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L’amore nella notte più lunga dell’anno | Los años nuevos di Rodrigo Sorogoyen

Ahora que nada espero / y que no hay nada ya que añorar, / ahora hasta el mismo cielo / me acompañará en la cuenta atrás. // Y hoy va a ser / la noche más larga del año, / y la quiero vivir como si en realidad / no tuviera, no, que asistir a su final.

[Nacho Vegas, La Noche Mas Larga Del Año]

Qual è l’orizzonte di un racconto, come provare a rendere sottilissima la parete di carta di riso che separa la realtà dalla sua rappresentazione, in che misura un dialogo scritto su carta può replicare, rendendola incredibilmente realistica, la comunicazione quotidiana, tratteggiandone i pensieri che diventano parola prima ancora di essersi compiutamente formati, lasciandone intravedere le emozioni – quel groviglio di istinti che provano a trovare faticosamente la possibile illusione di una struttura duratura capace di riconoscersi in un sentimento?

È il tentativo di rispondere a queste domande che sembra aver condotto alla realizzazione di una delle serie più interessanti e suggestive dello scorso anno, da poco arrivata in Italia – sorprendentemente su RaiPlay. Qui,  infatti, è possibile guardare – anche in lingua originale con sottotitoli bilingue – Los años nuevosDieci Capodanni – miniserie in dieci episodi, presentata lo scorso settembre alla 82° edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

L’opera, inizialmente rilasciata in due blocchi da cinque puntate ciascuno, porta la firma di Rodrigo Sorogoyen che l’ha scritta insieme alle sceneggiatrici Sara Cano e Paula Fabra. La regia è dello stesso Sorogoyen che firma quattro episodi; gli altri sono affidati a Sandra Romero e David Martín de los Santos.

Ana (Iria del Río) e Óscar (Francesco Carril) si incontrano durante la nochevieja che separa il 2014 dal 2015, la notte di San Silvestro, la “vigilia” di Capodanno. Il loro è anche anagraficamente uno spazio di contiguità: Óscar è nato, infatti, proprio il 31 dicembre, Ana, a poche ore di distanza, il primo dell’anno nuovo. Sono come un ponte, il proseguimento l’uno dell’altra. E di quei due giorni natali sembrano quasi portare i segni distintivi: Óscar è malinconico, fin dalla prima scena intrappolato in un inconsolabile rimpianto, come ripiegato dentro uno sguardo solitario sul passato; Ana è sempre sul punto di (ri)cominciare, stravolgere, partire. Entrambi in qualche modo sono alla ricerca di una destinazione, una meta, un porto: per Oscar è il luogo dove riparare, attraccare. Per Ana un punto saldo da cui continuare a spostarsi in un continuo lasciarsi alle spalle errori e frammenti di ciò che di sé non riesce ad amare, nella speranza di costruirsi un futuro.

«Sai come si dice, nel mio dialetto, dare il contagio? Ammiscari, si dice. Cioè mescolare, mescolarsi con uno. Significa ch’è un travaso di sé nell’altro, altrettanto mistico, forse, di quello di due altre assai diverse solennità: voglio dire la comunione col sacro nell’ostia; e la confusione, su un letto, di due corpi amici.»

[Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, 1981]

Apparentemente così diversi, eppure accumunati da una sorta di irrequietezza che nell’uno prende le sembianze di una quiete sotto la pelle e nell’altra di un’irrefrenabile chiamata al movimento, Ana e Óscar si mescoleranno fin dal loro primo incontro. Sarà il primo Capodanno della loro storia d’amore: Los años nuevos racconterà, infatti, l’evoluzione del loro rapporto unitamente a quella delle loro vite, attraverso il succedersi di dieci capodanni che puntelleranno le curve della loro esistenza.

L’idea dietro Los años nuevos non è, va da sé, originale. È stato detto: dalla trilogia di Before di Richard Linklater al caso più recente di One day, dapprima romanzo (2009, Edizione Italiana di Neri Pozza) dello scrittore britannico David Nicholls, quindi film e poi serie. Da One Day, certamente, Dieci Capodanni mutua la costante centralità del medesimo giorno dell’anno che qui viene trasportato, evidentemente, in una giornata che da sempre – anche per chi prova ad opporsi – rappresenta un agrodolce crocevia di bilanci tra rimpianti e aspettative verso il futuro.

Rodrigo Sorogoyen del Amo (Madrid, 16 settembre 1981) è ormai da anni uno dei registi più talentuosi della sua generazione. Tra le sue opere figurano El reino del 2018 ma, soprattutto Madre dell’anno successivo e l’ultimo, As bestas (2022), presentato al 75º Festival di Cannes. Nel 2020 realizza la serie Antidisturbios presentata al Festival di San Sebastian.

Sorogoyen, pur attraversando diversi generi, non si è mai allontanato da una forma di racconto cinematografico che, se da un lato mantiene un profilo che potremmo anche definire classico – in termini di rigorosità dell’impianto e dello sguardo – dall’altro lascia attraversare quello stesso racconto e, in particolare, nella ricercata centralità all’interno delle sue narrazioni dello spazio delle relazioni umane, da scorribande rappresentate da un continuo rimescolamento delle carte, sottraendo dal racconto medesimo la fermezza del punto di vista unico – sia questo di un personaggio come anche di un narratore omnisciente.

All’occhio singolare del regista, Sorogoyen sembra, infatti, sostituire un prisma di sguardi che meglio riescono a imbastire la complessità del tessuto reale.

