Da 5 Bloods, ovvero cinque fratelli di sangue, è il titolo del nuovo film realizzato da Spike Lee dopo il successo e l’Oscar alla sceneggiatura non originale di BlackkKlansman. Lo script di quest’opera risale al 2018 ma è solo nel 2020 che ha visto la luce, prima presentata Fuori Concorso a Cannes e infine sbarcato su Netflix. Di base Da 5 Bloods è il solito atto di denuncia lucido e pungente che il regista fa delle realtà più scomode degli Stati Uniti in relazione alla questione razziale, in questo tessuta attorno alla memoria dolorosa dell’esperienza bellica in Vietnam, dove ci verrà spiegato che gli arruolati di colore (circa il 30% delle truppe americane) rinforzavano la prima linea in qualità di carne da macello.
La storia è quella di Paul (Delroy Lindo), Otis (Clarke Peters), Melvin (Isiah Whitlock Jr) ed Eddie (Norm Lewis), quattro veterani che a cinquant’anni dalla guerra del Vietnam tornano nel cuore delle tenebre del sud-est asiatico per riesumare i resti del loro caposquadra Norman (il Chadwick Boseman di Black Panther), ucciso in battaglia. Già dalla sinossi si comprende l’originalità di Da 5 Bloods rispetto a moltissimi lungometraggi dedicati alla disfatta a stelle e strisce per eccellenza, Apocalypse Now compreso: il fronte viene raccontato da chi lotta con estrema fierezza contro l’oppressione, salvo poi mutarsi a sua volta in oppresso una volta tornato sul suolo patrio solo perché si ha il “difetto” di una pelle più scura. Tutto ciò viene narrato attraverso l’espediente del racconto non lineare, con l’incastro tra il tempo presente e i flashback ambientati nella giungla vietnamita in cui i quattro anziani protagonisti interpretano loro stessi da giovani, accentuando così l’intrigante antitesi tra la loro decadenza sia fisica che morale e la giovanile, focosa e intraprendente spiritualità di Norman.
Libero da restrizioni produttive e artistiche che non siano le proprie, Lee porta alle estreme conseguenze tutto ciò che ha sempre reso grande il suo cinema, dalla contaminazione di generi diversi (film di viaggio, film di guerra, commedia nera) al ricorso a un umorismo mordace e scomodo, dalla consacrazione di una recitazione potente ed espressiva alla schizofrenia dei formati (il digitale del presente, il “16mm” impiegato nei flashback). Come spesso capita con i film che decidono scientemente di battere la strada della sperimentazione pura, anche Da 5 Bloods è un’opera sbilenca non esente da pecche che rischiano di far storcere più di un naso: in quasi 160 minuti di proiezione si avvertono alcuni momenti di stanca, mentre i personaggi interpretati da Mélanie Thierry e Jean Reno risultano parecchio insipidi alla luce della loro effettiva rilevanza all’interno della narrazione.
Qualcuno inoltre potrebbe smuovere obiezioni riguardo la follia di un montaggio frammentato e alcune impennate retoriche della colonna sonora del fido Terence Blanchard, ma allo scorrimento dei bei titoli di coda, la sensazione è quella di aver assistito a un buonissimo film, non privo di coraggio, in cui l’importanza degli argomenti trattati stimola un acceso confronto intellettuale con gli spettri del nostro passato e anche quelli più vittimisti e contraddittori del presente. Un manifesto denso e necessario nei giorni del Black Lives Matter.