Un breve viaggio tra i dischi italiani del 2023
Dalla Gallura arriva Daniela Pes. Il suo Spira (qui la nostra recensione) è un album in cui si respira un’aria lugubre, desolata, un senso di angosciata spiritualità. Sulle note a margine del disco ci sono (forse) alcuni motivi per cui in molti hanno parlato di lei negli ultimi mesi: produzione di IOSONOUNCANE, premio Tenco, e aldilà della tentazione di fare mille premesse o paragoni, questo esordio parla a molti – soprattutto per la sua voglia di nuove forme e linguaggi.
Luca Marchetto da Padova suonava già nei The White Mega Giant, pensa poi ad un nome d’arte, e storpiando quello di un attore, e diventa Bad Pritt. Questa “colla cattiva” è musica cinematica, emotivamente coinvolgente, applausi anche per il nome. Debris è il nuovo album, uscito per Shyrec Records, e come titoli delle tracce, presenta giorni del calendario.
Il cjarnel è una lingua minoritaria delle Alpi Carniche (due passi da Padova), descritto da Pasolini come una lingua perfetta per la poesia. Hrudia segna l’esordio sulla lunga distanza per il cantautore della Carnia Massimo Silverio. Il video che accompagna il secondo singolo raffigura l’antico rito della Femenate (donna o strega), una tradizione che affonda le sue radici nella cultura celtica e si svolge per predire il raccolto dell’anno successivo accendendo un falò. Musiche profonde, riemerse dal nulla, e in pochi mesi parte di noi.
Mattia Cupelli, compositore e produttore con base a Roma, è in grado di combinare suoni più classici con la più moderna musica elettronica e minimale, i suoi primi lavori si basano principalmente su colonne sonore, musica orchestrale e musica per pianoforte moderno. La sua discografia è tanto recente quanto valevole di un ascolto accurato senza troppo ordine di catalogo, e nel caso basterebbero le uscite del 2023, culminate con l’intenso Articial Hades.
La teoria del Less is More acquisisce nuovi significati in Suono in un tempo trasfigurato (Bono / Burattini), l’album dove collaborano due tra le musiciste più valide della scena bolognese: Francesca Bono, voce e chitarra degli Ofeliadorme, Vittoria Burattini dei Massimo Volume. Doveroso anche citare la Maple Death Records, l’etichetta di Jonathan Clancy che continua a sfornare dischi che si fanno subito apprezzare per la loro ricercatezza in Italia ed Europa.
Un disco che accostiamo idealmente ma che comunque starebbe anche fisicamente apposto sullo scaffale assieme ai deliziosi album di Valentina Magaletti e Zongamin (due terzi degli Holy Tongue); Luca Giovanardi (in vacanza dai Julie’s Haircut) che dedica Storia Notturna all’omonimo saggio di Carlo Ginzburg, dedicato allo studio delle origini popolari della stregoneria; e infine il soundscape arioso e benevolo di Before The Last Light Is Blown di Shedir, il progetto della sarda Martina Betti il cui disco è passato in fase di mastering tra le mani di un certo Lawrence English.
Fino a qualche tempo fa, a ogni nuova canzone di Not Waving mi chiedevo, visto il mio attaccamento al suo ex-progetto (Disco Drive), quanto fosse verosimile tracciare lentamente una traiettoria artistica, dove la scrittura fosse in grado a ogni mossa di trovare un nuovo spiraglio (melodico, strumentale, lirico), e sorprendere. La risposta è nel suo ultimo disco intitolato The Place I’ve Been Missing – uscito a ridosso dell’estate. Le prime due canzoni, la prima che rinnova il sodalizio con la fantastica Marie Davidson e Fool. Le prime due canzoni.
Potrebbe esserci qualcosa in comune tra Alessio Natalizia (Not Waving) e i Leland Did It, e quel qualcosa è la cifra stilistica della ricerca sonora. Il quartetto pugliese è rimasto più legato ai riferimenti sonori degli inizi, ma scava più a fondo in fase di produzione nella lavorazione sui dettagli. Hotel Moderno è uscito lo scorso inverno per Dischi Uappissimi, convincendo per la sua proposta di pop psichedelico, spigoloso e pulsante, che in fondo non ha bisogno di troppe etichette. Lo stesso si può dire delle nuove produzioni dei bolognesi Ibisco e Leatherette. A proposito di etichette qui saremmo in ‘zona indie’, con l’ aggiunta delle chitarre che suonano nel debutto degli italo-inglesi Bar Italia (produzione di Marta Salogni). Aria fresca, freschissima.
In questa sorta di lista di fine anno vecchio e inizio anno nuovo, ci sono alcuni dischi che invitano nei suoni e nei contenuti, a momenti di calma e riflessione. Se avete bisogno di categorie e parole-chiave, in effetti manca il singolone pop che cantiamo dopo un paio di ascolti. Non ha troppa importanza viste le ottime canzoni che sono state scritte e registrate nei dischi citati, canzoni pronte a un tour europeo come quelle di Marta del Grandi con il suo Selva: otto brani deliziosi che spaziano tra elettronica, folk e musica di film.
Idem per l’ultima fatica degli italo-francesi C’Mon Tigre intitolata Habitat: una giungla di influenze che si incontrano sulla strada battuta dell’afro jazz, e una sensazione sempre presente che tensione e liberazione per i nostri siano parte dello stesso campo da gioco. Ripensandoci il disco da cantare sotto la doccia ce l’abbiamo, non lo avrei mai detto ma il nuovo di Calcutta – una cura maniacale nei dettagli – si fa volere bene, ha le canzoni dalla sua parte e si chiama Relax. Buon ascolto. Buon nuovo anno.