Editors’ Choice | Le canzoni del 2017 che non dimenticheremo

Mentre impazzano le classifiche di fine anno – e in attesa di tirare fuori quella de L’indiependente – abbiamo fatto un gioco, e alcuni di noi hanno accolto la sfida. La domanda da cui il gioco è partito è stata: riuscite a condensare un anno in una canzone soltanto? Sì, una sola canzone.

Ne è venuto fuori questo racconto a più voci e più canzoni di un intero anno, il 2017. Se volete divertirvi con noi provateci a casa: ma attenzione, se lo fate con amici, parenti e partner, la situazione potrebbe degenerare. Da giocare con cura.


The War On Drugs – Pain

Ilaria Del Boca

L’estate sta finendo e rimane soltanto la nostalgia per tutto quello che non è accaduto e una nuova quotidianità a cui abituarsi rapidamente. Pain è una sensazione chiamata “cuore fatto a brandelli”, una perla che ci fa atterrare su nuovi mondi da scoprire, luoghi asfaltati di incanto dove la luce e i suoni filtrano per spazzare via il dolore. Il film in bianco e nero più dolce del 2017.


Ulver – Nemoralia

Simone Fiorucci

L’idea è di quelle affascinanti: prendere un ipotetico ambiente sonoro in cui i Nine Inch Nails più cupi si rarefanno fino a confondersi con i Tears For Fears, popolarlo di personaggi storici ingombranti e lasciarli lì a cospargere di sale le ferite ancora aperte della società contemporanea. Nemoralia è quel luogo dell’anima (nera) così cronologicamente sfalsato da permettere a Lady Diana di bruciare insieme a Nerone: il pezzo che avremmo voluto sentire quest’anno dentro l’ultimo album dei Depeche Mode, e che mai ci saremmo aspettati di trovare tra le mani di una band che di mestiere fa il black metal.


Forest Swords – Panic

Matteo Dalla Pietra 

Un corno che chiama l’adunata. Le gocce di una pioggia argentea, sempre più fitta fra tronchi scuri, immersi in una nebbia rarefatta. I cavalli lanciati all’inseguimento di un’eterea, irraggiungibile chimera. Panic si candida ad essere la traccia più evocativa del 2017, a metà strada fra una colonna sonora di Morricone e l’onirica inquietudine dei Massive Attack. Su di una texture strumentale cucita in maniera maniacale, si innestano i desolati lamenti di corde arabeggianti, un profondo battito che si fa sempre più incalzante ed un ipnotico campione vocale che, lanciato in loop, lacera il velo di un’ingannevole quiete ed esplode un’angoscia troppo a lungo occultata. Allucinazione sonora.


Tyler The Creator – See You Again 

Giuseppe Mancino

La mia estate romantica aveva disperatamente bisogno di una colonna sonora, e sembra quasi che Tyler mi abbia ascoltato. Non ho saputo resistere all’atmosfera a tratti estatica di questo pezzo: il piano felpato, i synth delicati, e poi quel crescendo continuo che poi crolla nuovamente nel finale. Nient’altro che l’immagine di un bellissimo sogno… non svegliatemi!


Soulwax – Missing Wires

Mattia Fumarola

Il pezzo migliore in uno degli album a mio parere migliori di questo 2017: c’è sempre la solita elettronica ruvida e graffiante della band belga, ma è l’aggiunta della voce pacata e controllata di David Dewaele che rende perfetto questo brano.


Sufjan Stevens – Wallowa Lake Monster

Francesco Chianese

Se è vero che dall’uscita di Carrie & Lowell nessun disco abbia raggiunto i suoi picchi di intensità, il regalo più grande che può farci Stevens è illuderci che possa continuare all’infinito.


Colapesce – Pantalica

Fabio Mastroserio

Cantautorato, tribalismo, elettronica, free jazz sono i fili che tessono la complessa trama dell’opening del nuovo disco di Colapesce. Memoria ed evocazione dell’antichissima Hybla, Necropoli del XIII secolo a.C. della sua Siracusa, Pantalica è una suggestione sciamanica sospesa tra Lucio Battisti e Ornette Coleman, Vincenzo Consolo e Eugenio Montale, suoni contemporanei e atmosfere arcaiche. Gaetano Santoro al sax e produzione di Iosonouncane.


Jay Z – The Story Of O.J.

Giulio Pecci

Che dopo anni di carriera si riesca ancora ad essere così pienamente dentro il mondo che ci circonda e ad indignare, far discutere e schierare le persone è già di per sé un piccolo miracolo. Questa canzone è piombata sugli Stati Uniti in pieno momento Trump con una violenza che non ho riscontrato in nessun altro pezzo quest’anno, con uno dei versi più epici mai ascoltati “I’m not black, I’m OJOk” – dentro quei tre puntini di sospensione c’è più che in un saggio di storia contemporanea.


