generazioni, periferie, città, province, parole, volti, suoni
Sappiamo bene quanto sia abusata la parola “scena”, e quanto possa essere equivoca e confusa in un paese troppo spesso offuscato dal fracasso e dalle beghe del politichese. Ma il paese su cui vorremmo offrirvi una panoramica è quello che ha voglia di riscatto. La Scena italiana di cui parliamo va oltre il fantasma politico di quel Silvio Berlusconi con cui non ci saremmo augurati di fare i conti ancora, a 24 anni dalla sua discesa in campo. Esiste un paese parallelo che fingiamo di ignorare, un paese che ha fame di movimenti, idee, cultura, vita, musica.
Michel Houellebecq ne La Carta e il territorio ci ricorda come una delle passioni nazionali italiane (e dei paesi del Sud in generale) sia quella di ciarlare troppo di politica: è un riflesso – o forse un sintomo, che viene da lontano. Là dove la politica si lascia sentire troppo, è inevitabile subirne il peso sulle proprie spalle, e – come dei postmoderni Sisifo – arrivare alla schizofrenia dell’ossessione da conversazione. Basti pensare all’impatto che ha avuto la cappa politica sulla cultura negli Stati Uniti, con l’altissimo numero di canzoni e dischi “politici” usciti nel corso del 2017: molti artisti (dai National a Jay-Z) hanno sentito l’urgenza di esprimersi contro le derive del potere di Trump – tanto che l’anno passato si è meritato l’appellativo di The Year In Protest Music da parte di Pitchfork.
Tutttavia il paese che immaginiamo, il paese che vorremmo, è un paese che abbandona il ciarlare sulla politica perché ha fame di nuovi discorsi e parole – e allora torna a se stesso, a parlare di idee, mondi, arte, cultura, un paese che valorizza le sue forze e il suo patrimonio, e torna ad allevare la generazione di domani. Un paese che vuole crescere – e non solo in direzione del Pil. Un paese divoratore di esperienze, che trova il suo riscatto e la sua speciale/viva contestazione ai tempi. Che non si chiude all’interno dei suoi piccoli recenti selvaggi, ma trova la sua speciale protesta nel continuo stimolo di vitalità e apertura.
La scena italiana è il racconto di questo paese che – seppure a tratti più silenzioso – esiste, è lì davanti a noi, anche quando ce ne dimentichiamo, come nel caso della generazione troppo spesso senza memoria, una generazione brillantemente descritta nel racconto di Francesco Pattacini. Le periferie e la collezione di voci della musica Trap, la narrazione di cui c’è bisogno al momento in Italia- ci dice Giulio Pecci, accompagnandoci in un viaggio alla scoperta della Trap da Milano a Napoli. La provincia aperta e felice di Call Me By Your Name di Luca Guadagnino (a cui facciamo un in bocca al lupo per la Notte degli Oscar): vi portiamo dentro la pellicola, grazie al bellissimo ritratto di Fabio Mastroserio. I mondi sospesi di Claudia Durastanti, scrittrice che abbatte il concetto di frontiera nazionale con il suo racconto di New York e Roma, mondi in cui scava corposamente Francesco Chianese. E ancora, la fatica di quella classe disagiata di cui ci ha parlato Raffaele Alberto Ventura, che riguarda un’intera generazione che non è riuscita a costruire il futuro che gli era stato promesso. Alice De Gregoris ci racconta Ipotesi di una sconfitta di Giorgio Falco, riuscendo a offrirci una dettagliata panoramica sul lavoro e la sua speciale alienazione tutta contemporanea.
L’Italia è anche questa, e tutta la sua gente – anche se spesso di quella gente ce ne dimentichiamo, talvolta con sprezzo, come se non fossimo dalla stessa parte. La gente che Pasolini (- non a caso, figura ricorrente nello speciale) ha cantato – persino quando era contro di lui con la morale e con il corpo, quella stessa gente a cui oggi non si riesce a tornare, a guardare, ad offrire accoglienza. La gente italiana, che non è solo italiana, ma quel popolo meticcio che parla lingue e dialetti diversi. È questo il canto e l’urlo di un’intera “scena italiana”. Non si ferma al confine con le Alpi e le sue coste, ma viaggia oltre-frontiera, è il nostro vocabolario che entra nel mondo, che si mescola al mondo, ci fa l’amore.
È la musica italiana, non solo nazional-popolare, ma anche quella dei progetti indipendenti che troverete condensati in un Mixtape degli anni ’10 montato da Simone Fiorucci, con la collaborazione di parte della redazione nella selezione dei pezzi.
In questo Viaggio in Italia abbiamo voluto anche disegnare un’immaginaria topografia dei luoghi, che si muove tra periferie, province, centri, città, e vola all’estero, tra gli irrequieti spiriti di chi ha lasciato il paese ma lo porta con sé. Del resto restiamo un popolo di esploratori, di curiosi, di artisti, di poeti – sì, anche di santi, ma solo perché cercavamo disperatamente nello spirito quello che non ci riusciva di trovare in terra. E così andavamo per mare, verso le Americhe e le Indie, logorati dall’utopia dei nuovi mondi, fosse anche l’autre monde. Quel nuovo mondo utopico è l’Italia che già esiste. Un’Italia che da Sud a Nord, dalla costa Est alla costa Ovest, non fa altro che chiedere il suo riscatto dopo anni avvilenti e bruti generati da una pessima demagogia. Una demagogia che ancora oggi si fa gioco degli italiani, e che richiama alla guerra di tutti contro tutti – anche quando certe battaglie dovrebbero essere combattute non gli uni contro gli altri, ma insieme. Da veri Paisà.
La Scena è quell’ipotesi di Italia a cui guardiamo.
Editoriale a cura di Giovanna Taverni
Progetto grafico di Francesco Pattacini
Guida all’orientamento nella Cover Story La Scena:
La Trap è la narrazione di cui c’è bisogno
L’estate del desiderio: dentro Call me by your name di Guadagnino
Giorgio Falco e la disillusione della classe disagiata
Scrivere sospesi tra due mondi: una, nessuna, centomila Durastanti