Sabato scorso, nell’avveniristica cornice del Wanda Metropolitano di Madrid, si è disputata la finale della Champions League 2018/2019 tra Liverpool e Tottenham. Il risultato è stato di due a zero in favore dei Reds, un trionfo – abbastanza atteso – propiziato da un rigore di Salah al secondo minuto e sigillato da Diwock Origi all’ottantanovesimo. In mezzo, una partita di grande tatticismo, il che, tradotto nella lingua comune, significa di gran noia: bloccata e assai poco entusiasmante. Sarà anche per questo che, a balzare agli onori della cronaca più che i gol o le gesta sportive, è stata l’invasione di campo di Kinsey Wolanski.
Per chi, evidentemente ritiratosi a condurre vita monastica in un eremo, non avesse avuto notizia del fatto, forniamo un sintetico resoconto: al minuto diciassette, la Wolanski si fa largo tra i tifosi della curva del Liverpool; scavalca i cartelloni pubblicitari che la separano dal campo, sguscia tra i distratti addetti alla sicurezza e si lancia in una baldanzosa e non certo inarrestabile corsa sull’erba. Riesce, con quei suoi saltelli bucolici, a raggiungere la metacampo prima di essere agguantata dai sopraccitati, distratti addetti alla sicurezza. Tra lo scrosciare degli applausi e i sorrisi dei calciatori, viene condotta fuori dal campo nella pancia dello stadio. A colpire i presenti, oltre all’invasione in sé, è stato l’abbigliamento succinto di Kinsey, consistente unicamente in un body nero sottile e attillato (per non dire rarefatto) che a malapena copriva le parti intime e lasciava generosamente scollato (per non dire apertamente in mostra) il seno. Sullo scarso tessuto del body, un grafico di eccezionale abilità era riuscito a stampare una scritta. Quale messaggio di rivendicazione, libertà e speranza avrà mai avuto impresso sul corpo questa pulzella di Madrid? Quale forte grido di protesta l’avrà spinta ad un’invasione di campo nella finale di Champions? Vitaly Uncensored, ossia il nome del sito porno creato dal suo fidanzato, Vitaly Zdorovetskiy, ex attore hard ora youtuber.
Ma fin qui, nulla di particolarmente grave. Invasioni di campo, simili se non più sceme, ce ne sono state fin dall’invenzione del football. Il fatto è che, il peggio, doveva ancora venire. L’impresa, infatti, ha fruttato alla ventitreenne modella l’aumento di un milione e settecento mila follower sulla sua pagina Instagram. Non solo, ma come lei stessa ha testimoniato su Twitter, un gentilissimo addetto Uefa, dopo averla docilmente placcata e condotta nello stadio, le ha anche regalato un souvenir: un biglietto Vip della finale, affinché potesse sempre ricordarsi della bella serata, magari raccontandola ai nipotini davanti ad un bel camino acceso. E i giornali? Oh, anche la carta stampata, la nobile industria che da sempre si vanta di essere riferimento culturale contrapposto alla deriva populista del nostro paese, le ha dedicato centinaia di articoli, photogallery, approfondimenti, arrivando addirittura a creare titoli come: “Kinsey Wolanski: la finale l’ha vinta lei”.
Be’, direte voi, dov’è il problema? Per capirlo, riprendiamo un attimo in mano il regolamento. Nell’ormai lontano 2001 Uefa e Fifa, le massime autorità decisionali del calcio mondiale, hanno stabilito pene severe per gli invasori di campo: si rischia un anno di detenzione e un’ammenda che varia dai 1.000 ai 5.000 euro. Gli invasori di campo vengono inoltre colpiti da Daspo, ossia il divieto di entrare o anche solo avvicinarsi a uno stadio, per un tempo che varia in base alla gravità del fatto. Direte voi: “si dai, ma questi decreti mica si applicano veramente!” No, no, si applicano eccome! Uefa e Fifa, non proprio enti dalla specchiata moralità (come ha dimostrato la discutibilissima scelta di far disputare i Mondiali del 2022 in un Qatar fanalino di coda per il riconoscimento dei diritti umani), hanno insistito affinché si usasse il pugno di ferro contro gli invasori. Tifosi che si sono lanciati in campo alla ricerca di un selfie, di un abbraccio al proprio idolo, o semplicemente un po’ stupidi, sono sempre stati multati e squalificati. Spesso gli addetti alla sicurezza hanno anche usato maniere ruvide per allontanarli. Ma c’è di più: al fine di non incoraggiare chi, tramite una corsa sul campo, cercava i suoi 15 minuti di celebrità, è stato vietato alle TV di riprendere la scena. Le telecamere dovevano inquadrare altro – tribune, vip, allenatori in panchina – finché quel corpo estraneo fosse stato rimosso e si potesse continuare con il gioco. Ma con la Wolanski, tutto è cambiato: le telecamere l’hanno seguita, immortalata, radiografata, più allupate di Alvaro Vitali che spia la bellona di turno dal buco della serratura.
