La distinzione non è tanto tra violenza e non violenza ma tra l’avere o meno appetiti per il potere. Ci sono persone che sono convinte della malvagità degli eserciti e delle forze di polizia ma che sono, ciò nondimeno, molto più intolleranti e inquisitori nel modo di vedere della persona normale la quale crede che, talvolta, sia necessario usare la violenza. Non diranno a qualcuno «Fai questo, quello o quell’altro altrimenti andrai in prigione» ma, se potranno, si insinueranno nel suo cervello e manovreranno i suoi pensieri fin nei più piccoli particolari. (G. Orwell – Nel ventre della balena)
Dalla rabbia al potere, ce ne passa poco, se il sentimento è così comune. La disoccupazione continua a buttare fuori gente come il Mediterraneo, i muri di Pompei crollano perché la burocrazia è più devastante di un vulcano e la politica mostra a tutti i suoi limiti, ancora una volta. I tempi, però, sono cambiati e non si grida più “rivoluzione” ma “corrotti”, e la risposta naturale alla politica appare soltanto l’antipolitica, perché è più facile distruggere che costruire, e quando anche le speranze si trasformano in odio il populismo dilaga e, per quanto si possa essere moralisti, non gli si può dare torto. La connivenza silenziosa di tutti rimane, però, una forma di complicità passiva, di quelli che eseguono soltanto gli ordini o non ne sapevano niente. In questo ambiente maturano i frutti del Movimento 5 Stelle, capace di farsi amare dal popolo e non rispettare dalle forze politiche ormai sorde, che non sanno più ascoltare la campanella d’allarme del malcontento e della disperazione. La stampa dice che tutto va male ma nessuno la ascolta, mentre Grillo da Mentana mette in dubbio il fatto che l’Italia stia attraversando effettivamente una crisi economica, con toni che fanno venire i brividi e slogan indirizzati più a mantenere una posizione che a rispondere alle domande. Lasciando una pianificata confusione in chi lo ascolta. Un numero sempre maggiore di persone, tuttavia, viene affascinato dalle sue urla e rivendicazioni, ponendosi una domanda legittima: «E se il movimento avesse ragione?»
Già, e se avessero ragione per davvero? Se l’esercito di persone normali di cui si compone non fosse soltanto una facciata ma la vera spugna capace di poter pulire tutto lo schifo che affonda l’Italia?
Le risposte, in realtà, non sono tante e hanno a che fare più con l’etica democratica su cui si dovrebbe fondare il nostro paese che con l’idea politica che si possiede, escludendo di principio quelle che vanno dal fanatismo sino allo snobismo ideologico e che non hanno bisogno di farsi domande. La politica, in Italia, è una religione superstiziosa che, per quanto ci si possa credere, la si rispetta sempre poco a livello di azioni personali, e la si può sempre cambiare senza voltarsi. Un’eredità da prima repubblica con cui, insieme al debito pubblico, conviviamo ancora. In altre parole si tratta di capire quanto si è disposti ad accettare per perseguire una determinata strada e quali diritti si è disposti a cedere in nome di un’idea. Poniamo il fatto che la superficie della spugna del Movimento possa pulire effettivamente tutto lo sporco italiano e lo faccia anche bene, togliendo le macchie prescritte e corrotte, facendo brillare la ricerca e la cultura come in un paese normale. Per farlo, però, ha bisogno dell’aiuto e della connivenza di tutti. Questo significa, quindi, eliminare le parti che potrebbero intralciare il processo, prima togliendo i dissidenti interni, come complottisti contro il progresso, e, poi, quelli che dicono che il detersivo potrebbe non essere quello giusto, ossia i giornalisti scomodi o soltanto più liberi, creando una lista diffamatoria nei loro confronti. La pulizia ci sarebbe lo stesso, indirizzata verso chi viene scelto, ma risulterebbe quanto mai opaca e destinata a peggiorare col tempo. Ma quanto si è disposti a sopportare e esserne complici?
Porre dei punti morali oltre cui non sia possibile oltrepassare non è una questione semplice e, come la storia ci ha già insegnato, non è detto nemmeno che siano abbastanza forti da resistere. Questo perché nessuno può sapere se, dopo che il movimento avrà pulito tutto (a patto che ci riesca effettivamente), queste vittime collaterali finiscano e, soprattutto, in che modo. Quando un leader, più o meno effettivo, va contro qualcuno o qualcosa si forma, contemporaneamente, un’indicazione su quello che è giusto fare. Se in una lista sono presenti tutti i giornali tranne uno è ovvio che quell’unico risparmiato sia l’unico da leggere.
Viviamo in un mondo libero, in cui ognuno può decidere da che parte stare, accettando la decisione della maggioranza. Il clima però è più aspro, la rabbia e l’odio che sta annientando una fetta grande della popolazione abbassa allo stesso tempo le pretese morali e spinge a un’accettazione sempre più spensierata di ciò che viene proposto. Non è vero che la folla sceglie sempre Barabba né che se tutti avessero saputo non sarebbe successo. I tempi sono cambiati, l’informazione c’è e ci sono anche più libri di storia, quello che non siamo riusciti a modificare rispetto al passato, l’accogliere il populismo a braccia aperte o chinare la testa davanti alla voce grossa, sarà quello che pagheremo, prima o poi, e non è detto che, questa volta, ci potremo salvare davvero. Ma nella stessa libertà di espressione rientra anche quella di poter essere contraddetti dagli eventi. Ciò non significa, in ogni caso, potersi esimere da una riflessione sui rischi che si corrono accettando di essere parte di un processo nuovo e quanto mai controverso. Primo in Europa, è vero, ma non è neanche detto che sia, per questo, da accettare senza dubbi.
Entro un cerchio ristretto (la vita familiare e forse anche i sindacati e la politica locale) egli si sente padrone del proprio destino, benché di fronte ad eventi più grandi sia inerme come contro gli elementi. Ben lungi dal tentare di plasmare il futuro egli lascia semplicemente che le cose accadano. (G. Orwell – Nel ventre della balena)