La Black Flag è uno dei simboli del pensiero anarchico, e non è un caso se uno dei gruppi capostipiti dell’hardcore punk scelse quel nome. Il rifiuto di cui i Black Flag si fecero portavoce insieme agli altri protagonisti della stagione Hardcore fu una vera e propria forma di protesta ai tempi. Gli Ottanta furono gli anni della grande resa al liberismo economico, cosa c’era di meglio che ravvivare il sottobosco con la più genuina anti-politica? Negli “interessanti” tempi odierni sembrano lontanissimi i tempi in cui la protesta anti-politica sceglieva di tenersi ai margini, animando musica o arte. I ritmi ossessivi dell’hardcore punk tiravano fuori angosce e paure nel giro del minor tempo possibile. Il bel canto non contava più: meglio urlare, sfogare, coinvolgere il pubblico dentro le proprie ossessioni e i ritmi violenti.
“Se non protesti per come sono le cose, non cambieranno mai”, Jon Savage, scrittore inglese e studioso di punk, ha sintetizzato così la nuova ondata di scena hardcore che sta attraversando l’America di Trump in questo momento. Riprendendo quelli che erano i messaggi dell’anarcho-punk dei Crass, ancora oggi il senso di frustrazione e la speranza di cambiamento ci portano a gridare dal palco parole, e accompagnare il tutto con gli scroscianti ritmi hardcore e punk. A questa genuina scena che dagli Ottanta continua a ravvivarsi dedichiamo la cover story di questo mese. Con la parola Hardcore evochiamo un intero mondo che – con i suoi ritmi duri e ossessivi – va spontaneamente alla ricerca di se stesso, creando comunità e immaginari, provando a scacciare via quell’ineliminabile sentimento che sono i nostri disagi. In questa forma di protesta è già insito il grido che si appella al cambiamento.
Siamo così andati alla ricerca di comunità felici com’è quella di Mutonia, alle porte di Santarcangelo in Romagna. Nel reportage di Francesco Pattacini (accompagnato dalle belle fotografie inedite) toccherete con mano i mutoni, questi meravigliosi esseri che continuano a fare arte e cultura in completa libertà, come dei cronopios di Cortázar. Scaveremo a fondo nell’etica DIY, una tribù che viene da lontano, lo spirito glorioso del do-it-yourself che si agitava nella sottocultura punk, esplodeva con forza nell’hardcore, arrivando sotto forma di indipendenza fino ai nostri giorni.
Vi porteremo nel cuore della cultura Gabber, al ritmo della Techno Hardcore, grazie alle parole di Matteo Dalla Pietra, che ci racconta come questa sottocultura non morirà mai. Andremo in Gran Bretagna con Pier Iaquinta, che ci parlerà di come l’Hardcore ai tempi della Brexit sia rinato a un nuovo sound diventando la nuova voce della working class britannica. E infine vi lasceremo ascoltare le decise sonorità dell’Hardcore / Punk nel mixtape curato da Simone Fiorucci – con l’aiuto alla selezione di Veronica Ganassi e Pier Iaquinta.
L’hardcore non è solo una sottocultura punk, ma una delle più autentiche sommosse dello spirito. In questo mese di Aprile Serge Gainsbourg avrebbe compiuto 90 anni, uno chansonnier che a suo modo è stato punk e hardcore, un provocatore. Conservarci autentici e indipendenti sarà la più bella delle provocazioni che possiamo augurarci. Buona lettura!
Editoriale a cura di Giovanna Taverni
Progetto grafico di Francesco Pattacini
Guida all’orientamento nella Cover Story Hardcore:
We are Mutoids | Viaggio nella cultura mutoide
DIY or DIE: una tribù dura a morire
La nuova voce della Working Class: Hardcore per tempi di Brexit