Messa così sembrerebbe un editoriale di Libero, lo so. Il lamento del WASP pronto a dire: “Eh vedi? Le donne sempre lì a frignare, poi sono trattate meglio degli uomini.” Ma non è così. La questione è più complessa, in realtà profondamente radicata nel problema del sessismo maschilista del calcio. Ed è tanto più attuale dato che, venerdì 7 giugno, inizierà il Campionato Mondiale di Calcio femminile, il primo a cui partecipa l’Italia. Il calcio mondiale, per tramite dei suoi organi competenti Fifa e Uefa, ste cercando da alcuni anni di sottrarre il calcio femminile dalla nicchia, rendendolo paritetico per importanza e considerazione al calcio maschile. I risultati benché incoraggianti, rimangono dubbi e, in qualche modo, la vicenda Wolanski lo conferma.
Basti un esempio su tutti. Ada Hegerberg è una calciatrice norvegese che milita nell’Olympique Lione. La sua squadra di club ha appena vinto la quarta Champions League di fila grazie a una sua tripletta e lei, lo scorso anno, si è aggiudicata il primo Pallone d’Oro femminile della storia. Si tratta quindi di una star, di un fenomeno al pari di Messi o Cristiano Ronaldo. Ma la Hegerberg ha deciso che non parteciperà ai Mondiali. Il perché, lo ha spiegato ai microfoni della CNN: “Sono stata davvero onesta con i dirigenti della nazionale, quello che sentivo non era abbastanza. Dobbiamo assicurarci che le ragazze che seguono il loro percorso nel calcio abbiano almeno le stesse opportunità dei ragazzi.” Emblematica, in tal senso, è stata la premiazione del pallone d’oro dello scorso anno. Salita sul palco, la prima (PRIMA!) domanda che il dj Martin Solveig, in qualità di premiatore le ha posto è stata: “Sai twerkare?” Un po’ come chiedere a Messi se, in quanto uomo, sappia smontare e riassemblare il motore di una Panda 4×4.
Ada Hegerberg ha insomma deciso di compiere un gesto forte, importante, per mettere in luce le gravi arretratezze che ancora frenano il movimento calcistico femminile. E lo ha fatto rifiutando di partecipare a una manifestazione ufficiale della Fifa, per svelarne l’ipocrisia. Tutt’oggi, infatti, benché molti campionati nazionali stiano iniziando a strutturarsi, le calciatrici non hanno dei veri e propri contratti, né possono averli: a differenza degli uomini, loro sono “dilettanti”, non professioniste. Tradotto in parole povere, significa che svolgono un lavoro a tempo pieno senza però avere diritto ai contributi previdenziali e percependo uno stipendio infinitamente inferiore a quello dei loro corrispettivi maschili. E c’è di più. A marzo di quest’anno, le calciatrici della nazionale statunitense (campione mondiale in carica!) hanno presentato una causa per discriminazione di genere contro i loro dirigenti federali. Nello specifico la discriminazione si traduce in paghe nettamente inferiori, scarsità di strutture e risorse per allenamenti e cure mediche. Certo, la federazione norvegese, da quest’anno, è stata la prima a introdurre il livellamento dei compensi tra la nazionale maschile e quella femminile. Ma per Ada Hegerberg, non è sufficiente. Perché rispetto e dignità non sono una questione di soldi.
E qui torniamo a Kinsey Wolanski. In pratica, il quadro emerso è questo: se una donna corre in mezzo ad un campo da calcio mezza nuda, offrendosi a una gangbang voyeuristica di oltre 67.000 persone (includendo solo il pubblico allo stadio), è accolta da applausi, sorrisi, leggeri buffetti per quella sua mattana che però, sotto sotto, è piaciuta, ha divertito, ha offerto un bel intermezzo carnale allo spettacolo calcistico. Viene ricompensata, ottiene visibilità, popolarità e anche un regalino, ché il galantuomo non si smentisce mai. Se, invece, una ragazza ha una passione autentica, infila scarpini, calzettoni e divisa, suda su un campo come una professionista per raggiungere il suo sogno, viene discriminata, messa da parte, considerata un fastidio. Di sicuro, con il suo gesto di protesta Ada Hegerberg non ha visto aumentare di oltre un milione i suoi follower.
Il calcio di oggi, purtroppo, è anche questo. Come ha scritto Simon Critchley nel suo fondamentale A cosa pensiamo quando pensiamo al calcio: “Capitalismo, mercificazione, colonialismo, seduzione psicologica di massa, patriarcato, violenza istituzionalizzata; il disgusto è inscindibile dal piacere quando pensiamo al calcio […] Guardare il calcio è guardare il mondo nei suoi lati più nauseanti e tremendi. Il bello non è nient’altro che l’inizio del terribile. Se il calcio ci restituisce un’immagine dei nostri tempi, è quella peggiore la più volgare.” Eppure: “I tifosi sanno anche che, per un momento, il momento tra i momenti, ci può essere anche qualcos’altro. I momenti in cui tratteniamo il fiato. In cui accade qualcosa di straordinario.” E allora, spero che dal 7 giugno Sara Gama, Martina Rosucci, Cristina Girelli e le altre Azzurre ci regalino molti di quei momenti, che mi facciano dimenticare le brutture e la corruzione della Fifa per farmi innamorare, ancora una volta e a dispetto di tutto, del meraviglioso gioco. E spero che, questa volta, una donna venga applaudita su un campo di calcio non perché corre nuda, ma perché ha infilato nel sette un tiro imparabile.