Suono nero | Cold Cave @ Superbudda, Torino

Avvertenza: non è stato possibile realizzare alcuna foto di qualità durante il concerto. Pertanto il report è sprovvisto di gallery fotografica.

 

 

Scrivere di un qualcosa che non è piaciuto “di pancia”, a livello di sensazioni immediate, non è di per sé già cosa semplice. Si vorrebbe andare a casa, archiviare la faccenda e dimenticarsene al più presto, in attesa di una prossima, magari migliore, occasione. Doversi fermare, riflettere e tradurre in argomentazioni sensate e costruttive quel leggero senso di nausea che piacerebbe semplicemente spazzar via, è una sensazione simile al dover andare al lavoro in post-sbornia. Senza neanche un Oki nell’armadietto dei medicinali da poter prendere: non è divertente.

Quella al Superbudda, spazio che presta una sensibile e stimabile attenzione ad un sottobosco di elettronica sperimentale piuttosto di nicchia ma dai riverberi alquanto interessanti (Ash Koosha, Tatsuru Arai, per citare alcuni tra gli ultimi ospiti) si preannuncia essere una tra le serate clou del mese, essendo il collettivo indipendente che gestisce il locale riuscito ad aggiudicarsi Cold Cave, il progetto di Wesley Eisold (già vocalist dei Give Up the Ghost e dei Some Girls), nella prima di sei date del tour in Italia. L’affluenza del pubblico non garantisce proprio un sold-out, ma ha comunque una sua consistenza.

Più di qualche dubbio sull’andazzo della serata inizia a palesarsi già all’entrata in scena del gruppo spalla, i Drab Majesty, duo darkwave californiano dal look enigmatico: capelli verdi e mascherina sugli occhi, trucco bianco in faccia e palandrana nera con cappuccio a celare tutto il resto. Dal punto di vista musicale ci si aspetterebbe un intersecarsi di trame lussureggianti e ipnotiche, non foss’altro che per coerenza con il misterioso immaginario vampiresco che li accompagna, invece il set è pervaso da una staticità disarmante, sia dal punto di vista dell’immobilismo quasi sciatto con il quale Deb DeMure e socio si pongono, sia –e questo è più grave- per quanto riguarda le sonorità. Si susseguono per una quarantina di minuti pezzi estratti perlopiù dal loro ultimo lavoro, The Demonstration, ma al posto di intimi e malinconici arpeggi e seducenti melodie di impronta new wave si assiste ad un lungo interminabile lamento piatto e monotono. Ci rifugiamo in una birra e sigaretta, attendendo che il palco sia riadattato, lasciandoci distrarre dal fascino decadente emanato dal Superbudda e sperando in un cambio di rotta nel proseguo.

Purtroppo con l’entrata in scena di Cold Cave le cose non migliorano, anzi, le perplessità affiorate in apertura si trasformano in squarci di delusione sulla tela della serata, a partire dalla questione del set. Che sia una indicazione voluta da Eisold, quella di proporre uno spettacolo in cui lo spettatore venga sostanzialmente privato di uno dei cinque sensi – la vista-, causa luci molto fioche e massiccio utilizzo di fumi da giostra a livello di quasi intossicazione, è fuori di dubbio e potrebbe anche essere un’estrema scelta funzionale. Ma allora l’attenzione andrebbe posta quantomeno su un potenziamento della sensorialità uditiva, mentre invece la realizzazione live appare confusa. Un sound che dovrebbe essere radicato fortemente nel post-punk e nel synthwave, troppo spesso sembra invece solo un indistinto urlare, alternato a scoppi improvvisi di elettronica randomica con un esclusivo scopo compiacente.

Si scorge la sagoma di Eisold nell’ombra – o nei fumi, insomma – agitarsi e freneticamente muovere il liscissimo ciuffo, mentre la fidanzata tuttofare Amy Lee (no, non quella degli Evanescence) potrebbe benissimo essere giunta direttamente da Madame Tussauds per l’innaturale aplomb col quale si approccia al synth. Riconosciamo qualche brano da Love Comes Close, ma onestamente delle atmosfere distorte stile Xiu Xiu e dell’oscurità dei Nine Inch Nails (a cui Cold Cave aveva fatto da spalla nel tour del 2014) vi è proprio solo l’atmosfera all’interno dello stanzone. A tratti sembra un esercizio manieristico, come se vi fosse come unico intento un forzato voler sembrare diversi, non conformi. Ed è la musica a pagarne forte dazio. Non riusciamo ad arrivare alla fine. Se è vero che lo stesso Eisold ha dichiarato che “it should be clear by now that Cold Cave is existing in their own world, releasing music in any format and at any time they choose”, rivendicando in tal modo la libertà di imboccare una strada di totale indipendenza, per prendere le distanze dalle convenzioni imposte dall’industria della musica, è necessario capire come si possa però modulare l’espressione della stessa, aggiungiamo noi. In particolare, e soprattutto, per quanto riguarda la realizzazione live.

Altro interrogativo aperto riguarda il livello di discrasìa che rischia di aprirsi a voragine tra un’imparziale analisi di una performance (che essendo una, potrebbe anche essere stata infelice caso isolato) e l’incondizionata adorazione, in questo caso, di un’icona dell’ambiente dark, perdendo contatto con la realtà. Dove sta il confine? Dove la mitizzazione di un artista? Rincasiamo frastornati e senza una risposta convincente.

 

 

 

 

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