Oggi ci occupiamo di “uno dei più importanti romanzi apparsi in Italia negli ultimi dieci anni” (Times Literary Supplement), si tratta de Il tempo materiale scritto da Giorgio Vasta e pubblicato per la prima volta nel 2008 da Minimum Fax, libro che ebbe grande successo, tradotto in undici lingue e candidato al Premio Strega 2009.
La vicenda è ambientata nel passato, ma non mancano i riferimenti al presente. Mentre racconta il clima ideologico e di violenza degli anni 70 l’autore indirettamente lo confronta con oggi:
“Perché ce n’è sempre di più, troppa la nuova ironia italiana che brilla su tutti i musi”
Per chiunque viva nel XXI secolo questo non può non essere letto come attacco al nostro modo di fare, sempre chiuso in un involucro di ironia sterile “che ogni giorno lotta contro l’ideologia e in pochi anni non ne resterà più nulla, l’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta, la nostra camicia di forza, e staremo tutti nella stessa accordatura ironico-cinica, nel disincanto”. Una contrapposizione antica come le civiltà, se sia meglio lottare per lo stato anche senza possibilità di cambiare la realtà o arrendersi ai propri tempi e occuparsi della propria felicità e del proprio particulare. Comunque la si pensi, stoici o epicurei, sono sicuro che Vasta scrivendo questo passo si riferisse alla sua contemporaneità.
È il 1978 in Italia, lo stragismo che in quegli anni ha sparso sangue ovunque è al suo culmine, il 16 marzo viene rapito il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro – verrà ritrovato morto la mattina del 9 maggio nella Renault 4 di via Caetani. L’opinione pubblica si concentra su questi drammatici fatti, la violenza dilaga. Questo è lo sfondo che Vasta sceglie per la sua storia.
In una Palermo a metà tra l’onirico e il fantastico vivono la loro adolescenza tre ragazzini, Nimbo, il protagonista narratore mitopoietico, Scarmiglia e Bocca. I tre amici non sono dei normali undicenni, si definiscono “lucidi, separati, ostili. Lettori di giornali, ascoltatori di telegiornali. Critici, tetri, Preadolescenti anomali”. Sono diversi dai loro coetanei con cui frequentano le scuole medie, hanno delle teorie politiche e ideologiche precise, per quanto ancora immature e generate per imitazione: pur trovandosi lontano dai centri del potere, come Roma e Milano, hanno assorbito dalla tv, dai giornali e dagli adulti quell’interessamento e quell’ideologia politica mista alla pesante violenza di quegli anni. Sanno di essere diversi, si sentono tali e grazie a questa convinzione cercano una scappatoia dalla monotonia della vita quotidiana di Palermo.
Inoltre sanno come parlare italiano, la conoscenza della lingua nazionale li pone un gradino sopra il resto dei loro amici, compagni e concittadini limitati dai vincoli del dialetto. Proprio attraverso la componente linguistica passa la loro mutazione, la loro alterazione. Ai loro occhi l’Italia è una nazione tiepida, incapace di provare qualcosa di forte e di prendere seriamente ciò che di preoccupante succede (ogni tragedia viene trasformata in melodramma, e da melodramma a farsa). Quello che invece sta accadendo a Roma è un’infezione che si deve espandere a tutta la nazione per risvegliarla dal sonno.
I comunicati delle BR appaiono alle loro anime ancora fragili di bambini come un animale mitologico, il linguaggio dei quei comunicati è un unicorno, forte, preponderante e affascinante. Sotto la guida di Scarmiglia, che per vocazione personale si assume il ruolo principe, danno vita ad un gruppo rivoluzionario (Nucleo Osceno Italiano) e iniziano la loro opera terroristica: colpiscono la scuola e il quartiere in cui vivono, dapprima con innocuo attentato (considerato una bravata dagli inquirenti), poi arrivando a sequestrare e a uccidere un loro compagno di classe e a progettare un secondo sequestro.
In questa veloce escalation di violenza Nimbo si innamora di una compagna di scuola, Wimbow la bambina creola, che era stata designata come bersaglio del secondo sequestro proprio per l’attaccamento del protagonista nei suoi confronti. L’amore deve essere sottomesso all’ideologia, anche perché “le bambine fanno piangere”. Nimbo dal momento dell’omicidio di Morana aveva iniziato un dialogo con la propria coscienza smascherando progressivamente la disillusione nei confronti della lotta armata, finisce col denunciare alla polizia le violenze del Nucleo Osceno.
Vasta vuole raccontare i difficili momenti che l’intera nazione ha attraversato negli anni di piombo, e per farlo assume il punto di vista dei più deboli, cioè di tre ragazzini che rappresentano allegoricamente la parte di coscienza nazionale ancora pura e indifesa, che però non è in grado di reggere da sola il peso degli avvenimenti e finisce inevitabilmente per perdere l’innocenza. La narrazione procede per immagini, le scene surreali tendenti all’horror/angosciante unite al lessico dell’infezione sono funzionali a mostrarci l’alterazione delle giovani, e per questo fragili, menti di Nimbo, Bocca e Scarmiglia in un ambiente tanto malato.
Il problema del linguaggio assume nel romanzo di Vasta una grande importanza, come già anticipato: i ragazzi rimangono profondamente affascinati dalle parole delle Brigate Rosse, che invece Umberto Eco in Sette anni di desiderio definisce come un linguaggio infantile, illuso, che fa trasparire una visione anacronistica e ideologica della lotta al potere, paragonando i brigatisti a combattenti religiosi con lo scopo di portare il popolo verso un paradiso vuoto. Io aggiungerei anche l’aggettivo “pericoloso”. iTop VPN Crack L’effetto che i comunicati hanno su Scarmiglia e gli altri amici è simile a quello della attuale propaganda dello Stato Islamico: il rischio è che la lingua usata dall’Isis arrivi a convertire alla causa dei guerriglieri coloro che stanno ai margini della società, e quindi più deboli, che stentano a trovare una propria posizione nell’esistenza, dando loro uno scopo, o una via di fuga, nel jihad. Questo è quello che succede, in particolare al capo, Scarmiglia, che nel corso del romanzo lavora per trasformare il gruppo di amici in un nucleo rivoluzionario destinato ad una inevitabile sconfitta, ma che nella sconfitta vede appunto un fine a cui tendere, uno scopo, una fuga da una realtà insopportabile.
Le parole riempiono il vuoto cosmico dell’esistenza, nelle parole Nimbo, il prigioniero mitopoietico, si rifugia fino a quando grazie all’amore per Wimbow gli è finalmente permesso di tacere e di lasciarsi andare ad un pianto cosmico. Nel finale la prospettiva si allarga fino a diventare cosmica ed universale, la letteratura si fa allo stesso tempo manifestazione di un acuto dolore esistenziale, e strumento grazie al quale sopravvivere alla propria vita storica e materiale.
a cura di Paolo Bergamaschi