Da Fedez a Povia: dei nuovi De André o di come qualcosa si sia inceppato

Okay, parliamoci chiaro. Viviamo in un mondo che non ha tempo per parlarsi, o l’interesse per dialogare su quello che succede. Gli approfondimenti politici sono dei teatrini in cui le marionette non si muovono e non hanno sentimenti, si insultano, urlano e indossano magliette con nomi di città che nemmeno a viverci se ne saprebbero i nomi. Poi a telecamere spente, magari, si stringono le mani per congratularsi di aver tenuto bene le parti che gli sono state assegnate. La credibilità culturale e politica del nostro paese ha cambiato i suoi intenti, dal progresso al mantenimento, sarà la crisi o forse che i buchi ci sono un po’ dappertutto e non solo sulle tangenziali. È naturale, quindi, in un contesto in cui è la visibilità, più che l’opinione, a rendere l’interlocutore più o meno credibile, che cambino i protagonisti. A voler essere ancora più sinceri, quegli artisti a cui guardiamo con nostalgia, siano Gaber o De André, oggi sarebbero destinati a suscitare l’interesse di pochissime persone e a chiudersi nelle bettole che, prima, erano un naturale punto di partenza mentre, oggi, assomigliano sempre più a quelle isole in cui, da una certa ora, non partono più navi. Se la società è fatta di capillari, è normale che ogni vuoto che si forma venga riempito il prima possibile da qualcosa, e non si sa più distinguere se sia sangue o acqua. È l’alba dei nuovi interlocutori, usciti da dove non si sa, con cui, però, sembra inevitabile farci i conti. E se qualcuno vuole diventare Steve Jobs o un musicista impegnato, forse, bisogna starci attenti e prendere certe parole con cautela, prima che diventino, per davvero, l’unica parola contraria che ci rimane.

Alle feste de L’Unità con Guccini, a quelle del M5S con Fedez

 

 

È questione di gusti e di generazioni, forse sì, forse no, o il figlio di Travaglio non era poi così intonato. Ma la querelle e le critiche per il fatto che Fedez avesse realizzato l’inno del Movimento poi non si capivano davvero. Dopotutto anche Salvini si è messo a citare De André, mentre per vederlo rivalutare Claudio Lolli bisognerà aspettare qualche mese. Con Fedez, forse, potrebbe metterci di più. È come vengono dette le cose a rendere un messaggio più efficace, e se il linguaggio è quello che gira di più, allora, diventa abbastanza facile trasformare la propria poetica in qualcosa di impegnato e cucirsi addosso quel ruolo, in maniera volontaria o meno. Se i giornali si dimenticano o cercano di far dimenticare certi problemi, sempre per quella questione sui capillari, basta che questi vengano accennati per ritornare, prepotentemente, sotto gli occhi di tutti. Usare l’Eternit o le questioni generazionali nei testi sono un modo, più o meno inconscio, per conquistarsi quel posto vacante. Allora è facile vedere Fedez invitato a discutere di attualità col politico di turno , il suo linguaggio e il suo seguito giovane colpiscono, e capita anche che il dissing fra J-Ax e Salvini venga condiviso da SeL con parole di soddisfazione. È la dimostrazione, ormai irrevocabile, che alcuni termini stanno cambiando e, chi, prova a tenerli in vita, sta restando indietro. I riferimenti sono scomparsi e a noi tocca raccogliere quello che ci arriva e, male che vada, a quel punto i rimorsi faranno più male dei morsi (cit.)

