Eleva 2.0: perché un festival di musica elettronica non è una serata in discoteca

Sono due i binari che bisogna affrontare per comprendere quello che è successo alla seconda edizione di Eleva festival, da un lato quello organizzativo e delle performance dei tanti artisti che si sono mossi sui palchi, dall’altra quella dei tanti che ci sono stati. Perché la riuscita di un festival non è una questione soltanto di numeri, che lasciano ben sperare in direzione di un prosieguo, o di cast, di alto livello, e non dipende neanche totalmente da chi la organizza ma, soprattutto, da chi la vive e da come decide di sfruttare le tante occasioni che gli vengono offerte.

Meeting Verde // Chiostri di San Pietro (13 settembre)

I chiostri di San Pietro sono uno dei luoghi più magici della città che, come succede spesso in Italia, aprono poco al pubblico e, quando lo fanno, lasciano a bocca aperta chi ci entra. Eleva ci ha portato un festival di musica elettronica ma non solo, reinventandolo, ha permesso a tante persone di scoprirlo e dargli l’attenzione che merita. L’ambiente è magico, la serata parte presto e, come è normale, ci mette un po’ perché si riempia. Sono due i palchi, uno subito all’ingresso, mentre il main stage è proprio in mezzo all’immenso chiostro storico. Suonano, almeno all’inizio, volti noti nel circuito cittadino, insieme a Things Happen. Nella serata sono previsti anche Eddie C dal Canada e, per la seconda volta consecutiva, la partecipazione di Silvie Loto. La nostra attenzione però è tutta per il live di Godblesscomputers (che abbiamo intervistato qui). La reazione del pubblico è inizialmente fredda e, quasi, impaurita, di chi non è abituato a una musica elettronica di ricerca e non soltanto da club. I beat del compositore romagnolo sono particolari e ricercati, ed è un piacere essere così vicini a goderselo, impeccabile e davvero trascinante. Alle sue spalle, in sincrono, un gruppo di ballerini si esibisce sotto le sue note, mentre il mapping sull’edificio contribuisce a sviluppare quell’idea di innovazione continua. È la conferma delle varie dimensioni che ha un festival musicale, capace di coinvolgere non solo i centri neuronali stimolati dalla musica ma, si spera, anche altri. Qualcuno fra la folla si lamenta e se ne va, molti di più si avvicinano incuriositi e assistono al live, quasi stupendosi di vedere le proprie mani battere a un concerto elettronico. Le persone iniziano ad accumularsi intorno alle undici, tanto che quando usciamo si è formata una ressa che quel centro storico non vedeva da una vita. La serata però è ancora gravida di sorprese e di amarezza. A mezzanotte e mezza si presenta la polizia allertata da qualche abitante, con l’ordine di far cessare il rumore. Gli organizzatori, permessi alla mano, acconsentono ad abbassare il volume ma non basta, la denuncia è già partita. Reggio Emilia è una città che passa tre quarti dell’anno a lamentarsi del silenzio e dell’abbandono del centro storico, l’altro quarto a fare in modo che la situazione rimanga uguale e, ancora una volta, non si è smentita. Situazione simile, anche se in maniera diversa, già vissuta al Radar di Padova. Un’occasione persa dalle persone che non sono venute, e dai cittadini che preferiscono la polizia e il controllo a una città che si difende da sola portando i giovani per le strade.

Machweo w/t band – Foto di Lisa Barbieri

 

Meeting Giallo // Ex centrale elettrica (17 settembre)

Si ritorna alla centrale elettrica nell’infrasettimanale come nella precedente edizione. È un appuntamento più breve e più lounge, adatto a un mercoledì sera. Lo stage prevede, fra gli altri, il live di Machweo, progetto solista di Giorgio Spedicato, con la band al seguito, in cui figura Andrea Sologni dei Gazebo Penguins nella duplice veste di musicista-produttore. Se ne fa un gran parlare di questo Machweo, che ci eravamo persi all’Handmade e si trovava in gran parte delle line up dei festival estivi. Il nostro impatto è controverso, da un lato ne apprezziamo la musica, dall’altro ci pare ancora un po’ troppo incerto nell’aprirsi alle sue potenzialità, ma non ci dispiace nemmeno quando, ironia della sorte per il posto in cui ci troviamo, salta la corrente elettrica e improvvisamente anche la musica si ferma (a dirla tutta, questo effetto ci è pure piaciuto molto e, in un primo momento, visto il climax ascendente pensavamo fosse previsto). Come visto al meeting precedente, e in quello che verrà, soltanto più tardi una discreta folla inizierà ad ammucchiarsi prima della chiusura di mezzanotte.


