A quasi trentanove anni Colin Stetson, sassofonista (ma è riduttivo) canadese, può a buon diritto occupare un posto significativo su più sponde della musica contemporanea. Noto ai più come collaboratore di artisti quali David Byrne, Tom Waits, Arcade Fire, The National, Bon Iver, Laurie Anderson tra gli altri, dopo un esordio nel jazz classico ha poi, attraverso la trilogia de la New History Warfare, spostato i confini del jazz d’avanguardia e della musica d’avanguardia in generale. Dotato di una straordinaria tecnica di respirazione circolare, ha ampliato in maniera impressionante le possibilità espressive del sassofono di qualsiasi timbro anche grazie a una curiosità non comune verso ogni genere musicale possibile e verso le tecniche di registrazione che gli hanno permesso di esaltare suoni che spesso lo strumento rischia di perdere per strada. Dopo la collaborazione con la violinista Sarah Neufeld, Stetson esce oggi con il nuovo lavoro: Sorrow – a reimagining of Gorecki’s 3rd Symphony.
Henryk Górecki è stato un compositore polacco nato nel 1933 e morto nel 2010 che pur cresciuto sotto la cortina di ferro ha beneficiato come i suoi connazionali della possibilità di comporre ed eseguire quella musica che in Unione Sovietica sarebbe stata bollata come degenerata: musica d’avanguardia, musica seriale nello specifico, al pari di autori come il francese Pierre Boulez, il tedesco Karlheinz Stockhausen e il greco Iannis Xenakis. A partire dagli anni settanta, Gorecki ha però progressivamente abbandonato l’ortodossia strutturalista (attirandosi ovviamente le ire dell’intransigente Boulez) abbracciando forme di composizione neomodali e minimaliste. La Terza Sinfonia “Dei canti lamentosi” fu composta nel 1976 e presentata in Polonia l’anno successivo ma è solo nel 1992 grazie a un’edizione della Nonesuch, con la London Sinfonietta diretta da David Zinman, che l’opera ottiene un successo senza precedenti varcando i confini polacchi per raggiungere i vertici delle classifiche americane e inglesi con oltre un milione di copie vendute. Associata spesso al movimento del minimalismo sacro con il quale in realtà ha solo lontane assonanze, la sinfonia è l’insieme di tre movimenti indipendenti che ruotano intorno a tre canti femminili. Il primo, Kajże się podzioł mój synocek miły?, è l’invocazione di una madre per il figlio perso nelle rivolte in Slesia negli anni venti del novecento. Il terzo, Synku miły i wybrany, rozdziel z matką swoje rany …, è tratto da un ciclo di canzoni popolari polacche che risalgono al quindicesimo secolo e da voce alla Vergine Maria che si rivolge al figlio in croce. Al centro invece, nel secondo movimento (quello più noto e più breve) c’è un testo raccolto dallo stesso Gorecki sul muro di una prigione della Gestapo a Zakopane dove una ragazza diciottenne, Helena Wanda Błażusiakówna, implorava la madre di non piangere per la sua sorte. Tre movimenti, dunque, in cui si riflette il dolore attraverso un rapporto speculare tra madri e figli.
Stetson ha descritto così il suo rapporto con l’opera:
Tutti noi abbiamo esperienza di un pezzo musicale che ci trasforma. Negli anni ho ascoltato quest’opera innumerevoli volte con una determinazione ad assorbire ogni sua istanza, per conoscerla in maniera completa. E questa dedizione mi ha portato a un certo punto al bisogno di eseguirla. Il concetto era semplice e fedele alla partitura originale. Non ho cambiato la notazione esistente ma ho lavorato sulla strumentazione utilizzando fiati, sintetizzatori e chitarre elettriche mantenendo comunque una sezione di archi […] Un approccio additivo […] immaginando certi suoni o parti che pur non presenti nell’originale erano per me come estensioni del nucleo emotivo del pezzo.
