Corre l’anno 2017. La black music imperversa, anche quella più ghetto oriented, e le grandi rivoluzioni sonore dei primi anni Zero sono relegate ormai a quegli anni.
In questo contesto a primo acchitto tutt’altro che favorevole, la premiata ditta Gore & Gahan ha deciso di dare alle stampe un nuovo disco, il quattordicesimo in studio dei Depeche Mode, Spirit.
La band dell’Essex è una di quelle che richiama sempre folle oceaniche, immersa come è stata sin dagli esordi nello showbiz. Alcune scelte azzeccate non solo sul piano sonoro, penso ad esempio alla collaborazione con Anton Corbijn, li hanno consacrati al pubblico videomusicale. Viene da chiedersi prima di iniziare a sentire il disco, se al di là dei successi commerciali legati all’idolatria generata negli anni su una folta fanbase, nelle 12 tracce di Spirit si trovi ancora qualcosa di realmente valido.
Dunque, per prima cosa, questo Spirit suona precisamente come un disco dei Depeche Mode; voglio dire, non ci sono particolari innovazioni stilistiche tali da distanziare questo disco dagli altri. Questo se da un lato può sembrare noioso, è tutto sommato una scelta molto onesta da parte di un gruppo che ha già realizzato 13 dischi. Il mix di strumenti analogici e samples digitali è ben calibrato e produce un suono caldo sin dalle prime note di piano di Going Backward.
La voce di Gahan è una certezza e rappresenta il marchio di tutto il disco, eccezion fatta per i due minuti di Eternal e per la conclusiva Fail cantate dall’algida (e per chi scrive disturbante) voce di Gore. Il singolo Where’s the Revolution attraverso cui Gahan sembra arringare ad una platea di ascoltatori messaggi dal forte connotato politico (Who’s making your decisions / You or your religion / Your government, your countries / You patriotic junkies) complice il video diretto, indovinate un po’, da Corbijn, è di quei singoloni a cui ci hanno abituati nel corso dei tempi, ma non è di certo l’unico brano degno di nota.
Ad esempio c’è l’accoppiata costituita da So Much Love e Poorman, che rimarca quei forti legami che la band ha sempre avuto con i Kraftwerk. Certo fa una strana impressione sentire la voce di Gahan, calda e conturbante come sempre, più credibile quando dice “there so much love in me” rispetto a quando si muove in ambienti che farebbero presupporre una maggiore confidenza (You move), ma sarà solo il segno dei tempi e del tempo passato.
Interessante è pure l’electroballad sul finire del disco, No More (This is the Last Time).
Insomma, con questo Spirit, i Depeche Mode scelgono di non fare passi nel vuoto, preferendo la certezza data da un suono che è il loro marchio di fabbrica (non è casuale la scelta di James Ford alla produzione), decidendo però di lasciarsi alle spalle i “blasphemous rumours” di qualche anno fa.