È passato così tanto tempo che sembra quasi una bugia. Noi seduti sulla piazza in attesa, il vento in faccia, la birra ghiacciata in mano, quelle domande diffuse se la band x farà quel pezzo che aspetti da tanto. In un certo modo l’attesa ha cresciuto ancora di più il sentimento, la voglia di tornare a urlare Fuori! Fuori! quando la band scompare per un motivo di scena. Nell’anno peggiore della sua storia la musica dal vivo sembrava defunta. Lo è stata perché non c’era più spazio, lo è stata ed è quasi crollata. Con la primavera anche i festival tornano a fiorire, anche se sono stati recisi, anche se con amici e interpreti che ci hanno lasciato, con locali che hanno chiuso e tutte quelle storie che non vediamo l’ora diventino solo un brutto ricordo. È un piacere, ed è elettrizzante, da segnare le date sul calendario, il fatto che un festival come il Ferrara sotto le stelle torni a suonare, che si appropri di uno spazio nuovo come quello del Parco Massari puntando su etica green, inclusività e socialità, quella migliore. Si lasciano le mura si piantano gli alberi, ed è sempre una buona notizia.
Dal 30 giugno al 4 luglio torneremo a Ferrara con Iosonouncane, Shame e Massimo Volume, La Rappresentante di Lista, Venerus e Mecna, saremo diversi, saremo uguali, saranno loro a guidarci. Ne abbiamo parlato con Corrado Nuccini, nuovo – si fa per dire – Direttore artistico del festival pronto finalmente a portare la sua idea di stelle, personaggi d’avventura e molto altro.
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Ciao Corrado, partiamo dal punto zero e, cioè, la scelta dell’anno scorso di non fare il festival per ovvi motivi. Invece di abbandonare la nave, però, avete rilanciato, creando una serie di appuntamenti che hanno mantenuto vivo il legame con gli spettatori e i fan. Ci racconti un po’ di come è andata?
Per raccontare gli eventi che ci sono successi in questi tempi recenti almeno nell’ultimo anno e mezzo non servirebbe una narrazione musicale ma servirebbe più Jules Verne o un romanzo d’avventura. Dici giustamente non abbandonare la nave, no? Quindi anche tu sei su Billy Bud o Moby Dick, come se fossimo dentro un grande romanzo d’avventura che ci ha spinto in questi mesi a diventare tutti dei personaggi diversi da quello che siamo, dei personaggi fantastici. Così allo stesso modo noi, perché non è mai una persona singolare ma siamo tutti noi che lavoriamo, dal marzo scorso abbiamo deciso di accelerare alcuni processi di trasformazione del nostro festival, convinti che avessimo meno da perdere, ci fosse più bisogno di cambiamento e la necessità di sfruttare una situazione di blackout e di cortocircuito per trovare energie nuove che abbiamo messo nell’edizione digitale e di rimodulazione del nostro festival.
Dall’edizione a queste settimane. Come è stato il percorso di avvicinamento all’organizzazione di questa edizione? Com’è andata l’organizzazione e quali cose avete preso in considerazione prima di decidere di partire?
Da quando l’anno scorso abbiamo annullato abbiamo lavorato quasi ininterrottamente. Già a settembre del 2020 abbiamo iniziato a fare i primi ragionamenti sull’edizione di quest’anno nonostante le grandissime incognite che mescolavano sempre una componente di lavoro progressivo insieme a una sorta di randomizzazione della nostra presenza e, sempre per quel discorso sul romanzo d’avventura, si poteva finire o all’ultima pagina o alla prima, tornare alle pagine centrali con estrema facilità. In questo viaggio abbiamo messo al centro la necessità di ripartire, volevamo dare un segnale forte perché siamo fra i festival più storici in fatto di rock e dintorni e dovevamo essere tra i primi a riportare la musica nei luoghi all’aperto. Crediamo che una comunità attraverso la musica si possa incontrare e soprattutto rigenerarsi. Sono queste le parole che ci hanno guidato, la possibilità di rigenerarsi attraverso lo stare insieme all’insegna della musica.
Quanto è importante secondo te, come direttore artistico e musicista, il ritorno sui palchi?
Il palco da sempre è un luogo dove si discute, si mette in discussione la società per generarne una migliore. Era così nell’antichità è così per tutta la canzone che conosciamo da Dylan in poi. Il palco è un luogo sacro che si distingue dalla nostra quotidianità, dal nostro modo di colloquiare nel quotidiano. Pone un momento di profonda discussione proprio degli assi portanti del nostro vivere assieme quanto della nostra società. Aver visto i palchi di tutti i tipi e di tutte le forme di creatività dal teatro, la danza alla musica classica, lirica e rock, vederli per così tanti mesi spenti è stato indubbiamente una sofferenza. Sono mancati, è mancata questa funzione sociale che ha il palcoscenico e la musica, e quindi la ripartenza sarà esattamente importante tanto quanto grave la sua assenza, soprattutto per questo vogliamo essere un concept festival sulla ripartenza. Il ritorno sui palchi è fondamentale per riportare la musica a quella celebrazione di grandezza, maestosità e bellezza che solo la sua esecuzione davanti a tante persone può creare.