Il primo movimento si apre con i toni bassissimi del sassofono e fin dal primo istante percepiamo una maggiore cupezza rispetto all’originale. Una conseguenza Inevitabile nel momento in cui si decide di sostituire all’ampia sezione di archi quella più ristretta e più grave dei sassofoni suonati da Stetson. Non c’è alcuna alterazione della struttura con il canone in 24 battute che si ripete arricchendosi a ogni passaggio di un’ulteriore parte fino alle otto finali. Subentra il violino di Sarah Neufeld a dare maggiore levità, il violoncello di Rebecca Foon e il sintetizzatore di Shahzad Ismaily ad aumentare la profondità del suono. Tocca poi alla batteria di Greg Fox (Liturgy) cui è affidata la sezione ritmica che invece manca nell’opera di Gorecki. Quindi pian piano il canone continua, perdendo le sue voci e mantenendo solo un bellissimo dialogo tra il violino e il violoncello. La chitarra introduce la voce del soprano ma in realtà Margaret Stetson (sua sorella) è un mezzosoprano e la differenza è tangibile anche perché nella registrazione del 1992 la musica ruotava intorno alla voce eccezionale di Dawn Upshaw, musa di una serie di autori contemporanei che l’hanno voluta come interprete delle loro opere, dall’argentino Golijov (in Ainadamar e in Ayre) all’americano John Adams (per l’opera lirica El Niño). La voce della Stetson si libra sulle note della chitarra e sui tocchi rapidi di spazzole di Fox come sulla presenza sempre suggestiva e mai ingombrante del sintetizzatore per poi lasciare spazio alla lunga coda sommessa che chiude la prima mezzora non prima di un’inedita escalation noise.
Nel secondo movimento (anche per la voce della Stetson più grave di quella della Upshaw) continuano a dominare toni più scuri. A tratti questa nuova versione di un brano già di per sé molto cinematografico (Basquiat, To The Wonder, La Grande Bellezza) sembra ricordare le musiche di Jocelyn Pook per Eyes Wide Shut. La seconda parte del movimento si discosta notevolmente dall’originale soprattutto nel suo incidere molto più ritmico grazie alla batteria ancora una volta e all’uso del sintetizzatore. L’atmosfera è vicinissima a Passion di Peter Gabriel (a sua volta composto per L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese), che fu non solo primo capitolo della Real World (per cui ha pubblicato proprio la Pook) ma soprattutto emblema di quel suono anni ottanta, capace di contaminare la musica leggera con suggestioni ritmiche africane.
Il terzo movimento infine si apre come un pezzo post rock dosando un incedere da drone music (il bordone, quello che gli anglosassoni chiamano drone, è uno dei tratti più distintivi del minimalismo musicale). Del resto il post rock molto deve al minimalismo e un gruppo come i Godspeed You! Black Emperor presenta spesso il proprio brano Moya con il titolo alternativo proprio di Gorecki (basta sentirlo per capire quanto è influenzato proprio dalla terza sinfonia). È forse dei tre il movimento che più tradisce lo spirito originario.
È un disco difficile da giudicare, sicuramente spiazzante per chi era affezionato allo Stetson d’avanguardia. Se da un lato la scelta dell’opera sicuramente meno di rottura del compositore polacco colpisce in un musicista come Stetson, è anche vero che il minimalismo è sempre stato parte del suo bagaglio musicale (ascoltare ad esempio In The Vespers da Never Were The Way She Was che richiama Steve Reich). La sua è un’operazione abbastanza unica nel suo genere molto lontana dai tentativi di svecchiamento della Deutsche Grammophon con la sua serie Recomposed, o anche da opere a sé stanti come le ultime prove “colte” di Bryce Dessner (St Carolyn By the Sea , Aheym) e soprattutto di Johnny Greenwood, devoto a uno dei padri del minimalismo sacro come Arvo Pärt come all’altro grande compositore polacco Krzysztof Penderecki.
Sorrow vive del confronto con l’originale e già in questo è una chiave di apertura, un invito a rivedere, da parte di molti, una posizione, molto frequente, di distanza o di totale ignoranza verso la musica colta della seconda metà del novecento. È un atto d’amore verso l’opera prediletta e uno svelamento intimo delle proprie passioni che permette di guardare in maniera diversa anche alla produzione passata del sassofonista canadese. E che funziona soprattutto lì dove tradisce il suono originale e non solo perché allontana il rischio di déjà-vu ma soprattutto perché in grado di far risaltare le potenzialità che si nascondono all’interno di una partitura.