis Costello rappresenta per Elvis Costello. Ma lui sa bene cosa è diventato. Lo dice lui stesso, dando un titolo abbastanza esplicativo a un suo album dell’86: King Of America. Elvis Costello è diventato un re, proprio come colui a cui aveva “rubato il nome”. Ma, come detto, il regno di Costello sarà molto diverso da quello di Presley. Entrambi hanno rappresentato un punto di svolta nella storia della musica, entrambi erano personalità ribelli (seppur con le ovvie differenze dovute al momento storico in cui hanno vissuto). Ma mentre il regno di Presley era un regno in cui il re aveva come obiettivo quello di compiacersi dell’amore dei sudditi e di compiacerli per essere riconosciuto come il migliore, come la punta della piramide; Costello sembra non avere come fine della sua musica i fan, non è infatti di loro che si circonda.

A Costello non interessano i sudditi, interessano gli altri re, i conti, i marchesi. Perché i sudditi non possono aiutarlo nella sua missione di avanscoperta musicale, i nobili sì. Per questo, non importa che il mondo lo veda come un uomo-simbolo dello spirito punk, affianco al suo trono vorrà quello di un altro genio che sia in grado di fargli esplorare la musica pop: collaborerà con Sir Paul McCartney e scriverà, tra l’altro, la super hit Veronica, contenuta nell’album Spike dell’89. Poco conta che ormai la gente lo veda come un esponente del rock più puro, quando vorrà provare che sapore ha il jazz, chiamerà a collaborare con lui Chet Baker. E proprio quando si penserà che non possa far più di quello che ha fatto, collaborerà con i The Roots perché c’è anche quella musica e, in quanto tale, merita di essere suonata.

This Year’s Model

Il trono diventa divano reale e chi ci è seduto ha definito la musica per come è oggi.
Se il regno di Elvis Presley si reggeva su un forte culto della personalità, quello di Elvis Costello aveva come stella polare il solo culto della musica. Nei meandri delle pubblicazioni musicali, dei live sopra le righe, delle cover, delle colonne sonore, delle prove attoriali, c’è un album che segna uno spartiacque non solo per Elvis Costello ma per tutta la musica moderna. Nel marzo del 2018 compie quarant’anni This Year’s Model, secondo album di Elvis Costello e primo con la band che lo accompagnerà per buona parte della sua carriera, The Attractions, una band dall’incommensurabile talento tecnico, assolutamente funzionale a rendere questo disco una pietra miliare.

Le 12/13 tracce (nella versione rimasterizzata è stata aggiunta Radio Radio) del disco segnano il punto di congiunzione tra il passato del rock e il suo futuro in ogni declinazione. Al primo ascolto si avvertono nitidamente le influenze del rock vecchia scuola, degli anni ’60: The Kinks, The Hollies. Un rock crudo e diretto senza troppi arabeschi. Ma, ascoltandolo con la dovuta attenzione, ci si accorge ben presto che, dal punto di vista musicale ma non solo, l’album rappresenta un contenitore in potenza di molte direzioni che prenderà il rock fino ai giorni nostri. Si riconoscono i The Smith, i Blink 182, gli Arctic Monkeys, i Kaiser Chiefs, i Franz Ferdinand. Un campionario della musica da cui ripartire e attingere in continuazione. Come la Svalbard Global Seed Vault in Norvegia raccoglie tutti i semi del mondo per non perdere il patrimonio genetico in caso di disastro nucleare, così This Year’s Model, nella stessa sfortunata ipotesi manterrebbe immutati i germogli di tutto quello che la musica ha espresso dagli anni ’80 in poi.

Così come il rock, anche i testi e il manifesto programmatico del disco sono diretti. Costello lascia parlare il suo lato oscuro, il suo lato più vulnerabile, insicuro e ferito. Non si nasconde dietro la sua aria da ribelle ma dà luce al suo lato oscuro. Lasciando i suoi tagli esposti alle intemperie, Costello ci conduce in un itinerario dentro se stesso in cui forse possiamo riconoscerci anche noi. Per questo, nella copertina Elvis punta verso di noi l’obiettivo della telecamera. ciò che è messo alla berlina nell’album riguarda tutti noi nel nostro aspetto più intimo e fragile.

