Dimartino @ “La Bella Stagione”

14 Luglio 2012

La Bella Stagione – Lido Rinascenza, Torre Annunziata


Rodrigo D’Erasmo sta ancora facendo suonare il suo violino elettrificato à la John Cale nell’aria estiva (eppure fresca) del Lido Rinascenza (siamo a Torre Annunziata, il paese che ha esportato la pasta – e la droga – nel mondo), accompagna un Roberto Dell’Era che si alterna tra chitarra e voce: sono entrambi in breve pausa dal tour degli Afterhours che presentano il nuovo lavoro, Padania (c’è spazio anche per quella Tutti gli uomini del presidente direttamente da ”I milanesi ammazzano il sabato” che fa tornare Dell’Era in versione anti-crooner). Il Lido è affollato di cuoriosi e battaglieri della notte, c’è addirittura chi cammina scalzo, chi ha sfoggiato coraggiosamente i tacchi, i più cool s’aggrappano alla scelta del sandalo estivo, i più imbecilli hanno messo le scarpe chiuse, e sarà arduo immaginare una ragione migliore che non sia quella di dare sfoggio di bravura al tavolo da ping-pong (a ”La Bella Stagione” c’è anche un tavolo da ping pong).

Ami lei o ami me”, sono le parole che intona Dell’Era per aprire la serata musicale di questa calda manifestazione. Del resto che cosa si può volere di più in un 14 Luglio qualsiasi se non sei un rivoluzionario sansculotte alle prese con la Bastiglia; se vivi nel 2012, con l’afa alle costole, e nei locali e per le strade senti che tutto è torrido, tanto che hai voglia di bere una birra fredda su una spiaggia mentre la brezza si dondola a ritmo tribale.  Prima di lasciare il palco Dell’Era alza una specie di avvertimento al pubblico, ”Adesso largo ai Dimartino, che ci piacciono veramente tanto’‘ – più tardi dirà che tra tutti i cantautori italiani questo Antonio Di Martino è proprio il suo favorito.

Antonio Di Martino si avvicina al palco con una camicia aperta, e quel suo baffetto che ci ricorda Mastroianni in “Divorzio all’italiana”. Sono in tre a calcare il palco stretto, in formazione essenziale: il frontman si alterna tra basso e chitarra e poi Angelo Trabace alle tastiere e Giusto Correnti alla batteria. “Venga il tuo regno” apre il concerto, col suo basso impositivo e la sua melodia lieve, l’ingresso è un po’ sottotono, ma si capisce che è solo questione di qualche minuto di riscaldamento, perchè i ragazzi sanno il fatto loro, e le canzoni di Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile (titolo che entrerà di gran lunga nel guinness dei primati in lunghezza parole del cantautorato italiano), nonostante suonino più scarne rispetto al disco, saranno tenute su magistralmente, riarrangiate in chiave più aggressiva. Lo si capisce da quel valzer scanzonato che è “Cartoline da Amsterdam”, che colora l’atmosfera, tra immagini psichedeliche e vagamente malinconiche, che profuma l’aria dei profumi della Sicilia, dalla melodia tipicamente italiana di “Maledetto Autunno” all’esaltante devasto musicale di “La lavagna è sporca”. Brani eseguiti col piglio dei musicisti veri, senza un minimo di sbavatura. Non sarà nemmeno la momentanea rottura della cassa della batteria a bloccare il concerto. Le canzoni più tranquille vengono in aiuto, si può tranquillamente sparare a Vinicio Capossela, mentre il batterista sistema il suo strumento. Il pubblico segue con attenzione, qualcuno canta, qualcun altro scopre l’anima di questo cantautore, così immediato da riuscire a far partecipare anche chi non sa minimamente chi sia nè da dove venga. La soddisfazione di un musicista è anche questa, raggiungere l’universalità senza mai cadere nel retorico. In scaletta i brani del precedente lavoro Cara maestra abbiamo perso fanno capolino ogni tanto e ci si trova a cantare pezzi come “Cercasi Anima” e “Cambio idea”. Ma ci emoziona anche il grido ”Non ho più voglia di imparare” che pare aleggiare in aria come quello di un refusenik punk. Si ha l’idea di un momento di grande collettività all’apertura di “Non siamo gli alberi”, perchè in fondo un po’ tutti odiamo le ferrovie dello stato, per motivi differenti, s’intende, ma ognuno ha il suo e ci tiene a dimostrarlo. Degno di nota il finale con “Macellare è lecito”, brano inedito che non ha trovato spazio nei due album dell’artista siciliano.

Si capisce, insomma, perché il Guardian ultimamente ha citato i Dimartino tra i progetti della musica italiana (-siciliana) degni di nota. Non ce ne vogliano Paola e Chiara se sfogliamo il Guardian con gli occhi di chi legge i giornali solo per trovare conferma di quello che pensa.


Giovanna Taverni / Salvatore Sannino

foto a cura di Claudia Ascione

Exit mobile version