Eravamo appena nati, io e Daria, sulle strade silenziose di quel mercoledì di agosto. Erano tutti in vacanza ma per gli stagisti non ci sono ferie. Nemmeno ci conoscevamo, condividevamo solo quella maledizione di non poter essere a contatto con la sabbia e scattarci foto che poi avremmo dovuto condividere come segno sul portfolio. Ci aveva messo in contatto Samuel, quello stronzo che si divertiva a trattarci tutti come burattini a distanza. Lui sì che era al mare nel nord Africa, preferibilmente annegato, appena laureato e concittadino di Daria. Tutto chiuso. Come sempre, in questa città, quando ti serve. Ci siamo presi due birre, e quella miseria che chiamavano la loro apericena speciale, quando Daria salta fuori con una storia assurda sul suo ex, io finalmente tiravo un sospiro di sollievo, quel simpatico di Samuel poteva benissimo avermi girato il contatto di una suora o, peggio, di una di quelle di ingegneria che gli piaceva tanto frequentare.
“Ci penso da tutto il giorno” mi dice, solleticando con le dita sottilissime delle pessime chips da discount, mezze mosce e salate all’inverosimile.“Ci pensi mai all’ultima faccia che abbiamo quando ci si lascia per sempre?”.
Ok, io lavoravo da casa, senza timbri e colleghi, e per smettere di fumare e superare il dolore della precoce robotizzazione della mia vita prendevo qualche pastiglia o fumavo qualcosina. Ok, era una di quelle che pensavano troppo e che speravano di essere pagate per quello, però quella frase antierotica mi aveva ucciso. Mica ci speravo di portarmela a casa, contavo in qualche modo che la noia che traspirava dalle pareti della città potesse aiutare ma non ero certo così illuso da pensare che il mio metro e ottanta scarso fosse abbastanza per lei. Uno per cui il momento più eccitante dello scorso weekend era stato salutare i miei che partivano dopo una gita a casa del figlio, che mi era costata, fra l’altro, metà della mia mensilità per una cena fuori e 4 ore di pulizie della casa. Quindi appena ho visto la sua camicetta di cotone che nascondeva appena le curve di quel corpo, mi ero già dato per sconfitto. Non che non me la meritassi, ma la quantità di ore che avrei dovuto passare al telefono, chiamandola o messaggiandola, invadendo i suoi spazi di Facebook e retwittandola come un vero disperato – perché ad agosto la città ti uccide – era un ottimo motivo per cambiare idea e, dopo tutti questi ragionamenti, almeno mi aspettavo di poter avere una fantasia oltre al computer.
“Circa la faccia che hai tu ora” ha aggiunto. Dovevo avere perso più tempo di quanto pensassi con la storia del ragionamento sulle mie impossibilità di avere un rapporto con lei.
“Ah. Sì. Può essere.” Cercavo di provare a interessarmi ma la verità è che non mi importava nulla, per ora.
“O sei uno che molla eh?” Voleva davvero arrivare lì, così presto? “Non credo cambierebbe molto. La faccia da cazzo rimarrebbe” Aveva ripreso immediatamente, con mio sommo dispiacere. “Se mi avessero fatto una foto con Giordano, l’ultimo ragazzo che ho avuto, sarebbe finita male. Non tanto per il pianto, quello ci sta sempre, ma per il mascara che mi colava in bocca, ne avrò mangiato un quintale, mentre diventavo una bambina dei film horror.”
“Immagino sarai stata bellissima lo stesso.” Era davvero questa la mia tattica? L’avevo davvero detto io? Non potevo essere finito in uno stupido serial televisivo di rete quattro, a parlare spagnolo e a spostare le sedie alle donne.
“Ah ah, idiota.” aveva riso lei mentre io cercavo di nascondermi in qualche modo dal suo sguardo e domandarmi che cazzo stessi facendo con questi agganci da quinta elementare. “Comunque non mi hai risposto, tu che faccia hai avuto l’ultima volta?”
“Tasto dolente” Ahi, che male, pensare a Silvia dopo sette mesi, davanti a una completa sconosciuta che mi farei solo per non tornare ancora da solo a letto, e almeno poter parlare con qualcuno in questo mese che sembra non debba mai finire e invece sono passati solo pochi giorni. “Non deve essere stata molto felice. Niente mascara e niente lacrime, in realtà nemmeno me l’aspettavo quindi, no, non una bella faccia di cui ricordarmi.”
“Capisci allora quanto conta la faccia con cui ti dici addio e quello che dice di te?”
