Dj Shadow e la chiusura del loop alla Rondhouse di Londra

È tutto un cerchio che si chiude.

Lo è la Roundhouse, un ovale di legno supportato da colonne di metallo, nascosto alla fine di Camden, a nord di Londra. Nata come deposito per le locomotive prima, e per il gin poi, dagli anni ’60 ha ospitato alcuni tra i concerti più hyped di sempre, dal debutto inglese dei Ramones nel 1976 a show “intimi” (si tratta pur sempre di una sala da 3000 posti) di McCartney, Beck, Muse e Radiohead, che hanno scelto di presentare qui A Moon Shaped Pool con una residency di tre date.

Lo è per Josh Davis, aka Dj Shadow, che con questo concerto chiude un tour iniziato a meta’ del 2016, dopo il successo di The Mountain Will Fall, e trascorso tra i festival e i club di tutto il mondo. Ma la data di Londra ha un valore ancora più ampio nella vita di Shadow, ed è lui stesso a spiegarlo a inizio concerto: “Stavo facendo il check-in oggi pomeriggio quando mi sono reso conto di trovarmi nello stesso hotel in cui venivo a dormire vent’anni fa, mentre lavoravo al primo disco degli UNKLE (ndr. qui la recensione dell’ultimo, The Road: Part 1, uscito lo scorso mese)”. Non è un segreto infatti che sia proprio a Londra che Davis, californiano, abbia trovato la quadratura del cerchio per il suo sound, ammorbidendo la propria sensibilità americana (l’Hip-Hop, una certa elettronica fracassona, l’accumulo ai limiti del morboso di vinili), con un filtro europeo – per dirla con Stanis LaRochelle – sia nella scelta dei campionamenti, che in generale nella ricerca downtempo della pace, più che del rumore fine a se stesso. In una parola sola (o sono due?): trip-hop.

The Mountain Will Fall chiude un cerchio ampio ventuno anni, quelli che lo separano da Endtroducing…, il seminale esordio di Dj Shadow. Che a partire da quel momento non ha mai smesso di vagare tra moniker (Nite School Klik) e collaborazioni (UNKLE, Quannum Projects), ribaltando completamente le fondamenta del suo sound con The Outsider, che gli alienò le simpatie dei fan della prima ora. Davis era in fuga da se stesso, per nulla intenzionato a replicare la formula magica di Endtroducing…, ma al tempo stesso forse incapace di trovare una forma espressiva altrettanto coerente. E finalmente ci è riuscito, con il suo ultimo disco, a chiudere quel loop. Riducendo, paradossalmente, il numero di sample, collaborando con artisti di ogni estrazione e ritrovando la melanconia della scena di Bristol.

E alla Roundhouse, com’è ovvio che sia, trovano spazio, smembrati e reincollati, svariati brani da The Mountain…. Su tutti Bergschrund, composta con Nils Frahm, la cui intricatissima ritmica viene replicata al pad, bacchette alla mano; Depth Charge col suo chitarrone distorto, che passa in secondo piano di fronte allo scratch irraggiungibile di Shadow; l’orrorifica Suicide Pact (highlight della serata) e il singolone politico ma riempipista Nobody Speak. Poi c’e’, ovviamente, la title track, piazzata – non a caso – all’inizio e alla fine della serata, ad aprire e chiudere un viaggio circolare.

Viaggio che viene costantemente enfatizzato dai sei schermi e dall’ologramma 3D che circondano Dj Shadow, interagendo tra loro nella costruzione di un percorso che partendo dalle montagne presenti nel titolo si addentra nella natura profonda, animale, per poi raggiungere l’uomo nelle metropoli, con due tracce dal sapore Occupy Wall Street estratte dall’ultimo EP (Horror Show e Systematic), e, infine, con l’aumentare dei bpm, il tunnel senza fondo del digitale. E da questo picco, nella seconda metà del concerto, si ritorna al punto di partenza: la chiusura di un cerchio, appunto.

Anello di congiunzione tra le varie anime di questo viaggio sensoriale attraverso il tempo, le dimensioni, gli stati d’animo (e non), è Midnight In A Perfect World, il pezzo piu’ noto da Endtroducing…, piazzata al centro della scaletta nel remix di Hudson Mohawke. Questa particolare versione del brano permette a chi ascolta di afferrare, in pochi minuti, tutto lo spettro di anime, suoni e identità adottati da Josh Davis in venti anni di ricerca. E non a caso, unico in scaletta, il brano viene accompagnato dall’intero viaggio della serata, dalle montagne fino al deep web, per terminare in quel negozio di dischi dove tutto era iniziato e dove tutto, inesorabilmente, sembra tornare.

È tutto un cerchio che si chiude.

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