Dear White People, la serie che scava nelle tendenze razziste della società americana

Dear White People apre un discorso che dal 1705 continua a perseguitare la memoria collettiva della popolazione americana. Ricalcando sulla condizione degli schiavi e sull’emendamento, sancito proprio quell’anno che definiva i bianchi una razza superiore e dominante, a cui sarebbero state assoggettate le persone di colore. La serie punta proprio a scavare nella società americana, colta e benestante, per rintracciare le tendenze razziste che ancora riecheggiano sulle teste di giovani ragazzi dalla palle pallida. Dopo secoli di ignoranza e di falsa superiorità, a cui ne sono seguiti tanti altri di recupero e di rivalsa delle razze sottomesse, ci introduciamo all’interno del Winchester college, luogo in cui vengono formate e istruite la future classi dirigente degli Stati Uniti d’America.

La serie ci trasporta all’interno di questo mondo attraverso gli occhi di una comunità di ragazzi di colore che frequentano il college. Essendo in estrema minoranza, a loro viene concesso, da generazioni, un punto di ritrovo in cui non ci si sente soli o esclusi, ne diversi e inopportuni. Già da qui si intravedono le piccole crepe di una società in cui ghettizzarsi è l’unico modo per fare branco, e fare branco è l’unico modo per sopravvivere.

La protagonista, Sam, giovane attivista di colore e conduttrice di un programma radiofonico volto a sensibilizzare la società del campus sui temi del razzismo e a sparare a zero contro le intolleranze che si consumano all’interno dell’università, ci introduce all’interno della comunità dell’Amstrong-Parker, la residenza di ritrovo delle comunità di colore.

Mettendo in evidenza gli aspetti di intolleranza dei ragazzi bianchi nei confronti di quelli di colore, si nota come in realtà anche all’interno della stessa società nera ci sia una disparità e una serie di divergenze che sottopongo il gruppo a vari scontri e dissidi. Nasce tra di loro una sorta di competizione a ‘chi è più nero’ che scatena discussioni continue e divide la comunità in diversi fronti di scontro.

La serie ci racconta le vicende con un preciso ordine cronologico che ci accompagna negli eventi, piccoli, innocenti, gravi o eclatanti che si consumano all’interno del college, ma lo fa mostrandoci in ogni puntata il punto di vista di un personaggio diverso. Tra le varie menti dei personaggi in cui timidamente ci introduciamo nel corso delle dieci puntate, troviamo anche un ragazzo bianco, che interpreta il fidanzato della protagonista. Attraverso i suoi occhi, ci si può intravedere un punto di vista davvero innovativo, che ci mostra come la ridotta comunità di ragazzi di colore istituisca a sua volta una sorta di razzismo anti-bianco, dovuto alla credenza che essi costituiscano ancora una razza estremamente privilegiata e quindi nelle loro vite non ci saranno mai grandi ostacoli o veri meriti. Alcuni dei protagonisti tendono ad esagerare, riversando ogni accadimenti sull’odio razziale, sulla schiavitù e sul colore della pelle, accusando di razzismo ingiustamente e senza mezzi termini. L’interessante mescolamento di tendenze che il regista texano Justin Simien porta in pellicola rivela una realtà vera, vissuta sulla sua scura pelle quando nel 2006 lui stesso frequentava un college con affluenza prevalentemente bianca.

Uno studio della American Society of Criminology ha analizzato il fenomeno razziale contro i bianchi, rivelando che costituiscono il secondo gruppo colpito dall’odio discriminatorio negli Stati Uniti, subito dopo i neri afroamericani. Queste realtà, riportateci da statistiche o da testimonianze, determinano un alto livello di intolleranza razziale, proveniente da voti bianchi o neri, che ancora nei nostri giorni, in uno dei paesi con la maggiore mescolanza etnica è ancora persistente. Questo doppio aspetto, le due facce della medaglia che caratterizzano il pregiudizio in tutte le sue forme, ci confondono non permettendoci un preciso schieramento da nessuna delle due parti. Sarà stato proprio questo l’intento del regista?! Generare una doppia denuncia sociale, contro i bianchi che dopo secoli di storia, di progresso ed emancipazione, dopo un presidente nero e una serie di leggi sull’uguaglianza ancora si sentono impauriti da questa minoranza tanto da discriminarla, e contemporaneamente contro i neri, che non riescono a togliersi dalle proprie menti il germe della subordinazione, che continua a torturarli psicologicamente anche senza delle reali basi nella realtà.

Le dieci puntate finiscono lasciandoci in sospeso, alludendo ad una seconda stagione che con curiosità attendiamo per scoprire i risvolti e le vicende che il Winchester college ha ancora in serbo per noi. Questa prima stagione ci ha permesso di guardare la faccenda in un contesto diverso da quello in cui siamo abituati a vederlo. Noi, lontani dalle strade e dai ghetti americani che da anni ci vengono narrati tramite le penne di abili scrittori o le riprese di registi che ci mostrano le rivalità tra bande, tra i cosiddetti ‘ragazzi di vita’, non siamo forse abituati a trasportare questo astio in ambienti dove la cultura dovrebbe essere sovrana e capace di educare i giovani a vedersi tutti uguali, indipendentemente dal colore della pelle, dalla forma degli occhi o dal credo religioso.

Forse ancora oggi, seguendo la scia che Dear White People riapre, c’è bisogno di ripetere, ascoltare e imparare dalle parole di un grande uomo che ha impiegato la sua intera vita a combattere contro le disuguaglianze razziali e che da anni cerca di insegnare agli uomini una lezione che difficilmente viene assorbita:

“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli e a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli.” Martin Luther King

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