In questo genere di mondo che legge continuamente è difficile trovare anche il tempo di leggere

Domicile conjugal, François Truffaut, 1970

La Repubblica risponde al dibattito furente sulla lettura dei libri in Italia con l’idea più originale di tutte, ovvero intervistare un Non Lettore random a cui non interessa di dichiararsi lettore, anzi avvisa di non aver mai letto. Un grande atto di sincerità in un’epoca poser per natura. Probabile che questo Non Lettore non esista neanche nella realtà, e sia un’invenzione letteraria del quotidiano, tuttavia fa pensare. Anzitutto fa pensare che cultura non vuole necessariamente dire leggere libri, si può essere uomini e donne di mondo anche senza confrontarsi con Jack Kerouac e Maupassant, si possono coltivare plurimi interessi senza conoscere la storia di Huckeleberry Finn, per quanto sia un luogo comune che esista invece una correlazione tra lettura ossessiva e cultura. Non tutti devono necessariamente leggere, a meno che non scrivano, e allora lì si pone un problema quantomeno di aggiornamento continuo e scambio creativo (scusate se uso la parola creativo in una particolare congiuntura storica in cui creativo è chiunque sia capace di costruire tweet originali).

Il dibattito di cui stiamo parlando si è animato in particolare quando Luca Sofri ha scritto sul suo blog che i libri vanno verso la loro fine. In effetti siamo così affogati da questa civiltà di lettura (passiamo talmente tanto tempo a leggere chat status tweet articoli notizie e via dicendo) che la bulimia da lettura potrebbe coglierci come l’assurdità coglieva Camus all’angolo di una stradina. Il problema è: stiamo utilizzando qualitativamente bene il nostro tempo e spazio di lettura?

In questo genere di mondo che legge continuamente è difficile trovare anche il tempo di leggere. Ma non sarebbe mica un delitto tornare a vedere se Don DeLillo ha da dirci qualcosa di più interessante della nostra vicina di casa. La maggior parte delle volte potrebbe sembrare persino una rivelazione. Detto questo non credo in quest’agonia evocatissima dei libri. Non c’è bisogno di difenderli da niente, neanche dalla vostra vicina che vi ruba il tempo per leggere. Tanto meno dalla playstation, o dalla droga di Nutella. Non esiste un numero prescritto di libri da leggere all’anno, o un tempo prescritto da dedicare alla lettura. Si può contemporaneamente ascoltare un bel disco e leggere un bel libro, senza necessariamente avere addosso l’ansia da prestazione di farlo il più possibile. L’unico aspetto che mi sembra interessante curare non è la quantità ma la qualità delle cose: non è la mania di fare qualcosa, di leggere 300 libri all’anno, quasi uno al giorno, ma di leggere le cose che possono muoverci qualcosa dentro.

È vero che oggi siamo più distratti di un tempo, che internet ci distrae continuamente e ci rende frastagliati, ma ci dà anche l’opportunità di una grande offerta e scelta, di capire prima di fare un acquisto spericolato come quello di un libro o un biglietto per il cinema, se quella cosa ci può interessare realmente o meno. Forse per questo i libri vendono di meno, stiamo capendo le strategie ultime del marketing che vuole rifilarci qualsiasi cosa come fosse la stessa. Ma ci sono libri, come i racconti di Carver, che non andranno mai nel cesso.

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