Con il nuovo film Vicari si conferma narratore sociale del nostro Paese

Per passarvi un’impressione, un’interpretazione di Sole Cuore Amore – il nuovo film di Daniele Vicari – vi racconto un episodio. Immaginate un sabato pomeriggio, immaginate un cinema di Sorrento. Immaginate una donna sulla trentina e una sua amica. La prima è scesa di casa decisa a vedere il film: sa chi è Daniele Vicari, lo apprezza, pensa sia uno dei migliori registi in Italia, oggi. In più ha un debole per Isabella Ragonese. La seconda ragazza si fida dell’amica, non conosce Vicari ma è curiosa di capire. Alla fine del film, queste due trentenni, verso l’uscita della sala, si imbattono in una cinquantenne profumata, molto elegante: “Eravate anche voi in sala, ragazze?”. Le due amiche dicono che sì, erano dentro, che hanno visto il film. La signora fa una smorfia. Dice che il film è stato di una noia pazzesca, lento e banale. Dice che è la solita storia di poveretti. Ma si accorge del disgusto sulla faccia di una delle ragazze e riformula. Spiega che, certo, casi come quelli raccontati da Vicari esistono e se ne dispiace, anche. Finché saluta e se ne va.

Ecco, Sole Cuore e Amore è un film disturbante, un film che se vivi la situazione narrata ti metti a piangere, se non la vivi la rinneghi, la minimizzi, la scacci. Vicari sceglie di seguire due esistenze parallele, che ogni tanto si sfiorano. Entrambe precarie, entrambe consumate da un quotidiano ingovernabile, fino ad un finale che arriva come un pugno ben piazzato nello stomaco.

C’è una famiglia, quella di Eli (Isabella Ragonese) e Mario (Francesco Montanari). Eli e Mario hanno dei figli, vivono fuori Roma. Dopo un periodo in cui a stento riescono a comprare i pannolini, Eli trova un lavoro a Roma: lavora sette giorni su sette in un bar del centro, due ore di viaggio per andare, due per tornare. Di notte, quando Eli torna, Vale (Eva Grieco) amica di Eli che abita al piano di sotto, esce. Ha lasciato l’università, legge tantissimo, le manca suo padre e lavora come performer nei locali. Eli e Vale hanno caratteri dissimili ma sono due combattenti. La domanda è: per cosa combattono? Combattono per se stesse, per restare a galla. Combattono, specie nel caso di Eli, per le persone che amano. Combattono perché fermarsi equivarrebbe a sventolare bandiera bianca.

Il regista Daniele Vicari

Alla fine del film, uscendo dalla sala di un cinema, nelle vostre città, nei vostri paesi, penserete che il titolo è un bluff, è una provocazione. O penserete che è un modus vivendi che Eli e Vale hanno cercato di fare proprio, in qualche modo. L’introspettiva Vale e l’energica, inarrestabile Eli vi torneranno in mente parecchio. I movimenti ossessivi e sincopati di una e le frasi, l’ironia, i sorrisi di un’altra. E vi tornerà in mente Roma, la metropolitana, gli autobus da dove Eli sale e scende, di continuo. Ci vuole del talento per raccontare l’ordinario, quello che ci appartiene e che non sappiamo neanche quanto. Vicari si riconferma un narratore sociale, attento gli altri, a noi, a questo Paese, a quello che siamo diventanti, senza che alcuni, come quella signora a Sorrento, neanche lo sappiano.

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