C’è chi ha amato Davide Toffolo per la sua carriera da frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti, c’è chi lo ha amato per la sua attività da produttore musicale con la sua Tempesta Dischi che ha permesso di emergere ad alcune delle più importanti realtà musicali indipendenti italiane, tra cui Zen Circus e Le luci della centrale elettrica. Altri l’hanno amato per i suoi libri a fumetti e i più fedeli per la recentissima fondazione dell’Istituto Italiano di Cumbia. Quest’anno, Toffolo ha deciso di cercare ancora una volta una cerniera tra musica e disegno con la graphic novel dal titolo Il cammino della cumbia pubblicata per Oblomov. L’abbiamo letta in anteprima e ne abbiamo parlato proprio con Davide in una lunga e interessante chiacchierata sulle strade del Sud America.
Qui un resoconto della nostra conversazione.
“Il cammino della cumbia” ci catapulta in un momento della tua vita caratterizzato dall’amore per la cumbia, dal desiderio di ricerca, di ripercorrere i passi dei musicisti che hanno fatto grande il genere. Ma da dove nasce questa passione, cosa viene prima di ciò che è raccontato nella tua opera?
Per me, quello con la cumbia, è stato un innamoramento lungo che nasce nel 2007 con il mio primo viaggio in Argentina che corrispondeva anche al mio primo viaggio fuori dall’Europa. Direi che si è trattato di un vero e proprio viaggio formativo per me, fuori da quello che conoscevo. Per la prima volta, in Argentina, ho sentito quella musica che va sotto il nome di cumbia. Una musica difficile, zoppa, scabrosa, anche sessista, se vuoi. Era la musica dei ragazzi, delle favelas. Nel 2007 scoppiò una profonda crisi economica in Argentina e nei quartieri più poveri, la cumbia la faceva da padrona. Ad anni di distanza, a New York nel Lower East Side, in un locale a forte caratura jazzistica, l’ho sentita di nuovo. Fu un concerto intimo, un po’ per le dimensioni del locale, un po’ per l’orario, iniziarono a notte fonda. Ma quel live mi ha dato la spinta fondamentale per fondare l’Istituto Italiano di Cumbia e per affrontare il viaggio che ho descritto nel libro.
Una delle cose che maggiormente emerge dal tuo libro è l’impossibilità di definire e afferrare la cumbia vista la sua incredibile capacità di diversificarsi, di assumere varie forme, anche e soprattutto in base alle zone geografiche in cui è nata.
Quello che ho capito, è che la cumbia non è un genere, la cumbia è un ritmo e, in quanto tale, capace di essere declinato in una moltitudine di forme diverse. Non esiste la cumbia, ma tante cumbia. Parliamo di una musica migrante che, nata in Sud America, si è imposta in USA e poi in Europa. In ogni Paese in cui è atterrata, la cumbia ha assunto una forma specifica. È strano vedere anche quale è l’attitudine dei popoli sudamericani nei confronti di questo tipo di musica. Ad esempio, per gli argentini è una musica totalmente marginale nel panorama artistico mentre in Colombia è a tutti gli effetti la musica tradizionale tipica.
Mi fa piacere che tu abbia utilizzato l’espressione “musica migrante” perché era proprio un aspetto su cui volevo portare la nostra conversazione. Mi è capitato di analizzare proprio per L’Indiependente il modo in cui la musica riesca ad essere malleabile e a farsi inno di una generazione e di un popolo, anche se non è una musica originaria di quel Paese. A questo proposito, credo sia un buon appiglio per i miei pensieri, la figura di Chacalon di cui scrivi e disegni nel libro.
Chacalon è una figura profondamente interessante sotto questo punto di vista. Il periodo in cui lui ha suonato e cantato era un periodo difficile per la Bolivia consumata da una guerra civile che vedeva contrapporsi due paradigmi in cui riconoscersi: quello socialista e quello imposto dagli USA. Il Paese era consumato dalla guerra che ebbe conseguenze soprattutto nelle piccole città boliviane i cui abitanti, in massa, si riversarono nella capitale che, dal nulla, si ritrovò a dover fronteggiare una densità demografica di difficile gestione e questo ha contribuito ad accentuare le già difficili condizioni sociali. All’interno di questo contesto, la musica di Chacalon diventa il miglior modo per narrare un’epoca e per affrontarla. Per questo è diventato un punto di riferimento culturale per i più anziani e un idolo per i più giovani. Una sorta di radice a cui fare appello per fondare una propria identità, cosa non banale se pensi che parliamo dell’eterogeneo Sud America.
In questo volume emergono, a mio parere, una serie di contrasti, dati proprio dalla struttura narrativa e dal tema. Uno dei più affascinanti è legato allo iato che si crea tra sessismo insito nella cumbia, da una parte, e l’importanza e lo spazio da te dedicato alle figure femminili che hanno contribuito a definire il genere.