Meeting Rosso // Centro Loris Malaguzzi (20 settembre)

Anche questo è un luogo importante, già coinvolto nella passata edizione, ma che quest’anno ricopre il ruolo di ospitare il main event. Poco fuori dalla città, in una zona, come quella della stazione, da sempre considerata fra quelle meno consigliabili della città. Per questa giornata il festival prevede 2 workshop, 3 palchi (uno gestito dai ragazzi di Handmade), un mercatino e 12 artisti, più le varie postazioni di ristorazione. La giornata inizia molto presto, alle 14 i cancelli sono già aperti e pure gratuiti, il tempo non è dei migliori ma non è una novità degli ultimi giorni. È sabato e le vasche in centro ci sono tutto l’anno, Yakamoto Kotzuga alle quattro del pomeriggio no, per questo siamo un po’ disorientati quando ci troviamo davanti poche persone e possiamo assistere a uno degli astri nascenti più luminosi della nostra musica praticamente faccia a faccia (ma, magari siamo noi che al sabato non sappiamo che cosa fare ed evitiamo come la peste le vie del centro storico). Il sound che produce è di una qualità stratosferica, raro e vivace che fa sentire le nostre orecchie quasi in colpa per essere così sole ma sappiamo che chi non c’è stato, per una scelta o per l’altra, se ne pentirà in futuro. Dopo di lui, mentre qualche faccia nuova si fa timidamente vedere, sul palco Handmade si esibiscono i Did che, come i Casa del Mirto successivamente, meriterebbero più attenzione da parte di chi, ogni weekend reggiano e non, si lamenta del fatto che non ci sia mai nulla. Soprattutto i Casa del Mirto, in ora di cena, dimostrano che tutta l’attenzione che hanno guadagnato in anni di dischi e live è meritatamente guadagnata perché sono di un altro livello e, forse, di altri tempi. Questa solitudine da ascoltatori pomeridiani prosegue, e ci spiace dirlo, pure per il live di GoDugong, che chiede ai pochi presenti di avvicinarsi, che siamo pochi è vero, ma magari buoni lo stesso. Non c’è neanche bisogno di spiegarle le capacità nel mixing del musicista milanese, o di come riesce a trascinarsi dietro tutte le persone che lo ascoltano, merito dei suoi mash up incredibili per qualità e influenze, dall’hip hop alla musica orientale, sotto un’elettronica sana e senza quiete. Inizia il buio, qualcuno si fa vivo. Come già detto la serata va avanti fino a tardi (l’aftershow aka Meeting Blu parte alle 02.00 al Tunnel Club) ed è tardi quando una grande folla si accasa all’Eleva per sentire (davvero?) i dj che suonano, e ci vuole davvero poco perché si accumulino in poco tempo tantissime persone. Proseguire il nostro racconto sarebbe come parlare di una lunga serata in discoteca, perché è quello il mood che viene assunto da chi viene a quell’ora, noi abbiamo preferito raccontarvi quello che è stato viversi il festival, nella sua parte meno frequentata ma, non per questo, di minor livello.

Le occasioni perse

Eleva, come molte altre realtà in tutta Italia, non è una serata in discoteca all’aperto e, per quanto un’organizzazione ce la metta tutta, le persone stentano a capirlo. Eleva è stato un successo, se si parla dei contenuti presentati, del numero dei partecipanti e di quello che ne è connesso (anche se c’è sempre spazio per migliorare, nelle timetable degli artisti, o su alcune scelte musicali, ma non dipende da noi giudicare questi meccanismi). Quello che un po’ fa storcere il naso è come tutto questo sia arrivato alle persone, incapaci di scindere, un po’ per snobismo, un po’ per ignoranza, la parola festival di musica elettronica da quella vecchia e stancante equazione del musica elettronica = discoteca. Si potrebbe fare un discorso lunghissimo su questa sottile, ma quanto mai profonda, differenza. Ha ragione Lorenzo Nada dicendo che fare della musica elettronica una questione generazionale è ancora presto, ma non è perché manchino gli artisti quanto perché sono le persone ancora a non aver voglia, e non le capacità, per recepirla in questo senso. È molto più semplice vestirsi bene e sballarsi, arrivare tardi solo per farsi vedere, che mettersi dal pomeriggio ad ascoltare quello che questo genere di musica ha da dire. Ed è perdere un’occasione, in questo tremendo periodo, più unica che rara, trovare tempo per crearsi un bagaglio culturale. Perché alla fine di un festival si è stanchi e si contano gli spunti che si sono guadagnati, mentre all’uscita di una discoteca qualunque, presente tutti i giorni dell’anno, l’unica cosa che si contano sono i soldi che ci si è, nella gran parte dei casi, bevuti. Eleva festival ha portato un cast di tutto rispetto per una realtà piccola come Reggio Emilia in un contesto elettronico in espansione in tutta Europa. Siamo noi quelli a rimanere indietro e a volerci fare del male perdendo questo movimento culturale, che questo genere di musica piaccia o meno. Anche perché la parte gratuita era fatta appunto per chi questa musica o la conosce poco o non vuole averci nulla a che fare e, almeno, una capatina ce la si può fare, invece di stare stretti nelle camere a sputare contro la musica fatta di bit e non di corde di chitarra (ma anche lì si apre un altro discorso che poi non è neanche così vero). La città stessa ha perso un’occasione, nel caso della denuncia, per fare una bella figura, comportandosi da vecchia quale è, per l’ennesimo giorno dell’anno. Questo perché agli organizzatori gli si può dire poco o nulla, mentre a noi, quando ci verranno a chiedere dov’eravamo quando negli anni zero tutto questo movimento stava esplodendo non sapremo rispondere o, peggio, dovremo dire la verità “Non mi ricordo nulla, ma mi sembrava una normale serata in discoteca”. Se di occasioni, nel nostro paese e nelle nostre città, ce ne sono poche, dipende anche da quanto siamo in grado di coglierle, poi ognuno sceglie come viversele, è vero, ma poi non può lamentarsi di ogni cosa.

La foto in copertina è di Lisa Barbieri

Le foto dove non indicato sono concessione di Eleva Festival

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