Disappear
Chiudere gli occhi per un istante, riaprirli e scoprire che nulla esiste più, ritrovarsi nel limbo dell’inesistente e nel regno della possibilità. I Deerhunter vogliono perdere la propria forma, sparire, per essere solo musica.
La necessità di scomparire e vedere sparire è un punto fisso nella nuova era del rock. C’è chi vuole spiegare come sparire completamente, c’è chi si domanda perché non è tutto sparito ancora. Questa domanda tiene banco nel nuovo album dei Deerhunter.
L’intero impianto del disco sembra essere un tentativo di capire come sia possibile, come possa essere tutto lì, al proprio posto, nonostante tutto.
I Deerhunter se lo chiedono facendo appello alla nostra storia, agli avvenimenti che avrebbero potuto portare alla fine e che, invece, nonostante tutto…
La verità prima di tutto
Il gruppo originario della Georgia non è nuovo a provocazioni e a schiaffi che ci sveglino da un torpore fatto di convenzioni e di oggettività, dal punto di vista stilistico e tematico, fieri della loro sete di innovazione e sperimentazione musicale ma, all’occasione, capaci di accontentare anche le orecchie meno esigenti.
Il genio di Bradford Cox, illuminante e distruttivo, non è mai stato ingabbiato da logiche di mercato e dal popolare.
Il grande compito che la band ha deciso di far suo è quello di trovare il modo migliore per descrivere il Weltanschauung in cui si trovavano. Il mondo cambia, i desideri mutano, le paure di ieri non sono quelle di oggi? Bene, alla musica spetta il ruolo di afferrare ciò che c’è dietro e metterlo giù in note.
La manifestazione più emblematica dello spirito irrequieto che domina in Cox e compagni è senza dubbio rappresentato dal fatto che in alcun modo la band ha tentato di riprodurre lo stile dell’album precedente. Un esempio su tutti è rappresentato da Halcyon Digest che è da considerarsi il loro album più riuscito (al punto che qui ci siamo chiesti perché, a distanza di tanti anni, rimaneva campale per la storia della musica) ma il cui stile non è stato in alcun modo replicato dalla band.
I Deerhunter hanno sempre osato perché prima del favore popolare, viene la loro missione. Non sarà certo un mancato applauso a impedire alla band di intrappolare quello che davvero è il mondo in quel momento, al di là di ogni visione soggettiva.
L’orrore
Il titolo del nuovo album dei nativi di Atlanta, Why Hasn’t Everything Already Disappeared?, è un inno alla caducità, all’instabilità ma, soprattutto, è un atto di considerazione della limitatezza del nostro pensiero e di quanto il mondo sfugga a dinamiche razionali. È ovvio aspettarsi che una puntina da disegno contro un palloncino lo faccia esplodere. Allo stesso modo, sarebbe lecito pensare che guerre, rivoluzioni, povertà, cattiveria abbiano estinto il genere umano che ha perpetrato tutto questo creando un deserto mondiale abbandonato alla fauna o addirittura esploso. E invece, nonostante tutto… Nonostante tutto il mondo continua a esistere, a volte persino spensierato, felice in quegli attimi di dimenticanza in cui non si fa caso alla polvere che si era nascosta sotto il tappeto il giorno prima.
Cosa succede alla gente? (What Happens to People?), si chiedono i Deerhunter in una traccia centrale della tracklist. Come può il mondo rimanere immutabile dopo gli orrori verificatisi durante la rivoluzione di San Pietroburgo? Cox ci narra della morte in quel preciso momento storico nella traccia di apertura Death in Midsummer. La morte provocata da un altro essere umano è qualcosa di terribile ma oggi sembra tutto dimenticato.
Come a volerci dimostrare che l’orrore di quasi conradiana memoria è il vero fil rouge della storia dell’umanità, i Deerhunter con un salto temporale olimpionico ci riportano all’immediato presente e nella seguente No One’s Spleeping ci cantano dell’assassinio di Helen Joanna Cox, figura politica inglese, detrattrice delle politiche della, poi denominata, Brexit e che nel 2016 fu uccisa da un fanatico al grido di “Britain first”.
Che suono fa la paura?
C’è da aver paura e questo timore emerge pienamente dalla musica dei pezzi di Why Hasn’t Everything Already Disappeared? all’interno di una vertiginosa sequenza di stili musicali che crea un effetto straniante a causa proprio dell’irrintracciabile gancio che fa da legame tra l’uggiosa elettronica di Tarnung e il pop carioca a base di percussioni di Plains, tra il ricco clavicembalo che fa da intro a Death in Midsummer e la più istintiva Détournement, tra la barocca e complessa struttura di No One’s Sleeping e il mood easy listening di Futurism.
All’interno del Maelstrom musicale messo su disco dai Deerhunter si rintracciano però due punti fermi: il lavoro fatto sulla parte vocale dei brani con la voce di Cox, filtrata in alcuni pezzi e totalmente modificata in altri; e il senso di pericolo e di instabilità capace di esprimere tutto quel timore di cui abbiamo già parlato e che con un meraviglioso gioco viene a essere accentuata proprio nei brani più (apparentemente) allegri creando quell’effetto “clown” che fa sembrare terrificante ciò che dovrebbe essere giocoso.
Siamo lontani dallo sporco stile garage rock di Monomania e dalle vette stilistiche di Alcyone ma, come la storia della band ha più volte dimostrato, l’urgenza di esprimere qualcosa va ben oltre la coerenza stilistica.
One way ticket
Il brano di chiusura dell’album è senza dubbio la vera punta di diamante dell’ultimo lavoro dei Deerhunter: una singhiozzante e ipnotica musica da carosello in cui parole pronunciate solo a metà e interferenze esterne si mescolano in una discesa agli inferi in cui Cox ci accompagna, dandoci la mano. Come un novello Virgilio, il cantante, ci parla prima di lasciar il passo alla musica per esprimere ciò che il linguaggio non può afferrare e per portarci dove non si appieda più. Dolcemente e inesorabilmente.
Se la paura avesse un giorno a lei dedicato, probabilmente sarebbe oggi. Se avesse una colonna sonora, probabilmente, sarebbe Nocturne.