Fotografie di Alessia Naccarato
In attesa di compiere vent’anni, Club to Club ha festeggiato il suo ultimo anno da teenager all’insegna della diversità. Difficile, infatti, trovare un genere mancante in questa edizione che ha voluto dare spazio a tutti: dal rap al post-punk, passando per l’avant-pop fino a ogni variante dell’elettronica. Com’è avere diciannove anni oggi? Significa cercare la propria voce con la consapevolezza che prendersi il proprio posto all’interno della società non sarà facile. Questioni che Club to Club sembra avere chiare proprio come un adolescente che lotta per la propria indipendenza.
Mentre il 2018 è stato l’anno dell’attesa (per intenderci quella del grande ospite d’onore Aphex Twin), il 2019 può essere considerato l’anno della continuità. La luce al buio: Season 2 è il secondo capitolo di un format di successo che, come tale, non ha bisogno di presentazioni, ma solo di conferme. Il cast non è lo stesso, ma dall’inizio alla fine rimane la sensazione di essere all’interno di un meccanismo ben oliato, in cui i dettagli fanno la vera differenza rendendo la rassegna torinese una delle eccellenze globali dedicate alla musica elettronica.
Il coraggio di un festival si misura dalle scelte che prende, come aprire le danze in un mercoledì di pioggia portando sul palco slowthai, un rapper britannico di ventiquattro anni che, armato della propria voce e di una presenza scenica notevole, si tuffa tra il pubblico dopo pochi minuto dall’inizio dello show. Il suo album d’esordio Nothing About Britain è già un manifesto della società inglese divisa tra chi ha votato per rimanere in Europa e chi per la Brexit. Dalle parole di slowthai che suonano come lame alla rievocazione rinascimentale in chiave digitale di Holly Herndon che nella notte di Halloween riporta in vita anche i defunti con la sua ultima creazione, PROTO.
Questo, però, è solo l’inizio. Il cuore di Club to Club batte ancora più forte nel weekend, quando il Lingotto si trasforma nel quartiere generale delle avanguardie. L’occhio vuole la sua parte e lo sguardo di chi arriva qui non può che essere stimolato dalla miriade di riverberi, visual e grafiche che riempiono ogni centimetro del Light Over Darkness Stage e del Crack Stage, compreso il lungo corridoio rischiarato da un fascio di luci accecanti che collega i due palchi.
Venerdì si apre con il languido pop del cantautore canadese MorMor e i 72-HOUR POST FIGHT, una delle band italiane più interessanti del momento, capaci di produrre una miscela afrodisiaca mescolando jazz, elettronica, rock e hip hop. Dopo di loro James Blake, il baronetto della serata, preciso e intenso, ma soprattutto grazie alla sua bravura magistrale, capace di ammutolire un pubblico davvero loquace.
La combinazione di piano e voce (e che voce!) lo rende un fuoriclasse, dimostrando di essere arrivato alla maturità della sua carriera sia nell’esecuzione delle canzoni del nuovo album Assume Form che in quella di pezzi come Limit To Your Love o Love Me In Whatever Way, conosciute dalla maggioranza dei presenti. Un’esplosione di lacrime ed effusioni.
Che dire, invece, dei Battles? Essere riusciti a correre verso il Crack Stage facendo slalom tra la folla per sentire Atlas ne è valsa la pena. La formazione statunitense porta una scarica di adrenalina trascinando il pubblico in una dimensione sonora che pare non appartenere a questo pianeta.
Di tutt’altro stampo il dj australiano Flume che cavalca l’ora tarda e un Lingotto ormai saturo per scatenarsi davanti a visual dai colori sgargianti e fumogeni sparati come se fossero coriandoli a una festa di laurea. Uno show per chi ama ballare fino allo sfinimento e riesce a tollerare la ripetitività.
Sabato è l’anticamera della fine e il giorno dei tanto attesi Chromatics, ma prima di loro sul Crack Stage si esibiscono i canadesi Desire, formati da Johnny Jewel dei Chromatics e da Megan Louise che, fasciata in un abitino nero e con in mano un bicchiere da cocktail, scalda il cuore di tutti sulle note di Under Your Spell. Brividi nell’aria: non è colpa dell’autunno torinese.
Per descrivere la performance dei Chromatics bisognerebbe scrivere un capitolo a parte. Assistere a un loro concerto è un’esperienza non solo per i fans e per gli amanti del genere. Certe sequenze di note, luci e immagini ricordano un film di David Lynch che infatti li ha voluti anche per la colonna sonora di un episodio di Twin Peaks. Dopo aver aspettato sei anni per l’uscita di Closer To Grey, finalmente possiamo avere una nuova raccolta da consumare, non sembra difficile ascoltando anche qualche traccia dal vivo. In questo show c’è, però, tanto spazio pure per il passato e le cover. Tutto assolutamente in stile Chromatics.
Into The Black suona allo stesso tempo come un nodo allo stomaco e una boccata d’ossigeno, tutto quello che non avremmo sperato di sentire in una notte piovosa di inizio novembre, così come la splendida cover di I’m On Fire di Bruce Springsteeen. Tutti gli occhi sono su Ruth Radelet, la voce della band di Portland in grado di catalizzare l’attenzione grazie ai suoi scintillanti capelli biondi e alla leggerezza dei suoi movimenti mentre tra una canzone e l’altra sorseggia del vino. I Chromatics rappresentano il trionfo dei colori, delle luci strobo, dei synth, dei cuori che battono forte, della vita che è tutta intorno a noi e che aspetta di essere scritta.
Dall’intensità dei Chromatics ai Nu Guinea alla consolle che, passata la mezzanotte, fanno bollire letteralmente il Light Over Darkness Stage offrendo al pubblico pezzi di disco music. Piacciono, divertono e, ancora pieni di energie, esplodono sul finale con Je Vulesse. Cambiamo palco e troviamo The Comet is Coming, un’autentica bomba ad orologeria che ticchetta amalgamando funk e rock psichedelico. Floating Points, invece, abbaglia, ma non incanta. Manca qualcosa al suo spettacolo, non bastano i visual oleografici ci vuole anche un po’ di sentimento, così come per il debutto alla consolle di Romy, la componente femminile degli XX, che per festeggiare la vittoria della Juventus al derby si presenta sul palco con una maglia della squadra bianconera donatela da Dybala.
E poco prima che le luci dell’alba illuminino un altro giorno arriva SOPHIE. Di lei sentiremo parlare molto. Istantanea, creativa ed energica, proprio come questa edizione di Club to Club che guarda al traguardo dei vent’anni, la nuova decade di un festival che pensa in grande giocando con gli spazi, le culture e le emozioni di un pubblico sempre più eterogeneo, europeo e internazionale.