In un’epoca in cui tutti raccontano tutto, la vera difficoltà è saperlo fare bene. Siamo bombardati ogni istante della giornata da parole che ci arrivano sotto forma di messaggi privati, chat di gruppo, mail, alert, telegiornali, spot, serie televisive e l’elenco potrebbe continuare ancora all’infinito. Per proteggerci da questo raid senza fine, a un certo punto diventa inevitabile interrompere le comunicazioni, spesso anche con chi ha poche colpe e non ci ha mai bersagliato.
Asfissiati dai pensieri dietro i nostri schermi, pervasi di fragilità che non sapevamo di avere, sembra sempre più difficile accorgersi di cosa accade nel mondo che ci circonda. Guardiamo distrattamente scorrere i paesaggi da un finestrino sporco di un treno, indossando cuffie che sono trincee che ci separano dalla realtà e dalle inquietudini che preferiamo diluire in boccali pieni fino all’orlo. In questo incastro di coincidenze e caos nascono e crescono i Coma Cose.
Ed è stato proprio sopra un vagone della metro di Milano, a pochi passi dalla fermata Porta Genova, che le voci di Fausto e Francesca si sono inserite perfettamente nei nostri pensieri accompagnandoci prima nelle notti di birra e pioggia in inverno con Anima Lattina e poi con Post-Concerto nelle serate di primavera sui Navigli. Intanto su Spotify i numeri aumentavano giorno dopo giorno, aggiungendo ascolti, tracce e intercettando pubblico ai concerti. Superata, però, la torrenziale e intensa estate, un album che raccontasse chi fossero veramente i Coma Cose ancora non c’era, ma il 15 marzo è finalmente arrivato Hype Aura, pubblicato dall’etichetta Asian Fake.
Di nuovo su un treno, l’intro di Granata recita: «Non sottovalutare mai il ritorno, verso casa o ciò che chiami tale, mai una gioia tranne la fermata prima di Centrale». Torino alle spalle e la stazione di Rho all’orizzonte, il sole va e viene, scompare dietro i palazzi e riemerge luccicando sulle rotaie. In questa prima traccia c’è sia il timore di non essere all’altezza che la speranza di una nuova stagione che inizia.
Quanta paura di essere diversi
Ma quanta noia ad essere perfetti
I ponti sono fatti per buttarsi
Mica per metterci i lucchetti
È esplosa una bomba, qualcosa che prima non esisteva è arrivato fino a noi in una giornata di marzo che sarà ricordata per lo sciopero mondiale contro i cambiamenti climatici. Giochi di parole e melodie che si appiccicano come colla al cervello si insinuano in questo viaggio senza freni: non c’è modo di arrestare il sound senza genere e definizione dei Coma Cose.
La playlist segue l’ordine dei passeggeri che scendono ordinatamente dal treno e passo dopo passo acquistano colore e tornano a respirare nell’androne della Stazione Centrale. Mancarsi è un tabellone delle partenze, con orari e destinazioni che scompaiono all’improvviso per lasciare posto a nuove sequenze alfanumeriche. Un nodo in gola e il cuore batte più forte. Sono così i vent’anni, le strade si dividono senza una ragione, i sentimenti sono forti, confusi e forse, tutto sommato, troppo acerbi da capire. Mentre aspettiamo che arrivino i trenta, questa canzone diventa un perfetto manifesto romantico da ascoltare e riascoltare senza sosta.
Ma ci pensi mai
A noi due, agli sbagli
A chi ci ha preso in giro
Agli sbalzi d’umore che ci causano drammi
Che schifo avere vent’anni
Nelle scatole dei ricordi rimangono cimeli di giungle urbane dimenticate, stereo che tornano a funzionare sotto lastre di polvere, il ritmo hip hop di Beach Boys Distorti dialoga con sperimentalismi psichedelici e pop dettati dal timbro della voce di Francesca, che torna sublime, quasi come un balsamo, in Via Gola, una dichiarazione d’amore e allo stesso tempo di orrore nei confronti della vita notturna milanese, covo di mostri e gitani che danzano per le strade fino all’alba.
Le parole sono importanti, ma anche i riferimenti da cui attingono i Coma Cose hanno un valore prezioso per capire il loro universo colorato di sfumature. Da Donatella Rettore (Sabato non si incomincia quasi mai una rivoluzione / Facciamo un’eccezione qui / O dammi una lametta che mi taglio le venerdì) nella ballata A Lametta a Franco Battiato, guida spirituale di Hype Aura, nonostante le basi rappate, il flow e le parole che suonano come coltelli, perché i Coma Cose giocano con la canzone d’autore e con il cinema in Squali, dove girano le parole di uno dei capolavori di Steven Spielberg, Lo squalo, suonando un po’ come la metafora che ci rappresenta meglio oggi.
S. Sebastiano e Mariachidi scritte, invece, per essere ballate sotto i palchi dei locali o durante i festival che ci accompagneranno in estate fanno tremare le ginocchia. La frenesia sale e Hype Aura si conclude con Intro, una sorta di tasto play che si dilata all’infinito, perché un ascolto non basta. Entrare nel mondo dei Coma Cose non è una passeggiata, ma un’avventura fatta di neologismi e di generi che si aggrovigliano tra di loro come una matassa dove è impossibile dividere il punk, dal pop e dall’hip hop. Lasciatevi travolgere, la scoperta di Hype Aura va assaporata ascolto dopo ascolto.