Voto: 8/10
Antonio Di Martino è semplicemente Dimartino con i suoi trent’anni ancora da compiere. Una buonissima annata quella del giovane palermitano, buona come il Corvo di Salaparuta, che racchiude in sè tutte le fragranze di Sicilia, il sole rovente e il vento che trasporta l’aroma delle zagare.
Toltosi l’uniforme da Napoleone Bonaporte indossata nel video di “Cambio Idea”, si rimette in sala di registrazione e sforna il suo secondo album, “Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile”. Ancor prima di aver pronunciato il titolo per intero, l’ex leader dei Famelika, impostata la voce, comincia a recitare come una poesia imparata a memoria, “Io odio immensamente le ferrovie dello stato perchè è lì che ci diciamo addio quattro volte al mese”. Una chitarra gentile si affianca al fiato del cantautore, accompagnando con qualche accordo il racconto disperato e tormentato di un amore lontano, diviso da chilometri macinati su regionali sporchi e gremiti o su frecciarossa troppo cari per non mordersi le mani. “E tutto quello che voglio da te è illegale, niente che si può cercare, che si può trovare in questa parte di universo disponibile, niente che si può comprare coi soldi di mio padre”. In un boato, alza lo sguardo diventato improvvisamente torvo e incazzato e strilla come se non ci fosse un domani. Audace e ambizioso interpella direttamente il suo cuore, sciogliendosi tra violini al gusto di limone e sirene dei mari. La ballata che contiene il titolo del disco è già un inizio promettente, un intrecciarsi di sentimenti in note, una piccola perla che languisce l’udito. L’avrà pensato anche Dario Brunori, non solo affermato e noto artista della canzone italiana, ma anche produttore della Picicca Dischi. Scommettere sulla Sicilia, sui giovani che hanno voglia di parlare ed urlare non è solo la moda degli ultimi anni, è soprattutto un modo per dare uno spazio concreto a ragazzi come Dimartino che sono veramente impegnati a dare un volto nuovo a questa regione, svecchiandola e provando ad allontanarla dai soliti luoghi comuni.
“Forse è meglio che non mi guardi con quegli occhi, tienitela tu l’università, la burocrazia, il socialismo nelle dispense di un massone. No, non ho più voglia di imparare. No, non ho più voglia di capire e di sapere niente, tanto a cosa mi serve.”: un nichilismo non lontano da quello del precedente album si riappropria della seconda e più bella traccia di questo suo nuovo progetto. Non c’è nulla di incantato nell’affermare “Non ho più voglia di imparare”, ci sono solo rabbia e frustrazione, c’è una sinfonia d’altri tempi, da film che rincorre sui tasti bianchi e neri di un pianoforte a coda un coraggio nuovo. Un’immagine cinematografica quella di “Monicelli che vola dal balcone” un anno fa, in un impeto di vita, distante dal suicidio effettivo che fu, talmente surreale da essere vera. E così anche Dimartino reagisce alla vita, insultando gli arrivisti e partecipando al dolore dei precari.
Improntati sul sociale sono anche “Venga il tuo regno” e “Maledetto autunno”, sospesa fra ricordi e lettere del passato raccolte in un hangar metropolitano.
E poi ci sono quelle tracce fuori dal mondo che raccontano di gesti semplici, che si tuffano in dipinti di Van Gogh, che si tingono di stravaganze al neon. Una di queste è “Cartoline da Amsterdam” che esce dalla linearità e dalla dolce calma attraverso la voce di Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi.
Ascoltare “Sarebbe bello non lasciarsi mai..” è come sfogliare un “Poster di famiglia”, scorrendo pian piano tutte le istantanee un po’ scolorite dal tempo, addolcite dai silenzi e dal tacito accompagnamento di Simona Norato al piano e di Giusto Correnti alla batteria. Così Dimartino è un trio, un esperimento che mesce suoni frantumati in melodie interstellari. Vecchi giornali e “converse rotte dalla strada” sono i compagni ideali per questo viaggio turbolento che accompagna la generazione “di questi cazzo di anni zero”, di cui si trova portavoce il cantautore pronipote dei Normanni.
Una delle più belle sorprese del 2012 è proprio lui, ancora lontano dai riflettori accecanti, per questo svincolato dalle convinzioni, un vate che rimescola sensazioni reali, che si sciolgono in bocca come un’arancina o uno sfincione. Un disco poetico nel suo essere privo di elegia , la disarmante impressione che l’armonia e l’equilibrio siano proprio lì fuori dalla finestra, “tra le statue e le panchine di un inverno educato”, “e i resti di una civiltà sopra la nostra tavola, un souvenir da Roma e una torta per farci felici, economica, perché alla nostra età ci si accontenta di poco”. Un cd da portare con sè nei lunghi tragitti dell’ignoto di Trenitalia.
Tracklist:
- Non siamo gli alberi
- Non ho più voglia di imparare
- Venga il tuo regno
- Amore sociale
- Cartoline da Amsterdam
- La penultima cena
- Maledetto Autunno
- Io non parlo mai
- Piccoli peccati
- Poster di famiglia
- Ormai siamo troppo giovani