Mi cola dal naso qualcosa. Deve essere un sentimento, un disco di De Gregori buttato nel cesso, la pioggia agli ultimi sgoccioli, o il rumore del rubinetto nell’acqua calda. Mi è caduto l’anello per terra, ancora quattro volte oggi, e ti ho pensato a ogni rintocco forte sul pavimento. Milano è in festa, c’è un gran ciarlare di rock’n’roll, è tornato di moda il boogie woogie, ma io penso a qualcosa di lontano che è più vicino e ha il tuo tremore dondolante, il sapore di qualcosa in bocca nei giorni di festa. Posso mettere insieme dei pezzi disperati, mi ricordano tutte le volte che dimentico di comprare lo zucchero per il primo caffè che mi dice buongiorno stamattina; posso mettere insieme almeno dieci istantanee del tuo volto, e colmare il vuoto. Ma non basta, quando suona la sveglia della città gentile.
Ho conosciuto un venditore di vestiti usati a una retrospettiva su Gregory Peck: è stato quella sera che m’ostinavo a far finta di non sentire il freddo salirmi dentro le ossa, che mi è venuto il raffreddore, che mi è colato il naso, e ho capito di aver gettato al diavolo un sentimento. E’ stato quando il semaforo è diventato verde, e ho attraversato Corso Buenos Aires con una borsa a tracolla piena di vecchi libri raccattati al mattino in un centro commerciale di libri. Ho sentito chiaramente scivolare fin dietro la spalla destra un libro di poesie di Sylvia Plath, e credo che mi sia venuto in mente il tuo volto mentre provavo a ricordarne i versi senza successo. Tu lo sapevi che avrei sempre deciso di buttarlo all’aria, il verso e il freddo cocente alle spalle, pure. Allora ho fatto una telefonata a Chiunque solo per ricordarmi di te, chè mi mancavi nella folla che non ti sapeva, che non aveva mai saputo, e ammesso che ti sapesse non l’avrei certo saputo io.
Il fatto è che con Chiunque abbiamo finito per parlare di viaggi e prosopee, tipo dell’ultima tempesta o della moria di fragole non pompate dalla scienza, ma nessuno si è messo a ricordare, perch alla fine quello che vogliamo è semplicemente raccogliere idee sul futuro: sai, lì c’è la speranza, quello che a mano a mano che invecchi dventa diventa una specie di casa sempre più circoscritta e realista, mica come quando a diciott’anni pensavo che avrei scritto racconti su una spiaggia sudafricana. Non m’immaginavo neanche di incontrarti, figuriamoci di soffiarmi il naso a Milano pensando ai tuoi capelli. Sono una faccenda seria i capelli, come gli occhi e la decisione di passare dal tabacco alla sigaretta elettronica. Ho cominciato due mesi fa, e già mi manca il tabacco. Ma poi anche quell’idea di aspirare nicotina mi ricordava me quando aspiravo nicotina: ho lottato col tabacco e ora caccio vapore dalla bocca. Qualcuno mi perdoni, anche se Qualcuno dovrebbe essere orgoglioso se ho resistito e sono qui, a dondolarmi il naso col fazzoletto sotto la pioggia ruvida dell’inverno.
E comunque ti stavo raccontando di questo tale, il venditore di vestiti usati, che è nato in Senegal ma è bianco tutto per intero, e vagamente simpatico perchè ha una passione per i film B/N, e a me i B/N – te l’ho mai detto? – mettono una gran voglia di rilassarmi. Lui dice che dovrei passare nel suo negozio di vestiti usati, così posso consultare il catalogo e intanto vedere anche Il posto delle fragole proiettato a tutto schermo sul soffitto (è una sua idea…), io dico che il vintage è un bel marchio per questo secolo, ma portarmi addosso anche le storie degli altri sarebbe troppo faticoso. Forse passerò, forse lo consiglierò semplicemente a qualcuno: i milanesi impazziscono per certi vezzi. Prima però devo curare il mio raffreddore.
Come rivorrei indietro qualche vecchia estate, come rivorrei indietro i tuoi occhi in qualche vecchia estaate, come vorrei consumare i tuoi occhi dentro lontanissime estati. Chiunque dice che la prossima estate non andrà al mare, vuole risalire la Svezia. ”Vuoi venire?”, mi ha detto. Ma ho paura di annoiarmi, ad un certo momento è solo questo il punto: il terrore della noia. ”Andiamo a vedere l’estate da qualche parte!” ho ribattuto. E’ stato così che abbiamo finito per parlare di fragole.
Vedi, va a finire sempre più spesso di trovare le fragole d’estate, e non è mica un fatto normale: ricordo indistintamente che la fragola è uno di quei frutti che si mangia a primavera. E invece adesso ha oltrepassato le stagioni. Tu mi dirai – Chiunque me l’ha detto – che è tutto merito delle serre, e dell’ingegno umano. Ma io sono convinta che non tutte le fragole fuori stagione siano irrinunciabili.
Sai poi cosa m’è successo? Ha smesso di piovere all’improvviso, e sotto il portone che mi riparava continuavo a toccarmi i capelli per vedere quanto fossero bagnati, e ridevo all’idea che avessi il raffreddore e mi piovesse addosso, e avevo voglia di bere una birra, ombrelli neanche a parlarne, ed era troppo tardi per trovare qualcuno che ne vendesse uno in strada, e comunque non l’avrei comprato coi capelli già bagnati, però finalmente aveva smesso di piovere, e volevo questa birra prima di tornare a casa, così cammino veloce guardandomi intorno e vedo una bottega di alimentari aperta, ed entro sorridendo, chè il pakistano deve aver pensato male a vedermi sorridere. E’ stato lì che ho visto le fragole, e allora ho cominciato pure a ridere, tanto che lui mi ha detto: ”Prego?”.
”Una birra…”, ho detto. ”E delle fragole..”, mi rendevo pure conto che birra e fragole stonassero, ma c’ero troppo dentro a quel punto. Lui me ne ha raccolte una decina dentro una busta scura, e io starnutivo perchè fuori aveva ricominciato a piovere. Ma non potevo resistere: era la migliore partita di fragole che avessi mai mangiato.