Quanto sarà importante mostrare la centralità di questi eventi, dei lavoratori e del dietro le quinte non solo agli spettatori ma alle istituzioni per non permettere che riaccada quanto successo negli ultimi due anni?
Partiamo da una considerazione: le istituzioni si sono trovate a dover gestire una situazione probabilmente mai così complessa. Rispetto al mondo della musica, però, non sono mai riusciti a dare risposte chiare, efficaci e che potessero aiutare l’intero comparto che si è trovato in totale difficoltà e privo della certezza che la legge, le istituzioni, e i ministeri fossero dalla loro parte. Tuttora rispetto al festival di cui parliamo abbiamo ancora l’incognita del coprifuoco, delle zone che cambiano colore e di tante altre variabili che rendono il nostro percorso ancora assolutamente fragile, abbiamo deciso di proseguire perché, come dicevo, non stiamo parlando di un festival ma di un vero e proprio romanzo d’avventura.
Quale sarà il filo conduttore del festival e in che modo ha determinato la scelta degli artisti?
Volevamo fare un festival che fosse un concept sulla ripartenza. La ripartenza è il nostro artista migliore, riportare le emozioni fra le persone sarà l’artista che abbiamo più cercato, ridare colore alla città sarà quello più sorprendente. So che sembrano risposte da hippy ma in realtà se vogliamo veramente che i nostri festival, soprattutto quest’estate, siano più contenuto che contenitori, che riescano a prendere in mano gli spettatori e dirgli vieni perché è qualcosa di unico dobbiamo cercare di metterci in gioco a 360 gradi. Per questo siamo partiti a definire l’immagine, i colori, i suoni, i profumi e come celebrare la ripartenza insieme. Se riesci a dare un volto a queste cose poi, magicamente gli artisti e il pubblico si incontrano insieme.
Avete scelto di cambiare location trasferendovi in un parco, non solo per questioni di distanziamento ma per dare un’impronta e una filosofia green agli eventi. Quanto è determinante riuscire a creare un festival il più possibile sostenibile dal punto di vista ecologico e culturale?
L’idea di cambiare location l’avevamo in testa già da qualche tempo. Volevamo che l’edizione 2021 partisse in un contesto verde in cui arrivare con calma, lasciare il contesto urbano per entrare in uno scenario di un parco cittadino. È fondamentale per un festival, come dicevamo, mettersi in gioco con dei valori che vanno oltre alla selezione dei musicisti. Stiamo cercando, in questo senso, di fare un piano almeno triennale che metta insieme tre parole chiave: Digitale, Cultura dell’inclusività e Cultura green. Stiamo cercando di selezionare alcune azioni che vorremmo realizzare da qui a tre anni, non solo da un punto di vista comunicativo e progettuale, ma per un discorso di miglioramento che richiedono una pianificazione e investimenti economici. Non si riesce a parlare di green a livello approfondito senza prima aver trovato finanziamenti che possano trasformare il nostro festival in un festival votato all’ecologia.
La data degli Shame sarà particolarmente importante, non solo perché si tratta dell’unico ospite straniero ma perché arrivano direttamente da un background e un paese particolarmente importante nella storia contemporanea. Parliamo di Brexit, sub culture e, soprattutto, la rinascita di un certo post punk che vede negli Shame (insieme a Idles e Fontaines D.C.) i nomi principali.
Gli Shame saranno una data fondamentale perché nel cartellone degli eventi di quest’anno è la band che più riprende il DNA storico del festival, la vocazione a mettere sul palco ciò che di meglio accade nel mondo musicale su uno scenario internazionale. Quest’anno, soprattutto per seguire il concept della ripartenza, era difficile intercettare molti artisti internazionali, anche per questioni di flessibilità su regolamenti e spostamenti fra un paese e un altro. Gli Shame seguono questa corrente che finalmente dall’UK porta di nuovo un certo approccio iconografico che ha fatto il rock alternativi. Ne avevamo bisogno e sicuramente sarà incredibile.
Venerus e Mecna invece andranno a rappresentare la nuova wave italiana. Quanto è importante richiamare nuove generazioni e fargli vivere l’esperienza del festival? Non solo a livello culturale ma proprio come aggregante sociale?
Sicuramente riuscire a parlare con le nuove generazione per un festival è tutto. La cosa più terribile che un festival può fare, credo, è mettere in piedi, soprattutto in questi anni, uno scenario di revival. Abbiamo cercato di intercettare il nuovo, i festival hanno la necessità di indagare, interpretare e rischiare sul contemporaneo perché altrimenti sarebbe troppo facile. Noi cerchiamo di andare su territori diversi, dare spazio ai nuovi segni, ai nuovi linguaggi, alle nuove visioni che artisti molto interessanti come Venerus stanno portando avanti in questo tempo, riscuotendo anche un buon riscontro di pubblico, perché proprio il pubblico riesce a capire che c’è un mondo in trasformazione. La creatività ha elaborato tantissimo in questi mesi difficili e noi ce lo dicevamo già in lockdown, abbiamo percepito questa trasformazione e vogliamo cercare di dargli voce. Non solo Venerus, Mecna ma anche La Rappresentante di Lista, Generic Animal, Post Nebbia, Lila al Habash tanta musica italiana che però non si ferma all’etichetta e va oltre.