Gli Editors dal vivo non si discutono

Gli Editors, per il loro ritorno indoor in Italia, hanno scelto le due città alle quali negli anni hanno regalato più show ed emozioni: Milano e Bologna. Dal Magnolia al Mediolanum Forum passando per l’Alcatraz, dall’Estragon all’Unipol Arena passando per il Paladozza, il capoluogo lombardo e quello emiliano hanno ospitato Tom Smith e compagni in quasi ogni loro location. E lo fanno ancora, partendo dal Fabrique, il 20 ottobre 2022.

Vi ricordate l’ultima apparizione a Milano? Era pochi giorni prima che il mondo cambiasse per sempre. Per parecchi fan degli Editors, il loro concerto all’Alcatraz nel febbraio del 2020 è stato l’ultimo prima della pandemia. Per molti mesi i versi “We can never go home / We no longer have one” di quella memorabile versione acustica, intima e tenebrosa di “No Sound But The Wind” hanno risuonato in testa come un inestricabile paradosso. Bloccati in casa, ma con la sensazione di non esserci davvero, né di poterci tornare. Era così, per chi si sentiva a casa sotto palco.

Foto di Alise Blandini

Oggi la band britannica torna a Milano e ritrova il suo pubblico, nuovamente libero di cantare e ballare. Nel frattempo, il mondo dell’intrattenimento non solo è ripartito, ma sta già affrontando nuovi demoni, come la corrosione della salute mentale degli artisti, costretti a tour estenuanti dopo un lungo periodo di incertezze, o come i rincari che rendono insostenibili la maggior parte delle date all’estero. Per fortuna il Fabrique è pieno e gli Editors sul palco sembrano in forma smagliante. Una volta avevano bisogno di due o tre pezzi per carburare, in parte per questioni legate ai suoni, in parte per questioni prettamente performative. Ormai non più. Già da “Heart Attack”, primo singolo estratto dall’ultima fatica discografica, la formazione di Stafford suona magnificamente. Sound cristallino, che mette in risalto la voce di uno dei migliori cantanti usciti dal Regno Unito. Quanti altri artisti possono vantare un’estensione vocale di ben 4.75 ottave? E quanti di questi hanno anche un timbro così espressivo? In pratica Tom Smith potrebbe anche cantarvi una canzone dei balli di gruppo estivi e vi sembrerebbe un pezzo inedito, di una profondità inaudita. Inutile dire che dal vivo, ancor più che in studio, questo è ciò che trasforma una bella band in una formidabile.

Foto di Alise Blandini

La connotazione dark che ha fatto la fortuna degli Editors nella musica alternativa c’è, è ancora lì, granitica, e si distribuisce in una setlist assolutamente equilibrata, che attinge da ogni capitolo della discografia. Dall’esordio “The Back Room” vengono estratte “Blood”, “All Sparks” e “Munich”, mentre dell’amato “An End Has A Start” tocca alla title-track, a “The Racing Rats” e all’imprescindibile “Smokers Outside the Hospital Doors”. Spazio anche alle note più epiche e oscure di “Sugar” e “Nothing”, qui proposta nella sua toccante versione chitarra e voce, ma anche all’elettro-pop di “In This Light and on This Evening”, con la solita “Papillon” a spegnere i freni inibitori della folla, e le eclettiche “Frankenstein”, “Magazine” e “No Harm” a mostrare il lato più imprevedibile e non omologabile degli Editors.

Foto di Alise Blandini

C’è però un nuovo disco da presentare, intitolato “EBM”, e la storia sembra ripetersi. Succede tutte le sante volte, almeno da “In Dream” in avanti. Escono i singoli e pensi: “belli, ma…”. Ma poi crescono e crescono e crescono, finché esce il disco e pensi: “bello, ma…”. Ma poi arriva il momento di ascoltarlo dal vivo e ogni brano cambia pelle e assume la propria forma finale, quella che ti fa capire perché questa band va seguita, passo dopo passo, album dopo album, concerto dopo concerto. Perché è catartica, zeppa di talento, diversa dalle altre. Ironico, no? Quando hanno cominciato questo percorso, nel 2005, ci si divideva tra chi li accusava di rifarsi troppo ai Joy Division – cosa dalla quale Tom ha sempre cercato di fuggire – e chi li accusava di non essere fighi quanto gli Interpol. Oggi gli Editors non hanno molti paragoni, né li temono. Sicuramente se si facesse una di quelle (utilissime) petizioni online, con l’intento di chiedere al gruppo di riprendere il discorso iniziato con “An End Has a Start” e troncato dopo “The Weight of Your Love”, sarebbe un successone. Eppure, anche chi storce il naso di fronte alle sovrastrutture elettroniche, magari puntando il dito verso l’arruolamento definitivo di Benjamin John Power – a.k.a. Blanck Mass, che ha l’unica “colpa” di aver incanalato con maestria alcune pulsioni di Tom Smith – deve arrendersi di fronte alla resa live.

Foto di Alise Blandini

“EBM”, come più volte ribadito dalla band stessa in fase di promozione, è un lavoro molto fisico. Lo era già “Violence”, suo predecessore, ma questo ancora di più. Si prende infatti tutto lo spazio di cui ha bisogno, ovvero sette brani, e dimostra il suo valore direttamente sul palco. Le movenze convulse di Tom Smith più che un contributo diventano un tributo, per un tipo di musica che ha bisogno di affondare nella carne. Quanti di voi hanno skippato, per esempio, “Picturesque”? Provate a farlo dopo averla ballata dal vivo. Stesso discorso per “Strawberry Lemonade”, canzone febbrile che trasforma il Fabrique in un contenitore di tante piccole esplosioni, visive e sonore. Quindi, ancora una volta: hanno ragione loro. Continueranno a fare i dischi che intendono fare, per poi farceli scoprire dal vivo. E va bene così. Va talmente bene che mentre l’outro di “Papillon” accompagna il Fabrique verso la fine della sua serata, vengo colto da una sensazione che di recente ho scoperto avere un nome. Si chiama “prestalgia”, nostalgia preventiva. Quando qualcosa ti manca prima ancora di averla persa. Gli Editors sono ancora lì, posso vedere Tom con le mani al cielo e lo emulo, insieme a tutti gli altri, mentre veniamo mitragliati dall’arsenale di luci. Eppure, nella mia banalità citazionista, non posso fare a meno di pensare: can I start this again?

Tutte le foto sono di Alise Blandini


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