Come suona il nuovo album dei Baustelle dal vivo: l’amore c’è, ma manca la violenza

A voi (e a loro) interesserà poco, ma con i Baustelle avevo perso ogni speranza ai tempi di Fantasma, con il suo snervante richiedere energie, attenzione all’ascoltatore per non si sa quale ragione, per un viaggio in compagnia dell’orchestra che non conduce da nessuna parte. Ma forse era stato già prima, con l’esoterismo catto-romantico dei Mistici dell’Occidente, con quel prendersi terribilmente sul serio che avrebbe spinto il Bianconi (scrittore) a far apparire il Bianconi (Icona) – sé stesso, se non si fosse capito – nel bel mezzo del proprio romanzo d’esordio: Il Regno Animale. A mostrarcelo, per di più, mentre riceve di una fellatio nei cessi del Festival del Cinema di Venezia. Delicatissimo, direbbe Christian De Sica.

Ecco, appunto: De Sica. Un’icona di quei ruggenti anni ’80 che hanno invaso nuovamente – oasi di benessere nel deserto della crisi dei subprime – lo spazio pubblico, i nostri sensi e le nostre menti. E, nel suo piccolo, anche il sound dei Baustelle. Ecco, forse a incuriosirmi, a spingermi fino a Senigallia per l’apertura del tour di supporto a L’Amore e la Violenza Vol. 2 è stata proprio la suggestione di una Roland 808 a sostituire lo yè-yè, di Amanda Lear che rimpiazza Francoise Hardy nell’immaginario Baustelliano. Questo, e la promessa di ascoltare dal vivo due album, gli ultimi, interamente dedicati all’amore. Non il massimo, in sé e per sé – Amedeo Minghi ci ha costruito una discografia, sull’ammmore – ma comunque una bella pausa dall’esoterismo di Mistici e Fantasma.

Su entrambi i fronti, il suono e le tematiche, i Baustelle mantengono le promesse, a partire dalla strumentale, Violenza, che apre il concerto così come l’ultimo album. Un concentrato di archi, tastiere e batteria elettronica, su cui spicca un’ammiccante voce femminile, serve alla band per dare il tono della serata e settare i volumi. Ma torniamo a Amanda Lear, icona, “mistero d’Italia”, protagonista del brano omonimo, ma soprattutto sorprendente ispirazione per il sound del primo volume de L’Amore e la Violenza. Brani come La musica sinfonica, con gli archi sintetici e il ritornello che ammicca a Viola Valentino, dal vivo hanno un effetto ancora più straniante, riescono a trasportati in lidi dove non pensavi ti saresti mai avventurato: i Sanremo di fine anni ’80, l’italo-disco, Al Bano e Romina, Tozzi e la Lear di Queen of Chinatown. E non è un male, anzi, anche se la chitarra Morriconiana di Claudio Brasini è del tutto scomparsa nel mix.

Ma come suona il nuovo disco, invece? Un riuscito mix tra le varie anime dei Baustelle, tra chitarre acustiche e synth, che non riesce a celare un certo senso di deja-vu. Più suonato, senza dubbio, ma, al tempo stesso, consumato. C’è l’orecchiabile Veronica n.2, ancora più potente dal vivo, con le pause sceniche sul “baby-baby-c’mon” che fanno tanto Morrissey e sono già stracult tra i fan della band. Ma quel n.2 nel titolo sembra la controprova del debito, quantomeno nelle atmosfere, verso la Veronica cantata da Costello & McCartney. Nel finale di Lei malgrado te la chitarra di Brasini finalmente riemerge da dove si era nascosta, così come in Tazebao. Il suo riff ricorda un po’ troppo Gimme Shelter, ma l’interpretazione coinvolta di Rachele Bastrenghi, al centro della scena, tamburello in mano, lascia in secondo piano ogni dubbio sulla paternità del brano. Lo stesso vale per la ballata Bianconiana L’Amore è negativo: la bravura della band che accompagna il trio di Montepulciano riesce a rendere coinvolgente e fresco anche un brano (fin troppo) familiare come questo. L’unica nota dolente è che nei nuovi brani sembra essersi persa un po’ per strada l’interazione tra le voci di Bastrenghi e Bianconi, che dava una marcia in più a pezzi come Gli Spietati. Ora i due si alternano, si supportano, ma raramente si incrociano sul palcoscenico.

Se il secondo volume de L’Amore e la Violenza è senza dubbio più chitarristico del primo, i due sono accomunati dall’abbandono di un certo suono di chitarra, quello twangy che permeava i Mistici dell’Occidente (il finale de Le Rane, per capirci). E non è un caso se nessuna traccia da quel disco ha trovato spazio nella scaletta di questo tour. Morricone è stato messo in soffitta, insomma, forse definitivamente: le atmosfere western, così importanti nel sound dei Baustelle più recenti, ricompaiono soltanto a tratti, negli ovvi riferimenti di Jesse James e Billy Kid, nella voce eterea di Rachele in Nessuno.

Tornando alla band, al suono dal vivo dei Baustelle, questa incarnazione riesce finalmente a trasmettere l’accuratezza storiografica ricercata dal Bianconi produttore (e non) in studio. C’è insomma la resa accurata, quasi didascalica della “bella canzone di una volta”, la filosofia di band come Calibro 35 e Fitness Forever. Moog, Rhodes, Flying-V e ES-335 sono tutti lì, e si sente. L’abbigliamento, va detto, tra camicie floreali e total black, fa la sua parte nel processo di “rievocazione”. Ma ai Baustelle, di quelle due band appena citate, manca ancora, e forse per sempre, qualcosa: la capacità di riuscire a sdrammatizzare, pur prendendosi dannatamente sul serio. Che sia tramite l’utilizzo di testi demenziali, come per i Fitness Forever (Il Cane Ciuff), o i riferimenti al cinema di serie Z, marchio di fabbrica per i Calibro 35.

Se, da sempre, abbiamo perdonato ai Baustelle, fino quasi ad apprezzarlo, il loro manierismo dandy e il citazionismo anni ’60, è perché, in fondo, i testi di Bianconi ci raccontavano la dura realtà, attuale, vera, dai suicidi inspiegabili (Perché una ragazza d’oggi può uccidersi) all’abbandono della provincia (ancora Le Rane). Forse il punto è che i Baustelle quelle cose hanno smesso di viverle sulla propria pelle: l’amore c’è, sì, ma manca la violenza., se per violenza si intende quella da nera, con protagonisti da Franca Leosini. Forse la vita è cambiata, e l’età gioca un ruolo, ma più che di amore e di violenza, i Baustelle sembrano raccontare della violenza dell’amore. PENSO A TE ECC ECC. Sembra quasi una tragedia, e questi sono im omenti più riusciti, in cui il name dropping va in pausa. “Sei romantico stasera” “Lo sono sempre. Ho abbandonato il cinismo 18 anni fa. È vero, (risate) chi mi conosce lo sa”. Forse il problema siamo noi: credevamo di amare la cinica cronaca milanese dei Baustelle, e non ci accorgevamo che ad affascinarci erano i loro amori borderline, tra malattia e passione.

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