Visioni e memorie di David Lynch

David Lynch ci ha lasciato. Un breve commiato in due tempi.

I segreti di Twin Peaks

Nel 1991 Il diario segreto di Laura Palmer, lo spin-off tascabile de I segreti di Twin Peaks pubblicato in allegato al Tv Sorrisi e Canzoni, fu per molti preadolescenti dell’epoca il primo non autorizzato passo nel proibito. Una soglia tra età, come lo è la stessa serie sul piano di lettura più immediato: il brutale assassinio di un’adolescente, caduta sotto il peso insostenibile dei segreti dell’età adulta. Una soglia tra mondi a un livello più alto: il secondo? Il terzo livello?

Nel labirinto di sogni e visioni che si intreccia alla natura della tranquilla Twin Peaks, tra monti laghi e cascate, e alle vite dei suoi annoiati abitanti, luci e ombre si sovrappongono inestricabilmente. Una galleria di personaggi a prima vista piatti e scontati, circonfusi da un’aura di ironia ai confini col nonsense, si rivela depositaria del mistero più buio e impenetrabile. Ironia e mistero sono la combo fatale della serie ideata da David Lynch e Mark Frost che ha rivoluzionato il concetto di fiction.

L’agente speciale dell’FBI Dale Cooper, dotato di intuito lunare, con il suo bagaglio di eccentricità, l’immancabile tazza di caffè nero bollente e i dettagliati resoconti audio alla misteriosa Diane, si immerge accompagnandoci nelle acque limacciose della psiche, nel campo unificato della coscienza in cui tutto è inspiegabilmente interconnesso: sogni, visioni, salvezza e violenza. Al di sopra e all’interno delle vicende di Twin Peaks una materica dimensione spirituale influenza emozioni, scelte e azioni dei personaggi.

L’assassinio di Laura Palmer si mostra come il fiore nero di un male ben radicato ed esteso, immanente. La purezza dei sentimenti di amore, amicizia e redenzione fanno da contrappunto radioso, sottolineati dalle musiche cupe e struggenti di Angelo Badalamenti. Inutile, perché superflua e infruttuosa ogni esegesi per l’opera più completa e visionaria, un lungo lungometraggio in episodi, di un artista che affermava che per i messaggi esiste l’ufficio postale. L’universo di Twin Peaks resta avulso a ogni semplificazione e molto più legato alla pura esperienza che alla sintesi.

La danza inquietante del nano nella Loggia Nera e quella sensuale di Audrey al Double R Diner; la maschera malvagia di Bob e il sorriso luminoso di Laura Palmer; la furia di Leo e il candore di Donna; July e il Gigante; il test nucleare Trinity e la polvere delle galassie; i doppelganger e gli indovinelli: i gufi non sono quello che sembrano. Questo mondo di immagini e suggestioni restano come dono generoso di una vita votata alle idee.

Ancora: camei e partecipazioni: lo stesso David Lynch nei panni di Gordon Cole, sordo e dunque urlante superiore dell’agente Cooper, dotato di cuffie che ricordano quelle di un regista; Mark Frost nei panni di un giornalista; David Bowie e Chris Isaak come agenti dell’FBI nel prequel Fuoco cammina con me. E poi i concerti al Roadhouse: da Julee Cruise alle Au Revoir Simone, Chromatics, Eddie Vedder, e il contributo dei Nine Inch Nails alla colonna sonora de Twin Peaks: The Return.

Tutto inizia da Twin Peaks, la prima vera serie, e oggi viene da dire, con la dipartita o forse solo il trasferimento definitivo di David Lynch oltre la soglia del mondo dei vivi, che tutto finisce lì. Di certo resta insostituibile la creatività, il mondo complesso sottratto a un fertile quantico altrove, un sogno sognato, vissuto e condiviso sul limite del reale. Ma chi è il sognatore?

Simona Ciniglio

Un artista e le sue visioni

Il club Silencio oggi è più mesto, e le sirene cantano mute per David Lynch, visionario artista del nostro tempo che ci ha lasciato nel mese di gennaio, a pochi giorni dal suo settantanovesimo compleanno.

A ricordare il regista americano ci sono tutti quelli che negli anni hanno lavorato con lui, e quelli che con la sua opera sono riusciti a superare la barriera del reale, e si sono avventurati per un altrove dove sogni incubi e fantasie hanno saputo liberarsi sfrenati. A ricordare David Lynch ci sono attori, comparse, collaboratori, musicisti, etichette discografiche, Kyle MacLachlan e Naomi Watts, ma pure i Beach House, la Rough Trade e NPR, artigiani, cantastorie, camminatori, e tutti noi che siamo rimasti incagliati nella sua opera come dentro la tela di un ragno.

Con i suoi film Lynch ha ispirato giovani registi, saggi e scritture, contaminazioni e manifestazioni di storie. Ma c’è dell’altro. David Lynch è stato un pittore, un osservatore di fantasmi, un curioso indagatore del reame musicale – un artista totale abitato da spiriti e antichi enigmi; subissato da interferenze, immaginari, deliri.

Mostrare un film, una litografia, un dipinto, è la stessa cosa – aveva detto parlando delle sue opere di artista visivo. Si prendeva cura delle colonne sonore dei suoi film, s’avventurava selvaggio per i viali dell’arte. Aveva pubblicato album di elettronica (Crazy Down Time), collaborato a dischi indipendenti come Dark Night of the Soul di Danger Mouse & Sparklehorse, duettato con Lykke Li. Le mostre o i club che inaugurava, erano tentativi di portare negli spazi della realtà la sua surrealista infestata immaginazione, un luogo dove convivevano terrore e magnificenza.

Di recente Lynch aveva raccontato la sua parabola di fumatore colpito da un enfisema che aveva ridotto i suoi movimenti all’essenziale. Non riusciva a rinunciare a un’abitudine venuta dall’infanzia. Lo potevamo immaginare mentre si preparava al commiato e si aggirava a fatica in una camera americana ancora in cerca di visioni stupende e notti di allucinazioni e collassi.

Negli ultimi giorni di vita, con Los Angeles in fiamme, Lynch era stato evacuato dalla sua casa. Non è morto nel fuoco, ha camminato con il fuoco alle costole e si è lasciato trascinare verso un ultimo notturno. Chissà che pensieri aveva mentre andava verso il sole, qual è stata l’ultima canzone che ha ascoltato, l’ultimo colore che ha visto nella mente. Non lo sapremo, l’enigma è irrisolto come un frammento di cinema onirico.

Gio Taverni

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