Dai Capitani a Steve Jobs

 

In mezzo c’è la città dei creativi di Consonno, il #teamFach e un romanzo edito da Mondadori. Dopotutto se tuo padre è un pezzo di storia della musica italiana – quella che noi non abbiamo mai ascoltato, mentre la canzone del Capitano ce la ricordiamo bene – i salti mortali per guadagnarti il titolo di figlio d’arte li devi pur fare. Non è andata con la musica, ma sono bastati due occhiali tondi – e un paio di milioni di euro – a Dj Francesco per costruirsi una nuova figura. Perché accontentarsi del denaro quando puoi diventare il nuovo promotore della gioventù italiana che lavora? Intendiamoci, non c’è nulla di male in quello che fa, se davvero il finanziamento alle start-up che sta osannando andasse in porto avrebbe già fatto più cose buone di tanti altri, di certo più di Shark Tank. È, però, facilmente fraintendibile il modo in cui da mesi ormai, a suon di video scritti da Francesco Sole, sta lanciando questo miracoloso smartphone ultramoderno. Non l’ha visto nessuno, e le celebrazioni non si fermano, ma i preorder, a quanto pare, hanno intasato i server. Gratuiti, sì, ma ci mancherebbe pure che qualcuno comprasse a scatola buia. Sorge spontaneo però, domandarsi se qualcuno l’avrebbe comprato per davvero, senza averlo mai visto, proprio come Apple insegna. E un po’ è lo stesso discorso per Fedez, su quanto siamo pronti a credere a quello che ci dice una personalità che non c’entra nulla, facendoci apprezzare i legami con cui questa magia tecnologica è nata, perché anche quella è una mossa di marketing. Ma il dubbio rimane, su quanti sono pronti ad alzare la mano per il loro capitano e ammettere che l’avrebbero fatto.

Se i bambini fanno ooooh, la BCE fa buuuuuh

 

 

Parlare di Povia è come sparare su chi dice di stare bene dopo il terremoto in Nepal dalla poltrona di casa propria: ridicolo. Per questo non c’è bisogno di ricordare come la sua parabola da Sanremo sia passata dalla pascoliana poetica del bambino 2.0 a quella del sovversivo e antieuropeista. In tutto questo il problema non è lui, ma chi lo segue e, lo sappiamo, sono sempre più di quelli che crediamo, perché alla fine siamo sempre troppo ottimisti.

Quel lavoratore di Jovanotti

 

 

Quando il ministro Fornero ha detto che «il lavoro non è un diritto» al Wall Street Journal ci siamo tutti offesi e scandalizzati, facendocela passare in fretta quando abbiamo constatato che, tanto, non lavoreremo mai. Con Jovanotti però la questione è diversa, come lo era quando ha sposato il progetto Renzi. È una storia vecchia, quella di chi raggiunge il massimo e si può permettere di fare la morale a chi invece non sta nemmeno a galla, così vecchia che gli si dà sempre troppa poca importanza. Ma la fede è un’altra cosa. Allora, magari ti senti offeso da quello che è stato detto, ma ai suoi concerti ci vai comunque, dandogli ragione, perché lui il biglietto te lo fa pagare, da sempre. Ma anche il caro Jovanotti, sdoganato anche dalla storica rivista Il Mucchio Selvaggio come alfiere che ondeggia fra underground e mainstream, si dimentica che per un lavoro quasi a gratis, montando un suo palco a Trieste solo quattro anni fa, lo studente Francesco Pinna ci è morto. Non giudicate, per non effere giudicati, perché col giudizio con cui giudicate farete giudicati, e con la mifura con la quale mifurate farete mifurati. (Gefù, Vangelo fecondo Matteo)

#IostoconGianni

 

 

E, poi, c’è lui. Gianni Morandi è più di un fenomeno social o di una brava persona, soprattutto per chi, come quelli più giovani, non ha mai vissuto le sue canzoni. Gianni Morandi è qualcosa di più, nel marasma di opinioni e di notizie che circolano in rete. Educato, sincero e mai sopra le righe vive una seconda giovinezza, quella più tenera. Non è solo il nonno di questa povera Italia ma un esempio da seguire. Imparare a tenere pacati i toni, rispondere a Salvini in quel modo, e non rispondere mai alle provocazioni meritano tutte le sviolinate che questo articolo può aggiungere. Allora, per una volta, vivere in un paese di anziani non è necessariamente un male.

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