Oggi potrebbe suonare come qualcosa di scontato. Il contrasto tra chitarre rock e testi che parlano di dubbi interiori sembra ovvio a un fan dei The Smiths, ma all’epoca dei Led Zeppelin e dei Deep Purple era tutt’altro che scontato. “If I’m going to go down, You’re going to come with me” non sono versi che fanno parte della rock attitude di quel tempo. Facile dire che il rigetto della fama e la paura di diventare una star sia qualcosa di ritrito nel mondo del rock, dopo che questo terrore è stato innalzato a gesto estremo da Kurt Cobain ma non era qualcosa di ovvio negli anni ’70. Non tutti avrebbero cantato “I don’t want to go to Chelsea”, dove Chelsea rappresentava il quartiere di chi era arrivato, di chi ce l’aveva fatta. Chi non avrebbe voluto far parte della gente che conta, dello star system a quell’epoca (e ancora oggi)? Elvis Costello. Rigetta la fama, l’amore incondizionato dei fan. Nulla importa. Conta la musica e l’espressione di sé nella versione più schietta e sincera. In un quartiere in cui i vicini partecipano a una gara per avere sempre l’ultima versione, quella migliore, all’ultimo grido, Elvis Costello chiede di essere il modello dell’anno scorso. Magari con qualche graffio ma ancora affidabile.

In This Year’s Model, Costello non ha paura di mostrarsi come il lato ferito di una relazione. Le sue compagne, i suoi amori sono tormentati e lo vedono sempre nella posizione di colui che subisce. Quando si trova in paradiso con la sua amante, sa bene che si tratta di una condizione fondata sulla caducità e che quando quell’attimo sarà passato, sarà lui a essere abbandonato: “Oh, the thrill is here but it won’t last long / You’d better have your fun before it moves along / And you’re already looking for another fool like me”. Le donne che devono ribellarsi ai canoni imposti dall’alto e spacciati come ovvi relativi alle regole dell’attrazione (come canta in This Year’s Girl) usano Elvis Costello: “You say you just want to use me, oh”. Siamo al lato opposto rispetto al culto della personalità che veniva promosso dalla cultura rock degli anni ’70. Gli amori che Costello racconta nel suo disco non sono mai colti nel momento in cui si consumano ma in quelli più ardui. Narrano le fasi dell’innamoramento faticoso e della difficile rottura.

Elvis Costello grida al mondo di essere un essere umano. Un re vestito di stracci seduto su un trono di legno marcio. Il percorso musicale che l’album offre attraversa stilemi musicali differenti. Si trovano atmosfere più punk come in No Action che apre l’album come un lampo fugace che si caratterizza per la velocità d’esecuzione e la durata breve propria dell’eredità dei The Clash e dei Ramones. Troviamo il classic rock di This Year’s Girl, ma anche i suoni precursori del pop anni ’80 creati con le tastiere come nel refrain di The Beat, fino ad arrivare al simbolico raggae di (I Don’t Want To Go To) Chelsea.
L’album vive di una sezione ritmica schizofrenica: ora rapida e impetuosa, ora lenta e misurata. La chitarra è fulminea e nevrotica, l’organo sembra voler simboleggiare una discesa nel buio come gli arpeggi discendenti che si ripetono in loop in Pump It Up. Le tastiere sono le vere protagoniste musicali dell’album. “Rubano” il ruolo armonico alla chitarra di Costello che può permettersi di suonare “solo” dei contrappunti per la sua inimitabile voce (come accade nella traccia figlia dei sixties, You Belong To Me).

Ma alla musica blues che emerge da pezzi come Little Triggers (in cui si sente fortissima l’influenza di Lou Reed di Transformer), si oppone l’energia di Costello che non perde mai di vista il suo obiettivo: meritarsi il nome che ha chiesto in prestito all’eroe di Memphis a qualunque costo. La sua rincorsa è animalesca e la sua rivoluzione vuole farci saltare su ciò che gli impedisce la scalata. La protesta è il suo forte, l’aveva mostrato alla prima possibilità. In This year’s Model i bersagli sono due e vengono presi di mira uno dopo l’altro nelle tracce che chiudono l’album: Night Rally e Radio Radio. La prima contro le forme di fascismo di massa, la seconda contro il mondo della produzione musicale (suo pallino già da My Aim Is Real).

Il mondo che si nasconde dietro This Year’s Model è un caleidoscopio di sentimenti che sgorga dall’introspezione di Elvis Costello che vuole metterci davanti alla versione più cruda di sé e della realtà in cui questo sé si trova ad abitare. Il re è nudo e ci sta chiedendo di fare caso alle parti del corpo rimaste scoperte dalle striminzite magliette acquistate un anno fa.

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