Dutch Nazari – Ce lo chiede l’Europa

Nella musica le etichette sono importanti e non parliamo soltanto di quelle discografiche. Un’etichetta è prima di tutto un segno che aiuta a identificare una cosa o una persona da un’altra. Consultando il vocabolario Treccani alla voce “etichetta” si può leggere “cartellino che si attacca sopra bottiglie, scatole, casse o altri recipienti con l’indicazione della qualità, della quantità, del valore di ciò che vi è contenuto”. Pensate di parlare con un amico dell’ultimo album che avete ascoltato o dell’artista che non vedete l’ora di andare a sentire in concerto, come si può definire senza classificarlo in un genere? Riflettendo bene lo fate anche se credete che non sia così.

Quando, però, i suoni e le parole di una canzone rimangono fuori dalle conversazioni, dalle recensioni o dai post sui social ecco allora che le melodie, le ritmiche e i testi assumono un significato diverso. La settimana che si è appena conclusa, durante il tragitto da casa a lavoro, in macchina o a piedi, con l’autoradio accesa o con le cuffie nelle orecchie, ho ascoltato Ce lo chiede l’Europa di Dutch Nazari e ho pensato a tutto fuorché alle etichette. Ho messo da parte le tabelle excel, i report e tutte le scartoffie che riempiono questa vita strana che gira intorno ai dati e ho semplicemente teso l’orecchio.

Il nuovo disco del ventinovenne padovano è uscito il 16 novembre per Undamento ed è stato prodotto da Sick & Simpliciter. Dopo l’ep Diecimila lire e il disco Amore povero pubblicato nel febbraio 2017, Dutch Nazari è tornato con il suo cantautorap, l’unica etichetta che forse gli si addice. In questo disco ci sono storie, cartoline e pensieri che volano lontani e un flow che conquista al primo ascolto. Ma perché Ce lo chiede l’Europa? Il motivo di questo titolo lo spiega lui stesso:

Ce lo chiede l’Europa è una frase che è stata usata fino allo sfinimento dalla Politica negli ultimi otto/nove anni, di solito per giustificare scelte impopolari scaricandone la responsabilità. La foto di copertina è una raffigurazione simbolica del concetto di Europa: i ragazzi sorridenti rappresentano il capitale umano della cosiddetta “generazione Erasmus”, la prima a identificarsi come europea. Alle loro spalle un’edilizia orribile, simbolo di un altro aspetto di questa Europa, il modello di sviluppo economico liberista, che non tiene conto delle proprie risorse e spesso genera mostri.

Quest’album è rivolto a noi che stiamo per compiere trent’anni e viviamo in un limbo onirico, costantemente travolti dai cavalloni anche quando a pochi metri di distanza il mare sembra una tavola da surf. Calma le onde è la prima traccia che incontriamo e mette a confronto tipologie umane diverse che si trovano a fronteggiare le difficoltà di partire e abbandonare non solo il proprio paese d’origine, ma anche le abitudini e gli affetti. Da una parte i ragazzi che, terminati gli studi, prendono un aereo alla ricerca di un lavoro e dall’altra donne, uomini e bambini di diversa etnia che, per fuggire dalla violenza e dalla miseria, sono costretti a viaggiare per giorni stipati su uno scafo.

Le possibilità della vita, il tempismo e la capacità di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato sono temi che ricorrono in Tutte le direzioni e Mirò, due affreschi di quest’epoca imperfetta. I treni, le sigarette fuori dai locali e i bronci abbinati alle occhiaie. I colori caratterizzano le stagioni, le scritte sui muri, ma anche l’incapacità di capire il mondo. In alcuni casi proprio di vederlo come in Fuori fuoco, l’inno di un miope che ogni mattina lotta per trovare quei punti di riferimento abbandonati la sera prima.

Sempre con pochi soldi in tasca (Guarda mamma senza money), anche se spesso qualche colpo di genio arriva all’improvviso (Momento clinico) siamo destinati a vivere lontani l’uno dall’altra con il profumo dei ricordi che si impiglia nelle narici (Lontana tu). L’età dei paradossi ci travolge con tutta la sua forza e il presente non esiste più, ma qualcuno rimane disperatamente ancorato al passato e cerca di riviverlo all’infinito grazie ai fotogrammi dell’infanzia (Girasoli). In conclusione è l’amore il motore del disco e rappresenta l’elemento che sposta l’ago della bilancia sull’analisi di bilancio economico in L’Europa, la canzone che non solo chiude la raccolta, ma che dà pure un senso alle undici tracce precedenti.

Un po’ come l’amico Willie Peyote anche Dutch Nazari parla di attualità nei suoi testi, formula pensieri semplici senza scadere nelle banalità o naufragare nella rima baciata. In Ce lo chiede l’Europa la tradizione cantautoriale italiana – dalle riflessioni sulla società di De Andrè e Gaber agli intrecci amorosi di De Gregori e Guccini – incontra le influenze del rap e dell’hip-hop da cui proviene l’artista veneto: questo mix di generi e background porta a un risultato inedito. Un viaggio tra frequenze, suoni e temi importanti, dove perdersi e farsi domande non è sbagliato, ma è addirittura consigliato.


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