Kendrick Lamar – DNA

Eleonora Danese

«I got, I got, I got, I got loyalty, got royalty inside my DNA» è l’apertura micidiale di uno dei pezzi che mi sono entrati più in testa nel corso dell’anno. Testo e beat implacabili, videoclip stellare. «I just win again, then win again like Wimbledon, I serve»: sì, Kendrick, ce ne siamo accorti.


Roger Waters – Is this the life we really want?

Simona Ciniglio

Il meno tollerante dei Pink Floyd, quel Roger Waters che ci ha raccontato la guerra, le guerre quotidiane costanti dei muri che innalziamo -del Muro- e di crolli a orologeria legati alla nostra paura di consegnarci all’altro, torna a chiederci uno sguardo a fondo, dentro noi stessi. Is this the life we really want?, la title track di uno degli album più autoreferenziali eppure riusciti del 2017 (se ripercorri la storia dei Pink Floyd difficilmente puoi sbagliarti), ci consegna l’incubo Trump con suoni di vividezza espressionista. E anche se noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti.


Brunori Sas – Lamezia Milano

Marina Bisogno

La prima volta che ho ascoltato Lamezia Milano di Brunori Sas ho pensato che condensa bene le ansie del nostro tempo. Ansie non solo individuali, ma collettive. E lo fa con ironia, alla maniera di Brunori. È un pezzo che ho ascoltato e riascoltato, che mi ha accompagnata e che ancora non mi ha stancata. In qualche modo ci sono affezionata, anche per ragioni personali. È un pezzo sociale, che sposta il centro dell’attenzione dal narratore al mondo circostante. Ma è anche un pezzo orecchiabile, di quelli che ti entrano in testa e ti fanno ballare, pure se racconta fatti terribili che ci riguardano. Un pezzo che ci riflette a specchio, tra un saltello e l’altro. Notevole.


St. Vincent – Savior 

Alessia Melchiorre

È la mia canzone preferita in assoluto per il 2017. E tra le mie preferite a firma di St. Vincent. Perché? C’è l’attacco R’n’B e il testo sofisticato ad accompagnare con eleganza il tema principale: il sesso. O meglio, come la sessualità sia uno dei pochi poteri che la società riesce ad assegnare alle donne senza problemi. Che sia vestita da infermiera, insegnante o suora, neanche Annie può salvarci.


Mount Eerie – Ravens 

Nico Orlandino

Dopo l’opera d’arte creata da Nick Cave, sembrava difficile raggiungere alti livelli trattando un tema delicato come la perdita. Mount Eerie ci è riuscito in maniera straordinaria e delicata dandoci il quadro di una vita che continua nonostante tutto: “Nothing dies here / But here is where I came to grieve / To dive into it with you / With your absence / But I keep picking you berries ”.


Alessandro Cortini – Perdonare

Veronica Ganassi

Non è un caso che Alessandro Cortini, come titolo per la seconda traccia di Avanti, abbia scelto proprio questo verbo, che evoca una catarsi (dal greco purificazione), come non è un caso che il video mostri un paesaggio coperto di neve. Perdonare è una piccola meditazione sull’atto del lasciare andare e sulla sensazione che resta, che ci fa sentire nuovi ma uguali, come il mondo dopo una nevicata.


LCD Soundsystem – Oh Baby

Giovanna Taverni

Quando avviene il piccolo miracolo di continuare a canticchiare una canzone dentro la propria testa e a distanza di mesi dalla sua uscita, in genere si tratta di uno quei pezzi congegnati per bene dal grande apparato del pop industriale. Rihanna in questo è una maestra, e quest’anno Lorde sta cercando di inseguirla con un pop che si è auto-proclamato indie da copertina. In alternativa, Oh Baby degli LCD Soundsystem – con i suoi richiami Eighties e la forza propulsiva con cui si ficca in testa – è un ottimo surrogato per le pareti del nostro cervello alla ricerca di un pezzo da canticchiare. Il grande sogno americano infranto è lì fuori, ma noi ci rifugiamo per un attimo tra i suoni caldi di James Murphy – e allora al diavolo la truffa dell’American Dream.


Grizzly Bear – Mourning Sound

Monica Bogliolo

A 5 anni da Shields, la band di Ed Droste torna in grande spolvero con un album intenso ed onirico, in pieno stile Grizzly Bear, il cui singolo anticipatore, Mourning Sound, rappresenta un episodio particolarmente catchy.

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