In Italia, forse per inossidabile tradizione democristiana, le celebrazioni non riescono mai a staccarsi da quel sapore vagamente fantozziano da varo della nave alla presenza della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare (“Vadi, contessa, vadi”!). A simile impostazione non sta venendo meno neanche il settecentesimo anniversario dalla morte di Dante. Eruditi ammuffiti, filologi new wave e marchese fiorentine incartapecorite vengono collocati, causa Covid, di fronte a una telecamera, con alle spalle l’immancabile cinta di libri, per dire la loro sul Sommo Poeta. Gli esiti, però, sono quanto meno discutibili: si passa, alla meglio, dai triti e blandi ricordi liceali (“Tanto gentile e tanto onesta pare”) alle forzate, inutili trovate attira-click (“Me lo ricordo Dante, quella volta che uscì dalla panetteria e diede un fiorino ad un bambino che elemosinava un tozzo di pane lì davanti. Sapete chi era quel bambino? Mario Draghi”). In questa aridità celebrativa è uscito però – un po’ in sordina, perché nel Belpaese le cose belle sono nascoste, sussurrate, appartate – un reale capolavoro di critica dantesca: Danteide di Piero Trellini, edito da Bompiani.
L’opera di Trellini è difficilmente sintetizzabile, è già questo è sinonimo di ricerca e qualità. Il punto di partenza è la testa di Dante, letteralmente. Ripercorrendo la vicenda della riscoperta delle ossa del poeta nella cripta di Ravenna, Trellini inizia la sua analisi da evidenze forensi, che mostrano come il cranio del poeta fosse più grande del normale, sintomo di grande intelligenza. Ma quali pensieri conteneva il cervello a sua volta contenuto in questa scatola cranica king size? È da questo interrogativo che si muove il resto del libro, quasi seicento pagine che raccontano il mondo in cui Dante ha vissuto: personaggi, vicende politiche, fonti librarie e orali, donne e amori, naturalmente.
Fin qui, nulla di apparentemente straordinario. Ma la vera innovazione consiste nel come il mondo di Dante è analizzato. Non è una semplice biografia, genere al quale ha ceduto anche il dominus dell’internet Alessandro Barbero producendo un Dante (edito Laterza) dai risultati sorprendentemente insoddisfacenti. Trellini piuttosto tesse una trama elaborata: ricerca il capo dei fili dai quali si diparte il lungo gomitolo che Dante inserirà nella Commedia. Le vicende di guelfi e ghibellini, di Paolo e Francesca, del conte Ugolino sono indagate nelle loro più recondite origini, immerse non nell’inchiostro di libri ma nella carnalità dei protagonisti che le hanno vissute. E il gomitolo di queste vicende è steso ben oltre a Dante: sapevate, ad esempio, che la camorra nasce in Sardegna ai tempi del conte Ugolino? O che il nome di quello che è oggi il più importante continente, l’America, è direttamente collegabile alla battaglia di Campaldino? Queste sono solo alcune delle tante chicche che, con dovizia filologica, Trellini resuscita dalla storia per creare, tramite Dante e la sua opera, un legame tra passato e presente.
L’imponente mole di ricerca e lavoro di Trellini è poi messa su carta con uno stile decisamente contemporaneo: scattante, accattivante, praticamente romanzesco. Danteide è così il lampante esempio di come, ancora nel XXI secolo, si possa fare ricerca letteraria uscendo dagli schemi tradizionali. Perché il punto di una celebrazione non dovrebbe essere quello di conficcare chiodi in una bara seppellendo un autore nel passato, ma al contrario esumarne lo spirito, spolverarlo e portarlo alla luce. O, come avrebbe detto qualcuno, a riveder le stelle.