Stavolta abbiamo aspettato, e così alla fine di una esilaran – cofcof – estenuante conta dei voti, possiamo dirlo: Donald Trump non è stato rieletto Presidente. Vince Joe Biden, perde Trump – che nell’incapacità di accettare la sconfitta ha da subito parlato di brogli sbraitando come in una mezza parodia di sé stesso. Anche questo fa parte degli straschichi che l’impatto dei quattro anni di presidenza Trump si portano dietro e che probabilmente non spariranno con un colpo di magia: c’è uno stuolo di seguaci forti convinti che l’ex-Presidente sia arrivato a salvarci dalle barbarie di un complotto globalista, un retroterra di teorie sballate che non hanno affondanto solamente nei cuori americani ma hanno fatto breccia anche da questa parte del vecchio continente. Resta la sensazione che questo ammasso di cose non sparirà immediatamente, che lui stesso non si farà da parte, continuerà a twittare e ammiccare ai brogli, a mobilitare. Insomma, Trump ha perso ma probabilmente non se ne andrà via di colpo pure la sua forza creatrice e distruttrice, quel linguaggio divisivo, la nuova generazione di politici pop-sovranisti e i grandi sogni di Steve Bannon (che a poco a poco si faranno macerie). Però la notizia resta lo stesso che non ci sarà più Trump alla Casa Bianca, con tutto quello che significa. Trump non è stato solo presidente, ma una specie di simbolo intorno a cui si sono andate a riunire visioni opposte di mondo. Se da un lato il suo linguaggio polarizzante ha avuto un effetto nel rafforzare i suoi seguaci e non, dall’altro ha avuto anche la forza di risvegliare movimenti forti di opposizione a un sistema di cose di cui Trump era diventato un simbolo, mettere in moto tutta una resistenza che ha tirato fuori non solo canzoni di protesta o la forza di Black Lives Matter, ma anche gesti di dissidenza come quello di Colin Kaepernick che hanno ispirato un’intera generazione di sportivi, o il blando flirt con idee socialiste, pure dove socialismo può essere anche solamente azzardarsi a sognare un’assistenza sanitaria statale. Intorno al simbolo incarnato si è creato un collante, e bisogna augurarsi che quel collante che ha tenuto insieme questo movimento di cose resista anche nel post-Trump.
Sul finire di un 2020 che si è rivelato piuttosto faticoso, la destituzione di Trump da Presidente può essere anche l’occasione per mettere un po’ da parte l’ossessione per il pensiero bipolare a grossi blocchi di narrazione a cui ci hanno abituato gli ultimi anni. Potremmo essere più liberi di esplorare pensieri senza arrenderci ai pacchetti preconfezionati, smetterla di giocare ancora al gioco del noi e loro. Siamo più creativi di quanto ci abbiano disegnato negli ultimi anni, e possiamo azzardare pensieri molto più liberi e sperimentali, possiamo essere addirittura più radicali, immaginare terre nuove, brade, americhe ancora mai viste, possiamo intravedere le enormi possibilità oltre la magra offerta che ci è stata fatta in questi anni tra sovranismo (- o qualsiasi cosa sia) e no. Se il covid ha reso più evidenti le disuguaglianze economiche e sociali, le fragilità del sistema occidentale, la sanità a pezzi, gli egoismi e la rabbia, Trump è riuscito a enfatizzare diseguali visioni di mondo portando sempre all’estremo il tono della sua sfida e delle sue pulsioni. Un brodo caotico primordiale che è arrivato come una bomba dove era facile smarrire vecchie cose come la solidarietà tra gli esseri umani, e passare il tempo ad arrabbiarsi o sbranarsi. Forse non è male che per un po’ siamo tornati allo stato primitivo a contemplare la nostra impotenza sotto il cielo e le stelle in attesa di un atto magico che arrivi da chissà dove a salvare. Magari nel frattempo se potessimo evitarci esperienze psichedeliche come Donald Trump sarebbe già abbastanza.