Poi si era iniziato a parlare di altro. Dello studio in cui Daria fa lo stage, della sua laurea, del mio andare avanti e del fatto che mi sarei trasformato a breve in un tossico. Siamo saliti in camera da lei, anonima e di passaggio, bevendo il suo limoncino con i limoni dei poveri, e ascoltavamo i Pavement fumando. Ognuno dava un occhio all’orologio, per non fare tardi, anche a un lavoro in cui non sei pagato, non aspettavamo nulla, soltanto il momento per recuperare e andarcene. Sono sicuro che fosse l’agosto, a renderci umanamente noiosi, non eravamo davvero così, di solito. Faceva troppo caldo in quella stanza, e non avendo nemmeno le speranze, siamo usciti di nuovo, per un’ultima birra, solo per rinfrescarci. Nel dehors di quel localetto tutto buio, in cui la birra non era nemmeno così buona ma la sua aria pseudonewyorkese ci rassicurava. Uno davanti all’altro, con quel tipo di confidenza fra un lupo di mare e la sua puttana preferita, in un qualche baraccio senza pregiudizi, abbiamo ripreso a parlare della questione della faccia.
“Non saprei Daria” ho risposto io “Alla fine che ti frega di che faccia hai. Tanto è un momento che non ricorderei felicemente comunque. Neanche fossi stato nella mia posa migliore”
“Facciamo una cosa insieme.” Mi ha detto a un certo punto, facendomi frizzare. “Facciamo che ci diciamo il più bell’addio di sempre, perché siamo preparati e siamo pronti”
“Vabbè Daria non c’è bisogno di tutto questo per dirmi che non ci possiamo più vedere.” Così deluso e ormai a terra.
“Ma è appunto per questo! Devi interessarmi per farci sentire lo stesso dolore”
“Ah, ok. Ma almeno prima dovremmo provare a stare insieme” Uscita infelice numero due. La lingua aveva preso a sanguinarmi e i tentativi si erano trasformati in suppliche a quanto pareva.
“Sì anche questo è vero. Però far cominciare una cosa che sappiamo deve finire non avrebbe comunque senso.”
“e cosa ce l’ha, non dobbiamo forse morire tutti?” Mi permettevo pure di scherzare su una situazione che non aveva solo del tragico, quello sarebbe avvenuto dopo, ma sul fatto che la mia nave stava affondando del tutto, assumendo le dimensioni della beffa di chi aveva appena soffiato a uno stronzo il biglietto per il Titanic.
“Per questo un addio è per sempre” insisteva Daria “e rende tutto più bello e importante Davide.”
Io mi mostravo in tutta la mia perplessità in merito, non sarebbe stato male rivederla, almeno per fare bella figura e per non uscire da soli. Daria era piena di dubbi e mescolava il suo Long Island guardando le poche macchine passare. C’era così poco da vedere che rendeva difficile anche il non guardarsi negli occhi. Io stavo sul cellulare, dicendo cose stupide, per allungare l’agonia del rifiuto. Alla fine mi stavano entrando dentro le frasi di questa pazza, e iniziavo a sentire anche io la storia dell’addio. Allora Daria mi guarda negli occhi, per la prima volta li vedevo davvero e capivo di che colore erano, mi tocca una mano e io inizio davvero a sperarci, mi si gonfia il petto e anche un pezzo di pantaloni sotto al tavolo. Sento la sua pelle leggera sulla mia, divento ipersensibile e sento il suo odore entrarmi nelle narici, qualcosa di dolce che a fatica vinceva ancora la partita con l’acido del sudore. Mi guarda e mi dice: “Ora sei pronto” e in quel millesimo in cui le si sbattono le palpebre riesco pure a pensare se baciarla o meno. “Davide è finita, non possiamo più vederci, non sei tu, siamo noi, sono io che sono sbagliata” Di nuovo il deserto fra le gambe. Daria prende la borsa e se ne va. Non ho nemmeno il tempo di ricordarmi con che faccia bellissima mi ha detto quelle stupide frasi che sparisce dalla mia vista, senza pagare il suo drink. Pazza stupida Daria, mi sei costata più di quel long island, perché poi ti ho pensato tutto il tempo ma non ti sei mai fatta piú vedere. Non sono riuscito davvero a fare una faccia decente quando mi hai mollato, ancora prima che nascessimo. Ma poi agosto è finito e sei passata pure tu. Ho rivisto Samuel, insieme a tutti quelli scomparsi per quel mese, in giro per il mondo.
“Ah, ti ha fatto il gioco dell’addio?”
“Sì, e a quanto pare non sono l’unico”
“Cazzo dici? La Daria? Ahahahaha. Se te l’ha detto era fatta, non lo fai mai, ha un complesso per questa cosa degli addii, anche salutarsi la sera diventa una tragedia. Di solito fa la stronza e basta. L’hai richiamata?”
“Mi ha detto che gli addii sono per sempre.”