Le donne occupano una parte importante nel viaggio che ripercorro nel libro. Non solamente per quello che riguarda la storia della musica, pensa a Paulonia che è, evidentemente, una persona reale e che entrerà a far parte dell’Istituto Italiano di Cumbia. Per quello che riguarda i personaggi che mi hanno aiutato a ripercorrere le orme dei grandi della cumbia, molte donne facevano parte del nostro programma iniziale, altre le abbiamo conosciute in maniera quasi casuale ma assolutamente provvidenziale in quanto rappresentano il presente e il futuro della musica sudamericana. Tra gli incontri maggiormente importanti, sotto questo punto di vista, c’è quello che ci ha permesso di scoprire la Copla, un canto con cassa interamente al femminile che prende vari nomi in base alla zona geografica ma che nasce sulla Cordigliera delle Ande. Tra le altre donne, ricordo Susanna Baca che è stata anche ministro della cultura in Perù, oltre a essere un’artista di punta sulla scena, e che ha riaperto solo per noi una mostra finita da qualche giorno e che aveva al centro proprio la cumbia.
A livello narrativo e di struttura, il tuo libro è tante storie perché il discorso è segnato dalle interviste ai musicisti che raccontano il loro rapporto con la cumbia ed è tante storie perché il tuo libro è un atlante musicale, un road trip, un saggio. Questo ti ha permesso di infilare nella narrazione dei riferimenti alla situazione politica e sociale in Bolivia, ad esempio.
Ti ringrazio per aver notato questa caratteristica che per me è essenziale e non appartiene solo a questo libro ma anche ai miei precedenti e fa parte del mio modo personale di scrivere. A proposito de Il cammino della cumbia, il mio amico Mauro Covacich l’ha definito un libro su vari livelli perché sia didattico, nelle spiegazioni e nella descrizione di un mondo, sia narrativo. Non è un semplice documentario ma contiene anche un’intelaiatura narrativa molto forte.
Altro termine campanella per me è “documentario”. Infatti, mi è sembrato che la tua missione nel sudamerica alla riscoperta di un genere a noi fino a oggi lontano, faccia il paio con il magnifico lavoro di Wim Wenders sui Buena Vista Social Club. Anche il quel caso un narratore esterno a quei luoghi cercava di ripercorrere una storia musicale soffermandosi tanto sull’estetica e le tradizioni del Paese che aveva visto nascere quel genere. Tra gli artifici che hai utilizzato per rendere narrativa la tua opera ci sono degli intermezzi quasi à la Woody Allen di personaggi estemporanei come il sociologo Slavoj Zizek e Pippo (che non può non ricordarmi Pazienza).
Pazienza rimane a livello stilistico uno dei miei punti fermi e d’ispirazione. Per quello che riguarda i personaggi, ricoprono un ruolo simbolico importante. Pensa a Zizek. Ai miei occhi, il semplice fatto che un collettivo musicale sudamericano attivissimo sulla scena, centrale nella produzione della cumbia, decida di chiamarsi ZZK in onore a Zizek rappresenta un simbolo importante e un manifesto incredibilmente forte. Significa far proprio anche un certo tipo di messaggio. Pippo rappresenta un po’ la summa dei riferimenti pop che sono presenti anche in realtà così distanti come il Sud America. La presenza di questi personaggi è un modo come un altro per sottolineare che quei posti non sono in fondo così lontani da noi come crediamo.
L’ultima domanda che vorrei farti riguarda l’assist che la grafica delle copertine dei dischi, ad esempio quella di Elliot Tupac, ti ha fornito al fine di creare una cerniera tra musica e fumetto e su cui hai insistito nel libro. Credo che quei colori e quelle forme così tondeggianti abbaino influito sul tuo modo di rappresentare i Paesi e la natura che hai incontrato nel corso del tuo viaggio.
Sicuramente, l’immersione con il Sud America è stata totale sia a livello di scrittura sia a livello di rappresentazione. Nicola Cruz, un altro cantante famosissimo in Sud America che troverà spazio nel secondo volume dedicato al cammino della cumbia, mi disse tempo fa che l’unico modo che avevo per comprendere la cumbia e la sua storia era andare nei luoghi in cui è nata. Le forme delle copertine e i colori rappresentavano un mondo di cui son diventato parte. Era inevitabile che questo influenzasse il mio stile. A tal proposito un aneddoto interessante che voglio regalarti, riguarda la cartina che vedi all’inizio del libro, con le tappe e i personaggi. Quella cartina è stata in realtà disegnata prima della partenza. Molti di quei personaggi sono stati trovati, altri sono sbucati fuori per caso e hanno contribuito a farmi comprendere la storia che stavamo vivendo.