Poco prima del cambio della guardia, ripassiamo il 2024 al ritmo di una manciata di dischi italiani che abbiamo ascoltato quest’anno.
Fitness Forever – Amore e salute
Elefant Records
Raffaele Calvanese
MACE – Māyā
Universal Music Italia
Un’illusione che si materializza in un album ricco di sfaccettature, dove le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani si intrecciano a creare un tappeto sonoro su cui rimanere sdraiati per ore. Nel 2024 Simone Benussi, alias MACE, è diventato grande e ha dato vita a un disco che va oltre le semplici etichette di genere, unendo pop, elettronica, rap e soul in un mix esplosivo e inaspettato. Māyā esplora atmosfere che ci trascinano in un mondo fatto di luci e ombre. MACE, con la sua sensibilità artistica, è riuscito a catturare l’essenza di ogni artista coinvolto, creando un’alchimia perfetta tra le diverse personalità. Da Guè, Noyz Narcos e Fabri Fibra a Marco Castello, Venerus e Cosmo, le voci che si alternano concorrono a creare una giungla di suoni diversi, antitetici, ma che combaciano perfettamente tra di loro. Ascoltare Māyā dall’inizio alla fine è stato come intraprendere un viaggio intorno al mondo, un’odissea sonora che mi ha portato in luoghi inaspettati, senza muovermi da casa. Ogni ascolto è stato una nuova scoperta, un’esperienza unica e indimenticabile. MACE ha realizzato un progetto ambizioso e visionario che rappresenta un punto di svolta per la musica italiana. Māyā è un sogno che si è fatto realtà, un disco che va oltre le mode del momento e che ci invita a esplorare nuovi orizzonti e a credere nella magia della musica.
Ilaria Del Boca
I Hate My Village – Nevermind The Tempo
Locomotiv Records
Nevermind The Tempo è un disco che ci riporta a tempi in cui in Italia si facevano dischi che oggi non si fanno più, ma anche, e questo risulta più curioso, a tempi in cui dischi come questo in Italia forse non se ne sono mai fatti. Insisterei su una formulazione al passato, che credo sia alla base della formula magica delle band di maggior successo negli ultimi anni, Tame Impala su tutti: quella di sapere cogliere il presente nel momento perfetto in cui non è ancora futuro, né passato, sfiorando vagheggiamenti nostalgici e l’incombere di imminenti distopie. Forse, più banalmente, ci riporta al primo disco degli I Hate My Village, perché queste sonorità sono diventate una firma esclusiva: allora, forse bisogna accettare che un disco come questo lo fa solo questo dream team scaturito da numerosi progetti succedutisi negli ultimi decenni dell’indie nazionale: Fabio Rondanini (Calibro 35), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena). Un progetto nato tra i margini di altri progetti, insomma, per voglia o forse necessità, che poi ha trovato una dimensione superiore alla somma delle sue parti: un suono vulcanico, potente, frenetico, sorprendentemente poco pretenzioso, fatto di bei riff di chitarra che sono semplicemente belli, adagiati su una base ritmica che viaggia alla velocità del ritorno a casa in autostrada mentre fa sera, in cui le voci rarefatte si amalgamano nel tutto. Ascoltatelo come si ascolta un disco onesto, con l’umore di chi va a giocarsi il calcetto con gli amici al giovedì, poi magari anche voi scoprite che questo è il disco che vi è rimasto più in testa nel 2024.
Francesco Chianese
Post Nebbia – Pista Nera
Dischi Sotterranei
Pista Nera dei Post Nebbia è il disco della consapevolezza, musicale, artistica ma anche esistenziale e umana della band. Sarebbe confortante pensare che gli arrangiamenti e i testi di Carlo Corbellini e soci ci stiano conducendo in un mondo distopico, in un futuro cinico e poco accogliente, ma tutto sommato ancora lontano. Invece non è così. Ci parlano dal cuore della tormenta, dall’epicentro di un terremoto che non è ancora avvertito lungo tutta la faglia. Raccontano il presente, che pian piano si sgretola, perde consistenza giorno dopo giorno, nelle piccole e nelle grandi cose, nelle distanze che tendono a diventare solchi, nelle relazioni sociali, nel lavoro o nel rapporto con l’ambiente. Tuttavia Pista Nera resta un disco, un gran bel disco, uno dei più necessari in questo anno solare. È il loro quarto album e la band padovana continua a crescere tanto da poter essere considerata ormai un solido punto di riferimento in quel che resta del panorama alternative rock nostrano. Il tiro del disco è volutamente indirizzato al live. Gli arrangiamenti raccontano un viaggio cupo nel senso migliore del termine, sfiorando le tinte dark dei più grandi del genere, le sperimentazioni tra psichedelia e reminiscenze post rock dei precedenti lavori ben si mescolano con i muri di suono e la vocalità di Corbellini. Cosa rende questo messaggio, apparentemente rassegnato, così tanto vivo da poter pensare a un futuro (o post, termine più caro al gruppo) ancora con un po’ di speranza? Certamente quella consapevolezza che pervade ogni riflessione e che ci fa restare attaccati alla realtà. Perciò quella voce dell’altoparlante con cui si apre il disco, che chiede ai genitori di andare a recuperare il piccolo Leonardo, in cima al rifugio sciistico Pista Nera prima della chiusura, è certamente un monito a non abbandonare o abbandonarsi. E a restare vigili e svegli ci aiutano le bordate sonore delle dodici tracce del disco.