La centralità delle relazioni di cui dicevamo, si esplica non soltanto attraverso i rapporti tra i personaggi, ma anche e soprattutto attraverso le interazioni tra questi ultimi e l’ambiente che li circonda: dalle amicizie alla famiglia, dagli scenari urbani agli spazi che abitano.

Rodrigo Sorogoyen sul set con Iria del Río e Francesco Carril

Quest’aspetto che in qualche modo è stato sempre espresso dal regista madrileno secondo registri che hanno prediletto, se non il dramma, di sicuro l’intensità e la profondità di sfumature più cupe dello spettro umano e dei suoi accadimenti possibili, in Los años nuevos, invece, trova una nuova forma di espressione nelle tinte – va detto, almeno inizialmente – di una messa in scena che ha il sapore se non proprio della commedia, certamente del coming of age, del romanzo di formazione che non si limita al mero racconto della coppia e dei sentimenti che la animano, ma – sempre fedele alla rete di relazioni che fanno dell’individuo l’elemento centrale dentro a un sistema più complesso – si fa narrazione di un’intera generazione.

In quello che potremmo quasi definire un cinema dell’attenzione, incardinato com’è dentro lo sguardo capace disvelare il nucleo centrale dei personaggi – che di cinema in fondo sempre si tratta quando un regista di tale sensibilità incontra il prodotto seriale – appare evidente la ricerca di verosimiglianza nei fatti narrati e nella loro rappresentazione.

Ed è proprio sotto questo aspetto che Los años nuevos sorprende davvero lo spettatore, conducendo per mano questa dinamica realista in luoghi difficilmente raggiunti in una serie televisiva. Al netto della costruzione della trama e di momenti registici – le inquadrature fisse su personaggi avulsi dalla scena sullo schermo – Los años nuevos sembra configurarsi quasi come testimonianza in presa diretta della realtà.

E se chiaramente tale risultato è da attribuire in primis a un lavoro incredibile di sceneggiatura – per temi, per tempi, per la freschezza e la sincerità dei dialoghi, per la negazione di ogni retorica e ogni discorso “formale” e programmatico, qui sostituito dalla rapida immediatezza di scambi taglia e cuci, interruzioni, distrazioni e deragliamenti come accade a ciascuno di noi nella nostra vita quotidiana – i fattori di questo piccolo miracolo sono davvero molteplici.

Le scelte di casting appaiono incredibili: l’umanità che Sorogoyen porta sul piccolo/grande schermo è affidata a un nucleo di attori che davvero sorprende per la bellezza inusuale dei volti – verrebbe da dire una bellezza reale, concreta, mai immobile, capace di oscillare secondo gli ampi margini di visi ora stanchi ora felici, ora sereni ora tormentati da pensieri e delusioni – come anche dall’incredibile talento attoriale fatto di totale naturalezza dietro la cui sprezzatura nascondere professionalità e talento. Oltre ai protagonisti, risulta difficile non citare almeno Pablo Gómez-Pando (Guille), Lucía Martín Abello (Vero), Benjamin Prado (romanziere e poeta spagnolo che qui interpreta il padre di Óscar), Ana Labordeta (Isabel, la madre di Ana)

Los años nuevos ha il merito di portare in scena una grammatica dei sentimenti che appare molto più vicina alla vita che tutti noi conosciamo, nonostante la necessità di fare spettacolo – si pensi a una serie ugualmente generazionale come Euphoria che, pur nella sua bellezza, piega attori, personaggi e storie a una morfologia intrisa di manifesta rappresentazione spettacolare. Los años nuevos è, per contrasto, un racconto per immagini che ci appare vicino, familiare, vero: al punto tale che le tante scene di sesso che costellano – com’è naturale che sia e in modo evidentemente differente – l’evolversi del loro rapporto, lasciano in chi guarda una sensazione voyeuristica che quasi intimidisce; come se ci fossimo trovati nostro malgrado a invadere lo spazio intimo e privato dei protagonisti. Uno spazio che è specchio veritiero – e anche per questo meravigliosamente tenero e umano – del nostro minuto universo mondo.

Los años nuevos è un grande affresco anche europeo: ci sono Madrid e Valencia, certo. Ma anche Lyon, Berlino – con il Berghain luogo di culto nel quale sarà ambientato uno degli episodi più belli ed emozionanti dell’intera serie, il quinto. Porta dentro di sé la linea di una traiettoria generazionale e, non a caso, cita a un tratto in maniera esplicita La Meglio Gioventù di Marco Tullio Giordana. Senza anticipare nulla, appare, evidente che se la storia dei fratelli Carati poteva rappresentare il filo nascosto attraverso il quale narrare anche la Storia del Novecento, qui la storia dei trenta/quarantenni degli anni Duemila è costretta a confrontarsi, inevitabilmente, con altro: precarietà, scelte dolorose, crollo dei riferimenti – culturali, politici, familiari; anche quando la Storia entra prepotentemente sulla scena lo fa attraverso qualcosa – il Covid, Óscar è un medico ospedaliero – che i personaggi sono costretti a subire, stravolgimento che impedisce, non opportunità che dà slancio o vita.

Ecco allora, che Los años nuevos riporta, in fondo, la centralità dell’amore in una generazione che ne riconosce da un lato l’ultimo spazio franco se non di scelta, di inclinazione e desiderio, dall’altro – e per gli stessi motivi – lo spazio di libertà entro cui determinarsi o fallire. Il suo merito più grande è quello di riuscire a raccontarlo con incredibile e dolcissima umana leggerezza.

Fabio Mastroserio

"Un grido in cerca di una bocca"

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Fabio Mastroserio

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