Cosa resterà dello Stato Sociale oltre la band

 

Fatevene una ragione, il welfare state è destinato a scomparire. Lo stato sociale è uno di quegli argomenti con cui i simpatizzanti di estrema destra si riempono la bocca ogni qual volta ne hanno la possibilità ma, per chi non ha voglia di rispolverare la nozione in loro compagnia, ci pensiamo noi: lo stato sociale è un insieme di politiche pubbliche, messe in atto dallo Stato, volte a garantire -almeno in apparenza- un equo benessere ed una equa assistenza a tutti i suoi cittadini.

 

La fine del modello in questione non è soltanto argomento di pessimistiche previsioni ma sopratutto la naturale evoluzione delle moderne politiche. Ormai quasi tutti gli Stati democratici non riescono più a far fronte alle richieste che diventano sempre più impellenti. La coperta delle politiche sociali fu ricamata, già a suo tempo, troppo corta ma ora, dopo numerosi lavaggi, si è ridotta ad un misero fazzoletto da taschino. L’austerity ne è un esempio e, ad ulteriore dimostrazione di questo processo, sono emblematici i recenti cambi di rotta in casa europea. Risale a pochi giorni fa l’accostamento tra Winston Churchill e l’attuale premier britannico Cameron in occasione di una sua conferenza. Le nuove coordinate di rotta puntano, tra le altre cose, ad un taglio ai sussidi che coinvolgano i ragazzi sotto i 25 anni. Il nuovo motto è: earn or learn – se hai alternative, vuol dire che te le puoi permettere.

 

Passi più decisi sono stati compiuti in Olanda dove il Re Guglielmo Alessandro, in occasione del suo primo discorso da asceso al trono, ha decretato la fine del welfare state. In Olanda, al posto dello stato sociale, prenderanno posto delle società dove i cittadini saranno liberi di investire in modo da creare delle autonome reti di assistenza. Vi sono esempi concreti anche in Italia qualora si passi ad analizzare il binomio stato sociale/principio di sussidiarietà: lasciar fare all’ente più vicino al problema, nel caso in cui la sua azione si dimostri la più efficace. Il Comune di Vigevano (PV) in modo da far quadrare i conti delle mense scolastiche, non più rosei a causa di mancati pagamenti, ha eliminato la possibilità di esenzione dal pagamento della retta per alcune fasce basse di redditto ISEE e bloccato tutti i servizi alle famiglie che non fossero rientrate delle morosità. Lo stesso spirito di fondo sembra condividere il parroco di Rescaldina (MI) durante la prima lezione di catechismo, mandando a casa tutti i bambini che non avevano con sé il foglio d’iscrizione con il relativo contributo economico e non curandosi, prima, di conoscere i singoli casi per cui si erano resi inadempienti.

 

Dunque, si prospetta una conclusione dove chiunque, indistintamente, necessiti di un servizio, deve pagare la rispettiva quota, a scapito dei principi di equità ed uguaglianza, ovvero rendere equa una situazione, una condizione, agendo in maniera differenziata a seconda delle circostanze. I. Gough indica lo stato sociale come:

l’uso del potere dello Stato volto a favorire l’adattamento della forza lavoro ai continui cambiamenti del mercato ed a mantenere la popolazione non lavorativa in una società capitalistica.

Il nodo cruciale è inserito perfettamente nella sopracitata definizione. La società capitalistica e il complesso sistema dei diritti sociali, pur avendo convissuto forzatamente per anni, mal si conciliano. Poco condivisibili inoltre gli entusiasmi di chi invoca, in merito, la maggior presenza dei privati e la minore presenza dello Stato, poiché le materie in questione sono governate da un’idea completamente contrapposta a quella che domina le società private, ossia le legge del profitto. Inoltre l’esperienza ha dato modo di constatare che un’azienda privata, nel caso in cui assuma le redini di un servizio pubblico, procederà in modo da aumentare i guadagni ma non necessariamente a migliorare un servizio. Eliminare il lato umano dello Stato diventerebbe soltanto la consacrazione della porzione più oscura e perversa del capitalismo, il quale dovrebbe essere invece rivisto e ridisegnato poiché non rappresenta il definitivo modus vivendi. La paternità di questa crisi di valori appartiene in gran parte alla precedente generazione che ha vissuto come se non ci fosse una fine e che ha accumulato talmente tanto benessere da negarlo alle generazioni successive. La prevedibilità di questa vecchia generazione rende perciò concreta la possibilità che si passi da uno stato sociale ad uno stato della pura efficienza, che recide i rami morti, senza futuro. Il momento in cui si decreterà la fine dei diritti sociali e l’inizio dei diritti a cottimo sarà il momento in cui svanirà la differenza tra cittadini, con tutto ciò che ne comporta, e consumatori.

 

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