Ernesto Razzano
Francesca Bono – Crumpled Canvas
WWNBB
Da oltre quindici anni voce degli Ofelia dorme e reduce dal successo di critica dello scorso anno con Suono in un tempo trasfigurato in duo con Vittoria Burattini, Francesca Bono dà alle stampe Crumples Canvas, suo vero esordio solista. Piccolo gioiello che nulla ha – naturalmente – delle imperfezioni tipiche di un esordio, rappresentando insieme punto di approdo e di svolta nella carriera di una delle voci più belle del panorama italiano. Francesca fa le cose in grande in un disco curatissimo – fin dal lavoro grafico affidato a Marcello Petruzzi e alle foto della stessa Bono (che è anche illustratrice). Otto canzoni a pennellare un disco romantico che sa essere tanto proiettato sul futuro quanto summa del lavoro fin qui svolto; un disco che porta memoria del miglior indie italiano nelle atmosfere che pure si aggiornano ai nuovi tempi, fatto di dream pop, folk, tonalità leggerissime ed improvvise pennellate scure e sintetiche come nella notturna Bologna’s Bliss and Conversations. Registrato proprio a Bologna dove Francesca vive, Crumples Canvas è stato prodotto da Mick Harvey (The Birthday Party, Nick Cave and the Bad Seeds) che suona il basso e il piano (anche elettrico: Wurlitzer e Farfisa) e vede tra le linee dei musicisti due terzi dei Massimo Volume: ancora Vittoria Burattini dietro le pelli e le magiche chitarre di Egle Sommecal, mentre Francesca suona chitarre e synth. Un disco breve per la durata – una trentina di minuti – ma ricchissimo di suoni e suggestioni.
Fabio Mastroserio
Cosmo – Sulle ali del cavallo bianco
Columbia Records, Sony Music Italy/42Records
Sulle ali del cavallo bianco è stato un disco che nell’ultimo anno Cosmo ha portato in giro per l’Italia con un nuovo (o vecchio?) format di live: quello in cui non esistono i cellulari. Grazie ai bollini a forma di cavallo bianco – appositamente attaccati sulle fotocamere – è riuscito a riportare tutti ad una modalità di concerto pre-rivoluzione digitale, quando potevamo goderci ogni singolo momento/per poi lasciarlo andare/e poi ricominciare. Proprio dal vivo si entra in un viaggio sonoro-introspettivo, in cui l’artista si mette letteralmente a nudo, con dei testi personali su melodie molto pop. Con questo disco, il primo co-prodotto con il musicista Not Waving – da cui proviene l’estro sperimentale e underground – Cosmo dimostra di essere ancora uno dei pochi in grado di farci ballare mentre canta a cuore aperto. Canzone consigliata: Gira che ti gira
Alessia Melchiorre
Ceneri – Forma Liquida
Double Trouble Club / Island Records
L’album di Irene Ciol, in arte Ceneri, cantautrice classe 2000 dal Friuli Venezia Giulia, ci accompagna con una vena malinconica verso la dimensione degli amori giovani e trascinanti, quelli delle domande grandi, ma semplici, (” Non so se vuoi me o solo il mio corpo” canta in Neve) e che alla fine una risposta non la hanno mai veramente. Ceneri insieme all’amore canta la vita minuscola (prendiamo gentilmente in prestito il titolo del libro di Michon) laddove il minuscolo è il periferico, il piccolo paese che Ciol cerca di scrollarsi di dosso per entrare in una dimensione differente, più sua, più propria. Ciol lo fa con una voce lieve e riverberata simile ad un’eco, una scelta di produzione che paga, così come pagano i momenti di sovrapposizione e le basi minimali, composte spesso di pochi giri di acustica e di una sezione ritmica semplice sia nei beat più manifestamente elettronici che per gli accompagnamenti di batteria. Se proprio va messa in evidenza una tassa da pagare quella non può che essere un certo utilizzo della grande A (no, non c’entra Lacan). Interessanti risultano anche essere le piccole divagazioni dal classico accompagnamento strumentale, si naviga in luoghi sicuri senza però venire stancati, talvolta facendo riecheggiare anche piccole orchestrazioni dall’indole zimmeriana, si confronti ad esempio la base di “Rifugio” con “Day One” il più noto brano della colonna sonora di Interstellar. Un primo LP da godersi con un po’ di pioggia, nel giusto rispetto di quella forma liquida che dà il titolo a tutto. Due brani per un ascolto veloce? Il bel singolo Ghiaccio con ospite Chiello e Sogno Lucido.
