Death Grips – Government Plates

Una manciata di giorni fa, dal nulla, i Death Grips hanno diffuso, tramite la loro pagina Facebook, i link per il download del nuovo album, oltre ad un nuovo disturbante video (forse anticipazione del film a cui dichiararono di lavorare? boh). Il download è gratuito, come era prevedibile dopo il caso abbastanza unico che fu la loro ultima release, poco più di un anno fa, No Love Deep Web, che valse la disintegrazione dei loro accordi discografici con Epic Records, anche a seguito del successivo sbeffeggiamento pubblico della major ad opera del trio di Sacramento.

I Death Grips hanno gestito la propria carriera, fino a questo momento, nella maniera meno ortodossa e più caotica possibile, riuscendo, con ogni passo sulla fune, ad accrescere l’interesse del pubblico attorno al progetto. Il fatto è che i concetti di caos e di estraneità agli schemi sembrano la matrice di tutto il lavoro dei Death Grips, quello musicale e quello riguardante la loro immagine, la loro comunicazione e, inevitabilmente, il loro approccio al mercato.

Ed è così che Government Plates, il quarto album dei Death Grips, ha visto la luce, sulla loro neonata etichetta Third Worlds, dopo la pausa più ampia mai presa dal gruppo tra un lavoro e l’altro. Dal primo mixtape, Exmilitary, del 2011, i Death Grips hanno contribuito, certo insieme ad altri, ma in maniera sicuramente più risonante, ad attirare l’attenzione del pubblico, soprattutto di quello poco legato al genere, su un certo tipo di rap underground, caratterizzato da uno stile di produzione sperimentale, noisy e schizofrenicamente contaminato. Oltre a questo tipo di esposizione, l’estetica di questo genere ha avuto anche un significativo reverbero su un crescente numero di produzioni hip hop, da quelle più underground, fino a raggiungere e far saltare sul carro, quest’anno, anche il più illuminato produttore mainstream, Kanye West, con quello che ad oggi è stato accolto come il suo lavoro più avventuroso.

Il nuovo lavoro dei Death Grips continua ad esplorare le possibilità di dar vita ad un rap ultra-violento ai limiti del fumettistico, ossessionato da droghe, dipendenze e paranoie esasperanti, che MC Ride rilascia con un registro pertinentemente urlato, veemente e del tutto sopra le righe. Non bastasse questo, la produzione è quanto di più caotico e schizofrenico sia possibile trovare, i beat vedono cambiamenti al limite dell’illogico tra aggressivi e meditativi, jungle e hardcore, elettronico e distorto. Le tessiture sono cariche di un gran numero di sample, provenienti dalle fonti e dalle atmosfere più disparate, siano queste canoniche o industrial, punk, noise, cartoni animati o di origini anche più esotiche. Questo gusto conferisce alla produzione un carattere unico e complesso, a volte abrasivo, altre più martellante, altre ancora più trippy o psichedelico, ma in Government Plates, anche più che in passato, il prodotto risulta particolarmente frammentato. La struttura è oggetto di cambi, mutazioni e sterzate che disorientano e in alcuni casi rendono il pezzo un ininterrotto bombardamento di stimoli, richiami, idee, perfettamente in linea con l’estetica caotica, post-hiphop e post-internet nella quale si inserisce la schizofrenica sensibilità dei Death Grips.

Dopo la grande aggressività crossover dell’opening track, che nel titolo sembrerebbe citare Bob Dylan, i deliri e le paranoie narcotiche di Mc Ride si alternano a diverse tracce dove lasciano, più che in passato, maggior spazio alle strumentali, sulle quali il lavoro di Zach Hill e Flatlander è chiaramente in continua evoluzione. Il tutto avviene in un caos psicotico a cui è impressa la forma organizzata appena necessaria a farlo stare in piedi, eppure, al solito, il disco consegna il numero di hook e momenti memorabili necessario a farlo restare accessibile ed intenso, come un videogioco splatter, e a rimanere nel cervello, come il più sfacciato singolo pop. Ciò non toglie che, soprattutto rispetto a The Money Store, in Government Plates manchino degli hook realmente letali, o almeno con quel sorprendente grado di efficacia e il songwriting non sia ai migliori livelli.

Dopo le sonorità particolarmente cupe, la centralità vocale e le ritmiche più programmate di No Love Deep Web, qui ricompaiono più elementi dell’iperattività anfetaminica di The Money Store, capolavoro della formazione, con arpeggi di sintetizzatori scintillanti e un intensissimo lavoro alle percussioni di Zach Hill. Ci sono pitch-shift e manipolazioni di tono ad ogni angolo, troviamo sia distorsioni disturbanti che episodi in cui alla melodia del sample è lasciato più spazio, come nel singolo Birds, che tra un criptico simbolismo ed un riferimento a Bukowski finisce per essere il pezzo più atmosferico pubblicato fino ad ora. In chiusura troviamo il brano più lungo dell’intera discografia della formazione, Whatever I Want (Fuck Who’s Watching), quasi sette minuti di alternanza stordente tra cassa dritta, jungle, loop vocali, abrasione e follia.

Con Government Plates, i Death Grips ritornano coesi e decisi. L’ispirazione della loro anarchia creativa non da alcun segno di cedimento in un disco più brillante rispetto a No Love Deep Web, anche se non tanto convincente nella scrittura dei pezzi quanto The Money Store. Al contrario di quanto accadeva nel precedente lavoro, il baricentro dell’identità del progetto si allontana dalla dimensione rapper/producer, verso equilibri più ambigui e meno definiti. Ci sono evoluzioni nel gusto e nelle idee per quanto riguarda la produzione, sebbene il tutto rimanga in continuità con qualsiasi uscita dei Death Grips, mantenendo una certa coerenza stilistica anche rispetto ad Exmilitary.
Riuscire a confermare un’identità stilistica ed estetica di questo livello, per artisti che inglobano il caos e la sperimentazione nel proprio stesso DNA creativo, è di certo indice di un talento e di una visione unica e fuori dal comune. Disco avventuroso, divertente e classicamente spiazzante, come solo i Death Grips.

ThirdWorlds, 2013

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