Di acqua sotto i ponti ne è passata da quando nel 2012 Antonio Di Martino gridava il suo odio immenso per le FF. SS. affrontando così il tema doloroso del distacco.
Acqua che dai canali delle cartoline da Amsterdam si è fatta movimentata passando vicino le coste di Gaza, quando lo stesso Di Martino è diventato il bassista degli Omosumo, per poi finire al paese di origine.
E ci fa ritorno come quel vento che annuncia la primavera e si insinua nei vicoli del paese stesso con i saliscendi inarrestabili ma leggeri del pianoforte di Angelo Trabace nel singolo d’apertura Come una guerra la Primavera.
E proprio come il vento nel paese entra penetrando tutte le viuzze, dove ci trova cose nuove ma non per forza piacevoli: c’è una madre che fa le raccomandazioni al figlio che sta partendo per andare lontano, e gli dice di non pensare alle cose che lascia dietro di sè perchè “a te cosa importa di questo se hai visto il Mondo, lo hai stretto bene e non hai Niente da dichiarare“. Quello stesso Mondo da cui torna per le feste Vincenzo, “figlio della nuova Europa”, con la ragazza bionda, e, parlando di “discoteche come cattedrali, mostra il suo nuovo accento come un monumento a La vita nuova“.
Questo paese lo descrive con la minuzia di chi lo ricorda da lontano, i colori ed i dettagli insignificanti ma parte integrante della vita che vi si svolge, dal giallo di una posta al viola di un funerale (Da cielo a cielo).
Per raccontare poi Una storia del mare ci vuole l’aiuto di un cantore che racconti come un narratore onniscente, aiuto che trova in Francesco Bianconi, la cui voce descrive paesaggi atemporali in cui si mischiano ciclopi dormienti e turismo di massa ed in questi paesaggi si mette in scena una piccola storia d’amore tanto piccola da perdersi appunto nell’enormità del mare.
La cosa si fa tanto struggente da necessitare di un intermezzo musicale, La Foresta, luogo comunque evocativo di fatti misteriosi, misteriosi quasi quanto le Case Stregate, “stregate da storie d’amore violente”.
Ma i silenzi, anche quelli più profondi, in paese si rompono facilmente. Bastano i motorini di quei ragazzi che vanno verso la poco nuvolosa costa orientale, ed una volta rotti appaiono per quel che sono “solo acqua da attravarsare per giungere all’Isola che c’è“.
E che sia il ricordo di queste visioni o del racconto semplice del nonno, che in dialetto siciliano parla di una macchina che si muoveva A passo d’uomo, il tutto finisce con l’ingenerare quello stato di beatitudine che arriva all’improvviso “come un colpo di pistola” a generare veri e propri Stati di grazia.
Forse sta proprio in questa influenza che ha sulla vita stessa delle persone, l’importanza di un luogo d’origine, perchè “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene”, come ricorda Di Martino citando malinconicamente Cesare Pavese ne Le Montagne.
Ed è malinconicamente che la voce di Cristina Donà si affianca a quella di Di Martino ne I Calendari, per chiudere questo racconto sulle note di una melodia che sa dello sciabordìo lento e ritmato del mare di settembre, mese di abbandoni, addii, e di ripartenze; “e sembra che non finisca mai settembre”.
La malinconia tenue della voce di Di Martino ricorda da vicino quella saudade che si può trovare in un disco di Toquinho, che declinata al siciliano diventa malancunìa e sembra essere la conseguenza della consapevolezza che quel paese che è uno scrigno necessario a conservare i ricordi, quello che tutti si portano dentro ovunque vadano, sia irrimediabilmente destinato all’estinzione.
Picicca Dischi/Sony Music, 2015