Antonio Gatto
Addict Ameba – Caosmosi
La tempesta
La vicenda artistica del collettivo Addict Ameba prende il via in un quartiere a nord-est di Milano, ma la sua vocazione è il mondo. Addict Ameba è un gioco di parole con la città di Addis Abeba, capitale d’Etiopia. Già il nome induce al viaggio in terre straniere: nella musica degli Addict Ameba c’è la possibilità di una fuga, la promessa di uno smarrimento di identità. Così accade: un mattino partiamo, il cervello in fiamme, e andiamo. Caosmosi è il secondo album degli Addict Ameba e prende il nome dall’omonimo libro del filosofo francese Félix Guattari. “Chaos” e “kosmos” sono i due centri su cui si fonda la parola. Il suono è la via di questo viaggio ai confini del cosmo caotico, beat epidermico che non si cheta nel sonno. Tra gli ospiti che hanno collaborato al disco ci sono l’attore e performer tunisino Rabii Brahim, e l’artista anglo-nigeriano Joshua Idehen (Sons of Kemet, The Comet is Coming) che in Look At Us compone un’invocazione poetica. Sguardi, sommosse, energie: caosmosi è l’assurdo fischio dell’alba straniante, disordine e armonia che battono ritmi su un palco dove la musica è rituale di mescolanza.
Giovanna Taverni
Jonathan Clancy – Sprecato
Maple Death Records
Alessandro Cortini – Nati Infiniti
Mute Records
Opera che nasce come installazione per Sónar Lisbona 2022, Nati Infiniti è un viaggio di 37 minuti che si è trasformato in album. Siete pregati di prendervi del tempo prima di premere play, per un ascolto accurato di uno dei migliori sound-designers in circolazione tra le nostre cuffie.
Alessandro Miglietta
Lamante – In Memoria di
Artist First
Lamante è un progetto sincero, genuino e di fortissima personalità. In Memoria di è un debut album fatto col cuore e con la fortissima voglia di raccontare un mondo e una storia. Un mondo passato ma che continua a vivere dentro. Giorgia Pietribiasi ha venticinque anni e pensa sia giunto il momento di riprendere pezzi di storia della sua famiglia, e usa i filtri dell’arte e dei ricordi per farli diventare canzoni. Giorgia però non si limita a contemplare soltanto quel passato ma sceglie e si schiera quasi a trasformarlo in presente , e lo fa al fianco della zia ribelle (anche verso la sua stessa famiglia) che non ha mai conosciuto, ma che negli anni Settanta è andata via di casa per seguire il suo istinto di lotte e di libertà. Continua nel pensiero e nel ricordo delle lunghe passeggiate nella silenziosa campagna veneta o in quello della salmodiante voce di Lindo Ferretti ascoltata spesso la sera prima di prendere sonno. Sono spazi, suoni, rumori e silenzi che entrano nell’impasto di un disco che sa essere ruvido e narrante, punk nella rabbia e nei volumi, cantautorale nella voce sussurrante e nelle evocazioni. Le chitarre distorte, elettriche o acustiche, incrociano talvolta la morbidezza di un sax o di una tromba, creando un tappeto sonoro sempre accogliente seppure mai comodo. Sono undici tracce di un debutto che non è passato inosservato, tanto da arrivare anche nella cinquina del Premio Tenco per gli emergenti o sempre ben posizionato nelle classifiche di fine anno. I circuiti live ormai desertificati soprattutto per gli emergenti tolgono spesso la possibilità di incontrare anche fisicamente progetti come questo che meriterebbe molti palchi, ma siamo anche certi che per Lamante questo è solo l’inizio del percorso di un talento vero.
