Parigi, 16 Maggio 1980. XIV Arrondissement, rue Victor-Schoelcher. Simone de Beauvoir mi ha detto di aspettarla qui, nel salotto di casa sua. La attendo. Passano dieci minuti, poi arriva. Minuta, occhi mavì, e un’aria elegante, nonostante l’età. Si avvicina e mi porge una tazza di tè. Sorride e mi dice che preferirebbe un cognac, come ai vecchi tempi. Sa che voglio sapere di Sartre e del nuovo libro. Un libro di memorie, dove Simone descrive gli ultimi mesi dell’amico-amante, con lo sguardo attento di sempre, quello con cui ha ripercorso la sua esistenza. Le dico che mi hanno spedito a Parigi da Napoli, che sono una giornalista e sono in cerca di spunti per scrivere un pezzo su di lei, su di lei e Sartre. Simone de Beauvoir non sembra contrariata. Ok, chiedi pure, dice. In un francese ridicolo le chiedo di raccontarmi dell’amicizia con Sartre.
Sta zitta come a raccogliere le idee, finché risponde:
– Lo sa che mi chiamava castoro? Quando ho conosciuto Jean Paul studiavamo alla Sorbona e un amico comune ci ha presentati. Lo trovai un ragazzo insolito, intelligente. Riusciva a ribaltare e a vanificare ogni mio ragionamento sull’esistenza. Era un filosofo. Per la prima volta mi sentivo dominata da qualcuno. Era l’unico che riusciva a confondermi.
Mi fissa, sa che conosco la loro storia, gliel’avevo scritto in un telegramma. Non parla, allora parlo io:
-Mi perdoni, ma non mi sembra sia stato l’unico uomo che abbia influenzato la sua vita, madame…
Ride, è felice. Mi racconta del giorno che ha incontrato per la prima volta Nelson Algren. Lui dissoluto, lei più solare, che parlava solo di Parigi e di Sartre. Confessa di averli amati entrambi, Jean Paul e Nelson, come due facce della stessa medaglia, anche se non si confondevano mai.
– Ho sbagliato tutto con Nelson – mi confessa, mentre racconta di pomeriggi al cinema, di serate nei caffè letterari e di viaggi per tutta l’Europa.
Sartre è stato il suo mentore, la sua passione elettiva, l’uomo da cui non è riuscita a separarsi. Nelson, invece, una febbre.
– Viaggiavo di continuo tra l’America e la Francia. Avevo il cuore diviso in due, in mezzo ci stava l’oceano. Allora Nelson mi ha chiesto di scegliere e io non ce l’ho fatta.
Si alza, sorseggia il suo tè e riprende.
– Dopo il mio no Nelson decise di troncare. Non ho più avuto sue notizie.
Mi dice che è stata dura, però ha dimenticato. Scrivere l’ha impegnata. Si è laureata in filosofia quando nessuno comprendeva la necessità per una donna di istruirsi. Suo padre aveva riposto in lei comuni speranze. Sperava in un matrimonio facoltoso, ma lei non si è sposata. Ha trascorso tutta l’adolescenza sui libri, alla ricerca di amicizie che potessero arricchirla. Racconta lo scetticismo verso le coetanee, il carattere ribelle, la sete di cultura, la curiosità che l’ha spinta a viaggiare. Era di tutti e di nessuno. Gli anni Settanta, i movimenti femministi e la volontà di affermare un’identità collettiva hanno fatto il resto, rapendola.
– Oggi, per fortuna, non fa più scalpore se una donna, convive, senza sposarsi, col proprio uomo – dice.
Le chiedo cosa l’abbia spinta a raccontare la sua vita, a romanzarla. Mi risponde che non poteva farne a meno. Che non sapeva inventare niente. Che usava le esperienze come materia narrativa.
– Mi sono riappropriata della vita che andava via. Ah, la vita. Quanto l’ho amata! – dice.
L’ha vissuta alla sua maniera e la scrittura è stata la candela per illuminare il buio.
Adesso Simone appare malinconica, persa, come una bambina tra la folla. Ma si riprende, e mi confessa che non ama vedere i giornalisti, e che soffre delle biografie che escono su Sartre.
– Un po’ è anche gelosia, lo ammetto. Solo io posso parlare della nostra storia, delle sfumature della nostra vita insieme – dice.
È chiaro che è stanca, vuole restare sola. La saluto. Una volta a Napoli, correrò a sistemare gli appunti e a raccontare ai colleghi di questo incontro.
Napoli, 14 Aprile 1986
Un comunicato della France Press annuncia la morte di Simone de Beauvoir. Si è spenta quasi di nascosto, all’ospedale di Cochin. Se ne va l’emblema dell’intelligenza francese capricciosa, arrogante, ma pur sempre piena di spirito.