Dimmi cosa mangi e ti dirò se gli Stati Uniti sono in guerra contro di te

Prima di giudicare qualcuno cammina nelle sue scarpe. E prima di farti un’opinione su un conflitto? Mangia il cibo di coloro che chiami nemici.

“Serviamo solo cibo di paesi contro i quali gli Stati Uniti sono in conflitto. ”

Una filosofia, quella di Conflict Kitchen, che sta nel curioso spazio tra genialità imprenditoriale e vera e propria ispirazione artistica. Il tutto servito con una succulenta lezione di pluralismo da imparare e da gustare.

Ma facciamo un passo indietro.

La Conflict Kitchen apre nel 2010 nel cuore di Pittsburg, Pennsylvania, USA. Viene creata come vero e proprio progetto artistico della Carnegie Mellon University e dalla sua apertura ha cambiato abito una volta circa ogni sei mesi. Ogni sei mesi approfondendo la cucina di un diverso paese, studiandone oltre che il cibo anche la cultura e i punti di vista.

Conflict Kitchen dall’apertura è stato così a turno ristorante iraniano, afgano, cubano, nord coreano e venezuelano. Cambiando puntualmente aspetto e menu con l’evolversi delle politiche estere americane.

I tanti volti della Conflict kitchen

L’ultimo nemico USA? Pare sia la Palestina. E non senza diverse polemiche per la scelta, portate avanti soprattutto dall’oltraggiata comunità ebraica di Pittsburg.
Ciò che si contesta alla Conflict Kitchen è il fatto che formalmente gli Stati Uniti non sarebbero in lotta contro il popolo palestinese.
La risposta del fondatore Jon Rubin, professore di arte, è che lo scopo del progetto è l’apprendimento e il rispetto delle culture che sono politicamente o per effetto dei media, viste come nemiche. E che i clienti sembrano andare matti per i piatti palestinesi.

Il nuovo palestinian takeout

Il piccolo chiosco usa lo scambio economico, le interazioni sociali e soprattutto il cibo come mezzo per instaurare ed organizzare performance, conferenze e discussioni “messe sul tavolo” insieme a fattoush, falafel, limonata e succo di tamarindo. L’attività sembra avere circa trecento clienti al giorno e, cosa piuttosto rara parlando di istituzioni culturali, il progetto si sostiene da solo.

I dibattiti e le interviste sul menu spaziano dai temi culturali a quelli politici e offrono chiavi di lettura concrete e punti di vista spesso totalmente assenti nel panorama unilaterale dell’informazione politica statunitense.

La Conflict Kitchen suona così squisitamente come un laboratorio di punti di vista e una fucina (oltre che cucina) di pace e sapori stranieri, nonché probabilmente l’unico ristorante in città a servire delicatezze venezuelane, iraniane o palestinesi.

Chi ha detto che con la cultura “non se magna”?

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