Ernesto Razzano
Hideous Divinity – Unextinct
Century Media Records
La band italiana non solo è ormai più che affermata dentro i nostri confini, ma è un nome sicuro anche all’estero, spesso inserita nel bill dei più famosi festival di musica estrema. Bisogna partire da un piccolo presupposto, gli Hideous Divinity si muovono nell’ambito del Tech-Brutal-Death, ossia in un ambito particolarmente saturo, non tanto per numero di proposte, ma quanto per tipologia. L’innovazione si è mossa all’interno di un doppio filone, uno legato ad una ricerca di un sound sempre più estremo (Come lo Slam o le ultime declinazioni del Grind etc.) l’altro ispirato ad un sound ibrido che a discapito della potenza ha cercato l’inserimento di nuovi elementi e variabili (un po’ come il giocoso Grindcore Progressivo Vegetariano del caro Fat Ed di FurTV). Uno dei meriti degli Hideous Divinity è quello di essere riusciti a tenere insieme i due filoni di innovazione, senza suonare mai banali, ma anche senza perdere aggressività e potenza per gli appassionati del blast beat. Le parti miste suonano sempre incredibilmente pesanti poiché i rallentamenti e i break sgraffignano dal Death Doom (vedendo la copertina qualcuno ha detto Ahab?) o dall’ispiratissimo Post-Hardcore dei tedeschi The Ocean. Oltre ad un lavoro strumentalmente di altissimo livello svolto da Stefano Franceschini al basso (ex- Aborted), Enrico Schettino alla chitarra (ex-Hour of Penance) e Edoardo di Santo alla batteria (ex-Ade), il disco è sostenuto come sempre dalla grande prestazione vocale di Enrico di Lorenzo in grado di spaziare all’interno di tutte le tonalità del metal estremo, anche grazie ad una conoscenza e ad uno studio della fonologia quasi maniacale. Un’uscita di quest’anno da riprendere per tutti gli amanti del genere. Anche qui due brani su cui gettarsi: “Atto Quarto: The Horror Paradox” e “Leben ohne Feuer”.
Antonio Gatto
SOUNDTRACK
Iosonouncane – Berlinguer, La Grande Ambizione
Trovarobato / Tanca Records
Già autore di diverse colonne sonore – a oggi se ne contano otto – Jacopo Incani ha aspettato per la prima pubblicazione di una serie di vinili dedicati proprio alle musiche per il cinema quella a supporto probabilmente del progetto cinematografico di maggiore respiro – certamente il più popolare – cui finora abbia lavorato: Berlinguer – La grande ambizione, diretto da Andrea Segre che racconta, oltre che l’uomo dietro l’immagine politica, i giorni del tentato Compromesso Storico. Quaranta minuti di musica che Incani ha costruito per Segre e per il racconto di un momento centrale della storia politica italiana, dominate dalla presenza dei synth, nella produzione del musicista sardo fin dai tempi di DIE, come anche da strumenti antichi di un’isola che lo accumuna all’indimenticato segretario del Partito Comunista Italiano. Tre temi, tre paradigmi: il lutto, lo scontro di potere e la rabbia secondo il consueto intreccio di linee musicali che somigliano a voci narranti. Per il leitmotiv che accompagna anche i titoli di coda, Iosonouncane si affida a un dialogo – che quasi sembra voler raccontare le due anime di Berlinguer – tra una diamonica, strumento popolare e didattico, a raffigurare il popolo e la concretezza delle istanze della sua gente e la voce che si libra leggera di Daniela Pes come contraltare sonoro delle idee politiche altissime, delle quali l’Italia sembra aver in parte perso la memoria. E che questo film – e la malinconia di certi passaggi delle musiche di Incani -sembrano voler invece ricordare a testimonianza del valore immenso dell’uomo e della sua perdita.
Fabio Mastroserio
Vasco Brondi – Ascoltare gli alberi
Carosello
In un mondo sempre più frenetico, riscoprire il silenzio e raggiungere un equilibrio interiore perduto non è semplice. Le sensazioni sono accessorie e il tempo non è mai abbastanza, come se la noia fosse diventata il peggior nemico da cui scappare. Chi è abituato a fare escursionismo sa che fermarsi è importante per evitare di perdersi. Ascoltare gli alberi, la colonna sonora scritta da Vasco Brondi per il film Fiore mio di Paolo Cognetti ci invita a partire per un viaggio introspettivo, un’immersione nella natura più profonda, lontano dal caos della città, accompagnandoci lungo sentieri montani e boschi silenziosi.
La voce rauca e poetica di Brondi, unita a melodie essenziali e delicate, crea un’atmosfera intima, che ci avvolge come una coperta calda. Ogni brano è un quadro sonoro che evoca immagini potenti: sentieri tortuosi che si snodano tra i boschi, vette innevate che toccano il cielo, l’odore della resina e il fruscio delle foglie. È come passeggiare in un bosco in una giornata di sole, sentendo il calore del sole sulla pelle e l’aria fresca sui capelli. Ascoltare gli alberi è un disco che ci ricorda l’importanza di rallentare, di ascoltare i suoni della natura e di ritrovare un contatto autentico con noi stessi. In un’epoca dominata dalla tecnologia, questo album ci offre un rifugio sicuro, un luogo dove riflettere e ritrovare un senso di pace interiore.
Ilaria Del Boca